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10 domande a...

10 domande che hai sempre voluto fare a una persona bipolare

Ilaria è una designer di 30 anni, e dopo una forte depressione e la laurea ha scoperto di essere bipolare.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Ilaria. Foto per gentile concessione dell'intervistata.

Tutti abbiamo sentito parlare del bipolarismo. Ma quanto ne sappiamo effettivamente? Quante volte, esagerando, ipotizziamo che un nostro conoscente sia bipolare solo perché ha atteggiamenti un po' lunatici? Come lo si riconosce?

Ilaria Iacoviello è una designer di 30 anni affetta da bipolarismo. Vivendo la sua condizione, e confrontandosi con gli altri, ha deciso di dar vita al progetto Non Siamo Soli, che si pone come obiettivo quello di creare un ponte fra chi soffre di disturbi mentali e gli "altri".

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L'ho contattata per farmi spiegare come si convive con il bipolarismo, quali sono i suoi timori e cosa vorrebbe dire a chi ha scoperto da poco di soffrirne.

VICE: Quando e come ti sei "accorta" di essere bipolare?
Ilaria Iacoviello: Per essere definito bipolare, da manuale, devi avere una depressione maggiore, una mania, e una psicosi. E io le ho avute tutte e tre. Nell'adolescenza avevo avuto episodi di piccole depressioni e attacchi di panico, ma fu al primo anno di università che le cose cominciarono a peggiorare.

L'avevo bollato come stress per aver scelto un'università che non piaceva ai miei. Poi quell'estate ebbi forti attacchi di panico—è tipico di questo disturbo l'alternarsi di periodi difficili e periodi buoni. Ma se non si diagnostica il disturbo, e non si comincia a curare, con il tempo peggiora. Così con il passare degli anni e delle fasi arrivò il periodo della tesi: avevo un'ansia enorme ed immotivata, dato che la mia media era altissima, poi sfociata in una forte depressione. Mi vennero prescritti dei farmaci per curare quella, senza diagnosi di bipolarismo. Mi laureai con 110 e lode, e quando tutti ormai cominciavano a pensare che stessi bene ebbi una crisi maniacale enorme.

Per un intero giorno sparii: andai in città, mi feci i capelli rossi e un sacco di piercing e spesi tutti i soldi che avevo sul conto. Tornata a casa, non mi ricordavo assolutamente niente. La banca aveva avvisato i miei, che mi portarono subito dallo psichiatra. Lui ci mise pochissimo a riconoscere l'episodio maniacale.

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Su cosa si è basata la diagnosi di bipolarismo?
Ripercorrendo la mia storia con lo psichiatra abbiamo innanzitutto visto che avevo sempre avuto un atteggiamento ciclico: o super attiva ed efficiente, oppure depressa. E poi successivamente abbiamo riconosciuto una fase di psicosi che avevo attraversato durante l'università.

Per un periodo avevo delle ideazioni impossibili. Mi ero fissata con l'idea di lasciare gli studi e seguire gli Slipknot nei loro tour in America. All'epoca i miei credevano che fosse una fase che stavo attraversando per superare un lutto. Ma io ci credevo davvero: pensavo che avrei potuto seguire gli Slipknot per tutta la vita, che non avrei fatto altro. Dopo una serie di trattamenti, ho avuto anche delle psicosi uditive: sentivo delle voci. A quel punto, quando abbiamo ricostruito tutto con lo psichiatra, mi è stato finalmente diagnosticato il bipolarismo.

Come spiegheresti il bipolarismo a chi non lo conosce?
Allora, diciamo che da questo punto di vista ho capito che il feedback altrui conta. Una persona bipolare rispetto a una che è semplicemente lunatica la riconoscono gli altri. Sono gli altri a notare in te cose che vanno molto al di là dei normali cambi di umore e comportamenti che tutti hanno. Tanto che quando si fa terapia di gruppo, alcuni terapeuti chiedono ai compagni e alle compagne dei pazienti di partecipare alle sedute, per avere un feedback oggettivo.

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Una ragazza una volta disse una frase che mi ha colpito: "Voi persone affette da disturbo bipolare siete incontrollabili." Voleva dire che in determinati momenti siamo eccessivamente attivi ed espansivi, per poi passare a fasi di depressione nera in cui è difficile anche solo comunicare con gli altri. Io dico sempre questo: a tutti capita di avere momenti diversi nella vita, più o meno attivi e felici o tristi, ma è il concetto di "troppo" che viene sottovalutato. Quando sei troppo "su" cominci ad avere ideazioni che non sono realistiche, ti senti invulnerabile. Quando sei troppo "giù" le ideazioni possono sfociare nell'esatto contrario: pensare che non ci si merita di vivere e che si è inutili.

