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(Foto di Clarence Davis/NY Daily News Archive via Getty Images)
Musica

'Ready To Die' di Notorious B.I.G. era un grido di disperazione

Se lo riascolti bene, ti accorgerai che nel primo album di Biggie—che compie 25 anni—c'era già scritta la sua fine.
HF
illustrazioni di Hunter French

C'è un punto circa a metà di Ready to Die in cui Notorious B.I.G. assomiglia un po' a uno speaker motivazionale. Il primo verso di "Everyday Struggle" è "So come ci si sente ad alzarsi e sentirsi fottuti". Big invita l'ascoltatore a identificarsi in lui. Capisce perché è così stressato, conosce il peso di svegliarsi con lo spettro minaccioso delle bollette da pagare. "Ricordo, ero proprio come voi", rappa. Non voleva un diploma, voleva i soldi. Così se li è presi, prima vendendo fialette nel quartiere di Bed-Stuy, poi portando carichi più grossi giù a Raleigh, North Carolina. La storia è sempre la stessa: perdizione, redenzione, saggezza.

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Ma non è lì che finisce Biggie. La seconda strofa della canzone termina con i suoi amici uccisi o carcerati. La terza con lui terrorizzato, rassegnato a una guerra con gli sbirri che lo chiamano per nome. L'unica volta che comunica qualcosa di simile alla gioia è quando parla di essere sfuggito a una denuncia per aggressione. Il ritornello si appoggia sul fondo dell'abisso: "Non voglio più vivere".

La morte di cui Big parla nel suo primo album non è la morte da mito che Tupac sembrava corteggiare nei suoi dischi. A quella ci arriverà dopo: l'ultima canzone di Life After Death è intitolata "You're Nobody ('Til Somebody Kills You)". Ma in Ready to Die, il fatalismo non è ostentato e arrogante, né mitologico. È piccolo, brutto e inevitabile. Nella canzone che chiude l'album, prima di premere il grilletto, dice che non vuole andare in Paradiso, perché probabilmente Dio non ti permette di stare a letto tutto il giorno.

Ready to Die fu registrato in due tempi. Nelle prime sessioni, Big era un ragazzino affamato che aveva appena firmato per Uptown Records grazie a un giovane talent scout di nome Sean Combs, in arte Puff Daddy. Fin dai primi demo, Biggie aveva un senso del tempo sovrumano, un carisma che si trasmetteva intatto attraverso il microfono, una capacità istintiva di dare energia a una parola o a una frase. Ma nel 1993 rappava su una tonalità leggermente più alta rispetto a quella che ricordiamo su "Hypnotize" e sembrava ancora voler esplorare la sua voce. Aveva il controllo, senza dubbio, ma era un tipo diverso di controllo. È il periodo in cui Big ha inciso pezzi come "Gimme the Loot", un piccolo capolavoro che, dal punto di vista della voce, sembra un duetto con una versione impazzita di se stesso.

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Le canzoni del 1993 sono piene di criminalità—piccola criminalità, criminalità violenta, una criminalità che non funge da catalizzatore per una crescita personale o un movimento di trama. È quel tipo di criminalità che esiste perché alcuni giovani uomini hanno fame e devono mangiare. Può essere brutale (come il famoso aneddoto delle donne incinte derubate delle loro collane "#1 MOM" in "Gimme The Loot") e anche imbarazzante (nell'intro dell'album, interpreta se stesso da ragazzino, che rapina un treno perché sua madre non gli fa tenere soldi suoi). Questo racconto è veicolato tramite un rap agitato, vivido, dettagliato, subdolamente ma a tratti anche esplicitamente ridicolo. Come quando ti dice esattamente dove tiene la sua mitraglietta dentro il Land Rover.

Prese nell'insieme, queste vignette dipingono la vita di Big come qualcosa di pericoloso e difficile. Mostrano anche le sue impressionanti doti narrative: non ci sono due storie che abbiano un inizio o una fine simili, o lo stesso meccanismo di interazione fra i personaggi, o la stessa energia. "Loot" parla di un amico testa calda che si vanta di "derubare stronzi dai tempi della tratta degli schiavi", mentre "Warning" si dipana lungo una serie di dicerie, filtrate attraverso scampoli di conversazioni intercettati da cimici telefoniche.

La storia è sempre la stessa: perdizione, redenzione, saggezza.

