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Interviste inventate e foto illegali: quanto in basso può ancora scendere il giornalismo italiano?

Con la gogna di Carola Rackete, la stampa italiana—anche quella considerata rispettabile—ha abbattuto ogni limite della decenza.
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Il caso di Carola Rackete, la comandante della nave Sea Watch 3 che ha sfidato il governo italiano per attraccare a Lampedusa, è stato ed è ancora il grande tema di questi giorni. Ha spaccato l’opinione pubblica e su di esso la nostra stampa ci si è buttata a capofitto, regalandoci una della più eclatanti dimostrazioni di pressappochismo e scarsa deontologia che si ricordino negli ultimi tempi.

I più scatenati, com’era prevedibile, sono stati i giornali di destra; ed è piuttosto facile immaginarsi i livelli toccati in queste ore.

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L’ossimorica La Verità ci ha regalato un articolo in cui Ekkehart Rackete—padre di Carola, ingegnere elettronico ed ex ufficiale di Marina—è descritto come un “esperto di armamenti” nonché un esponente del “militarismo della Germania del Nord.” Sulla base di questo assunto, il “padre della fricchettona” diventa il simbolo della “commissione tra le ong umanitarie e compagnie che si occupano di armi.” Inutile dire che qui non c’è alcuno scoop, né tantomeno qualche rivelazione: è solo una congettura paranoide costruita sul nulla.

Un’altra congettura è apparsa sul Giornale, dove Giovanni Giacalone ha “scoperto” che una delle persone arrestate nell’inchiesta sui maltrattamenti ai bambini a Bibbiano (Regio Emilia) aveva espresso solidarietà a Rackete. Quale sia l’attinenza tra i due casi, non è dato saperlo; ma evidentemente lì dentro basta questo piccolo tarlo, per sollevare dei dubbi sulla moralità di Sea Watch. E indovinate un po’ chi ha prontamente condiviso l’articolo, alimentando l’improbabile sospetto?

Ma fosse solo la stampa “sovranista,” per l’appunto, ci sarebbe poco di cui stupirsi. Il problema è che, nel caso di specie, la morbosità e il sensazionalismo hanno infettato anche testate più rispettabili.

Il 27 giugno Marco Gervasoni ha pubblicato sul Messaggero—un quotidiano che ormai ha preso una direzione abbastanza precisa, specialmente quando si parla di gente sotto i 40 anni—un paternalistico sfottò sotto forma di articolo, zeppo di luoghi comuni e illazioni atti a screditare le azioni di Rackete, dipinta come una ricca “figlia di papà” in cerca di avventura, “una novella Anne Bonney, la più famosa pirata donna della storia.”

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La ciliegina sulla torta, però, è arrivata insospettabilmente dal Corriere della Sera: la mattina del 30 giugno, il quotidiano ha sparato un’intervista “esclusiva” alla comandante dal titolo inequivocabile: “Parla Carola Rackete.” E nel pezzo non mancavano virgolettati, domande esplicite rivolte a lei e risposte dirette attribuite senz’ombra di dubbio a Rackete.

Tuttavia, l’account Twitter italiano di Sea Watch ha subito chiarito che nessuna intervista era mai stata rilasciata, definendo quanto apparso sul Corriere “libere interpretazioni dei fatti.” In pratica sarebbero state prese dichiarazioni dei legali di Rackete, attribuendole direttamente a lei. Parliamo dello stesso giornale che mette i paywall ai suoi articoli per difendere la qualità dell’informazione, e che a quanto pare si è letteralmente inventato un’intervista.

L’invenzione dell’intervista fa il paio con un lancio di Adnkronos, che raffigura Rackete mentre le sta per essere scattata la foto segnaletica dentro l’hotspot di Lampedusa. Il guaio è che, come ha ricordato in più occasioni il Garante per la privacy, “le foto segnaletiche […] possono essere diffuse solo se ricorrono fini di giustizia e di polizia o motivi di interesse pubblico, altrimenti la loro diffusione è vietata” da una norma del codice di procedura penale.

Francamente, di “motivi di interesse pubblico” non se ne vede mezzo; a parte la gogna nei confronti una persona sottoposta a fermo. Tra l’altro, secondo quanto fatto notare su Facebook, con ogni probabilità quella foto è stata scattata e diffusa da un pubblico ufficiale, e già questo “è un fatto abominevole a prescindere che costituisca reato o meno.”

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C’è poi un altro particolare inquientante: lo scatto sarebbe stato postato originariamente sul social network russo VKontakte da un account di chiara tendenza fascista. Proprio oggi il questore di Agrigento ha annunciato l’apertura di un’indagine interna per individuare i responsabili.

In tutto ciò non sono mancati nemmeno triti stereotipi sui tedeschi, o squallidi giochetti di parole. La giornalista del TG2 Anna Mazzone, lo stesso telegiornale del servizio-bufala sulla sharia in Svezia, ha definito Rackete la “crucca”; mentre il quotidiano online Sicilia24Ore, forzando un dettaglio biografico della comandante, ha titolato “Dagli uccelli alle sbarre: la mesta fine di Carola Rackete.”

Ecco: forse, a rileggerlo, l’incipit di questo pezzo è stato fin troppo tenero. Perché il caso Sea Watch 3 ha rappresentato non solo un nuovo cedimento totale della qualità della nostra informazione, ma l’abbattimento di un limite che fino a qualche settimana fa era da ritenere invalicabile. Testate tradizionalmente affidabili che hanno inventato interviste e stracciato ogni regola deontologica.

E stavolta non si è trattato di sviste o di mancata verifica delle fonti, ma di deliberate violazioni. Per le quali, probabilmente, non pagherà nessuno.

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