Come è cambiata la tua vita quotidiana dalla diagnosi?
I primi tempi sono stati difficili. Passavo un'infinità di tempo a monitorare i miei cambiamenti, ogni sensazione, ogni impulso che potevo percepire. Perché la paura è di attraversare nuovamente una crisi, e infatti ogni volta che ho un attacco d'ansia mi viene subito in mente il peggio. Diciamo però che da quando ho deciso di espormi, ho molta meno paura.

Che tipo di effetti ha avuto il bipolarismo sui tuoi rapporti personali?
Il mio approccio da questo punto di vista, quello che cerco di trasmettere anche sul sito, è appunto "non siamo soli". Vedo nei commenti tanto rancore da parte di persone che a causa della malattia hanno perso gli amici, o le cui famiglie si sono rivelate assenti. Se ti apri, anche gli altri si aprono—e il mio atteggiamento è cambiato in questo senso. Sono io a non avere più tolleranza per le persone che non capiscono e che alimentano lo stigma. Ma sono stata fortunata: i miei amici non mi hanno mai abbandonata, così come il mio ex e il mio attuale compagno.

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Anzi: volevo dedicare questa intervista a Giorgio, una persona che mi è stata molto vicina e solidale—molto fan di Non Siamo Soli—e che purtroppo ora non c'è più.

Tendi a comunicare alle persone nuove, o sul lavoro, che sei bipolare?
All'inizio non l'ho presa bene. In famiglia, ma in generale, si parlava poco di disturbi mentali. Mi sembrava di non essere più la stessa che credevo, quindi tendevo a tenerlo estremamente riservato. Poi però, dopo un ricovero, decisi di comunicarlo a tutte le persone che mi circondavano. E ho ottenuto moltissima solidarietà. Lì ho capito che se fossi stata la prima a nascondermi, sarei stata la prima a non accettarmi.

Fino a qualche tempo fa lavoravo come designer in una grande azienda. E quando ho comunicato la mia realtà al mio capo lui mi ha detto, "Per me tu sei Ilaria, una designer. Non sei Ilaria, la ragazza bipolare." Mi sono resa conto che anche sul lavoro potevo ricevere solidarietà e comprensione. Quindi lo dico sempre, quando faccio un colloquio. Certo, ci sono state anche situazioni di potenziali datori di lavoro con delle perplessità. Ma in quel caso sono io la prima a non voler andare a lavorare in quei posti.

Che tipo di trattamento si segue con un disturbo di questo tipo? Si può curare?
Il disturbo bipolare ha una componente genetica, quindi non è qualcosa da cui "guarisci". Ma si può convivere molto bene con la propria condizione. Fare una vita piena di belle esperienze e legami, come quella di tutti. Quanto alla terapia, si segue un regime farmacologico che varia in base al paziente e alla sua esperienza. Stabilizzanti dell'umore, antipsicotici, antidepressivi ecc ecc. Poi fai anche psicoterapia. Io, ad esempio, faccio terapia cognitivo-comportamentale.

Ci sono cose che ti provocano più fastidio, e peggiorano il tuo disturbo? Luoghi, situazioni, comportamenti…
A parte fissazioni mie, che ho sempre avuto, ci sono cose a cui stare attenti, sì. Bisogna dormire un numero sufficiente di ore per notte, limitare il consumo di caffeina, ed evitare i super alcolici e le droghe. Potrei richiedere la cannabis terapeutica, però diciamo che l'erba che si trova sul mercato nero sarebbe da evitare.

Hai delle paure legate al tuo disturbo?
Quella più grande è la possibile difficoltà di avere figli. Ne ho parlato col mio psichiatra perché mi piace essere preparata, e lui mi ha detto che dovrei interrompere la terapia sia per rimanere incinta, sia durante la gravidanza. Con il rischio di ricadute. Quindi insomma, non è semplice…

Che consigli daresti a una persona a cui è stato diagnosticato il bipolarismo? E a una persona con un parente/amico/partner bipolare?
Quello che mi dice sempre il mio psichiatra: rassegnarsi. Non in modo negativo, anche se di primo acchito sembra una cosa triste. Accettarlo. Ok è una malattia, ok è cronica, però puoi reagire, prenderti cura di te, e vivere una vita come quella degli altri. Solo con qualche accorgimento in più.

A chi circonda questa persona, invece, consiglierei di trattarlo/a sempre con normalità. Quando vedete che va troppo "su" o "giù" di umore riportatelo alla realtà con dolcezza e comprensione. Capite che in quei momenti è difficile rendersi conto della situazione. E segnalate i vari cambiamenti al medico curante, che è molto importante.