Quel primo turno di registrazioni finì con il licenziamento di Combs dalla Uptown. Questo gettò Big in quella specie di purgatorio in cui finiscono incastrati molti artisti emergenti, a volte per sempre. Fu a quel punto che si trasferì a Raleigh, stabilendosi nella parte sud della città e muovendo più merce possibile. I suoi amici laggiù lo conoscevano semplicemente come "Fat Chris". Ma Combs riuscì a strappare un accordo alla Arista per lanciare una sua etichetta, Bad Boy, e cominciò a trasformarsi in un'idea chiamata Puff Daddy. Nel '94 riuscì a riportare Big a New York e in studio per finire il disco. Qui la voce di Big diventò un po' più profonda, più roca, la sua pronuncia più pulita e controllata. Puff tolse ogni freno alla sua ambizione: le sparatorie dei poliziotti in "Machine Gun Funk" sarebbero stata roba da radio clandestina, ma facendo rappare Big sopra i campioni di Mtume e degli Isley Brothers lui puntava direttamente alle classifiche.

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Di queste sessioni si è sempre detto che Big non era contento di essere stato spinto in quella direzione, ma nei dischi sembra assolutamente convinto: "Juicy" è una delle canzoni più dolorose e allo stesso tempo più felici che siano mai state scritte, dall'infantile gioia per essere in grado di pagare una bolletta da 2000 dollari agli orecchini giganti che compra per sua figlia, al modo in cui dice che sua madre "sorride ogni volta che la mia faccia è su The Source". Molte canzoni pop imposte su dischi rap di quell'epoca sembrano, appunto, imposte. Queste invece sembrano sgorgare dalle vene di Big.

Ready to Die è il prodotto di una paura e una disperazione tanto opprimenti quanto stimolanti—così potenti che anche il loro più grande cantore non oserebbe dire di averle sconfitte.

Eppure, nel contesto dell'album, entrambe quelle canzoni avrebbero potuto uscire da una sorta di stato di trance, esplicitamente diverso dall'orrore ricorsivo di Ready To Die. Mentre la prima infornata di canzoni era bilanciata dai pezzi più sanguigni e sessuali ("Friend of Mine", la prima "One More Chance"), "Big Poppa" e "Juicy" sembrano nascere dall'altra parte di un fossato invalicabile. Il Biggie di "Gimme the Loot" non si farebbe mai vedere in un bar che serve vino. Guardiamo la sequenza della tracklist. "Big Poppa" è seguita immediatamente da "Respect", con la quale impariamo che Big era nato con il cordone ombelicale avvolto attorno al collo, "Juicy" da "Everyday Struggle". Non c'è nemmeno l'illusione di una via d'uscita.

Ready to Die fu finito grazie a una serie di trucchetti e illusioni: DJ Premier diede a Big il beat di "Unbelievable" per soli 5000 dollari, visto che il budget era stato speso tutto ed era l'ultimo pezzo del puzzle mancante prima del mastering. Method Man—ai tempi uno dei rapper più famosi del mondo—fu pagato appena la metà di tanto per il suo contributo a "The What?" e fu costretto a perseguitare Puff per avere quei soldi. C'è anche la famosa storia del beat di "Juicy Fruit", che Pete Rock sostiene di aver fatto sentire a Puff a casa sua, e che Puff avrebbe fatto ricreare alla sua squadra per risparmiare. I soldi sarebbero arrivati, comunque, e alla fine tutti furono pagati: Puff ci aveva visto giusto.

Ma la cosa importante e unica del primo album è che a parte i due singoli di cui sopra non sembra puntare alle ville e alle macchine. Anzi, porta l'ascoltatore molto lontano da quel mondo. Nella famosa ultima traccia, "Suicidal Thoughts", Big si preoccupa che sua madre non lo ami più, forse si pente di non aver abortito. Altrove ruba dalla sua borsa e ignora le richieste di lei di stare lontano dalla strada, arrivando a urlare a un certo punto: "Fanculo il mondo / Fanculo mia madre e la mia ragazza". Quello che "Suicidal Thoughts" rende chiaro è che Ready to Die è il prodotto di una paura e una disperazione che sono tanto opprimenti quanto stimolanti—così potenti che anche il loro più grande cantore non oserebbe dire di averle sconfitte. Una versione di questo articolo è stata pubblicata su VICE US. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.