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Musica

Sono stata al concerto dei Queens of the Stone Age con i Coma Cose

Abbiamo parlato con Fausto e California di Rock con la R maiuscola e del momento di grazia della musica italiana.
Carlotta Sisti
Milan, IT
I Coma Cose e l'autrice nella cameretta di Noisey agli I-Days. Foto di Kevin Spicy.

Il quarto giorno di I-Days noi di Noisey eravamo, ormai, delle brutte persone, mal nutrite, cerulee e sull’orlo dell’alienazione. I nostri discorsi, per intenderci, vertevano su incubi e risvegli nel cuore della notte precedente e sulle possibilità che ciò fosse dovuto alla luna piena. Per non darla vinta alla spossatezza, all’odio verso qualunque suono di chitarra e per scacciare quel senso di cemento avviluppato attorno alla gambe, chi scrive ha ben pensato di ingollare quantità smodate di Pepsi-zero-calorie abbinata a integratori gusto sex on the beach a base di ginseng e, a questo punto ne ho quasi la certezza, anfetamine. Il risultato sono stati spasmi di varia natura e un principio di sindrome di Tourette.

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Per uscire da quell’inferno ho prima valutato l’idea di provocarmi una piccola asfissia, annegando parzialmente nella vasca delle palline messa a disposizione da Sammontana, poi, un secondo prima di questo gesto estremo, m’è giunta voce che il caddy aveva infine recuperato all’ingresso i Coma Cose, nostri ospiti per la giornata. Questa notizia e il fatto che Fausto e Francesca, appena messo piede al festival, si fossero sparati una foto con il vero eroe di questi giorni, ovvero la mascotte di I-Days (che i bookmaker davano per fottuto già il primo giorno, quando l’hanno visto divincolarsi dalla presa di chi voleva infilargli quel gigantesco testone di peluche giallo) hanno fatto tornare una generale presa bene.

Siete qui per i Queens of the Stone Age: chi è più fan di voi due?
California: Io. Li amo molto, anche se all’inizio, come spesso accade, li ho scoperti abbastanza per caso. Il fatto è che ascoltavo un botto di hip hop e solo quello, poi verso i 20 anni mi sono rotta le palle e ho iniziato a cercare random musica rock. In questa ricerca famelica sono incappata in Songs for the Deaf e già dall’intro mi ha conquistata completamente, amore a assoluto al primo ascolto, tant’è che credo di saperlo ancora tutto a memoria quel disco, che a mio parere è il loro più figo in assoluto. Da lì ho continuato a sentirmeli sempre, con entusiasmo altalenante, ma non li ho mai visti dal vivo.

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Come mai?
California: Soprattutto perché ho sempre lavorato un sacco nella vita, e per di più di sera o proprio di notte, e quindi non è che avessi molto tempo per andare ai live. Ho ricominciato, felicemente, da 3-4 anni e pian piano mi sto rifacendo, anche se poi capita, come ti dicevo prima, che ci siano dei live che vorrei vedere più di ogni altra cosa (vedi alla voce Miss Lauryn Hill) e quella stessa sera ci sia da suonare con i Coma Cose. E rosichi una cifra, ma poi te la metti via.

Ma queste situazioni da grandissimi numeri vi piacciono?
Fausto: Dai, dimmi un po’ di numeri.

Eh, la serata dei Pearl jam ha fatto circa 80 mila persone. Vi torna o vi fa strano?
California: Un po' entrambe le cose, sinceramente.
Fausto: Beh, dai, loro sono proprio nell’olimpo delle rock star, sono delle figure mitologiche. Ci sta che vada tanta gente e che magari ci sia un pubblico adulto che può spendere certe cifre. Tornando, invece, ai QOTSA, io non li ho mai seguiti granché, salvo qualche pezzo qua e là, tipo quello con Dave Grohl alla batteria che mi ha folgorato, anche perché da fan dei Nirvana seguo tutto quello che fa il vecchio Dave. Uscito lui dal gruppo, li ho abbastanza persi.

Il rock non è esattamente il tuo?
Fausto: Così standard, e ora gli amanti del genere mi lapideranno, mi rompe, perché amo la cose più sperimentali e contaminate. Ben venga il rock, ma mischiato con altro, dal rap a, chessò, la techno. La band generalista che fa solo un genere mi annoia, però è anche vero che quando vai a vedere dei mostri sacri sei certo di vedere un certo tipo di bomba live. Anzi, ho un sacco di fotta di vederli, anche perché se dici “su le mani” e ti rispondono 50 mila persone non c’è un cazzo da dire: c’è un tipo di energia potentissima che ti smuove per forza, anche se non sai mezza canzone.

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Quando non si è fan, forse, ci si gode di più lo show?
Fausto: Sì, assolutamente, non si ha quell’ansia da “oddio, devo vederlo, devo andare davanti, deve farmi questa”.
California: Eh, io invece ho quelle 2-3 canzoni che se non mi fanno ci resto male, tipo "A Song for the Dead", che so che fanno per ultima perché mi sono informata, e poi a me piace tantissimo "Mosquito Song", che è una ballad e penso proprio che la facciano, no?

Ma se doveste dirmi band o pop star che vorreste sentire capitando, come oggi, a un festival un po’ per caso chi scegliereste?
Fausto: Rihanna o Beyoncé.
California: Io andrei proprio sparata a vedere Beyoncé, senza aspettare che sia in una line up di un festival!
Fausto: Io penso sempre che dietro un grande successo, parlo di pop star, ci sia comunque sempre anche grande talento. Magari uno è comunicativo, magari un altro è paraculo, magari è marketing, però c’è sempre talento. Quando diventano star mondiali, andarli a vedere live è utile e quasi sicuramente è anche bello. E chi vorrebbe fare questo di mestiere come noi, ogni volta può capire qualcosa in più di certe dinamiche.

Ma quindi voi quando andate ai concerti un po’ state anche lavorando?
Fausto: Sì sì, di brutto.
California: Sì, osserviamo tutto, il palco, i movimenti, le cose che succedono e come succedono…
Fausto: Le luci, il fumo, il fonico, il mixer del fonico. E penso che succeda quasi a tutti noi che facciamo musica. Ti dico che una volta, non mi chiedere perché, mi sono trovato a San Siro a vedere i Muse nella zona VIP, e di fianco a me avevo Ligabue che, insieme a suo fratello, ha passato tutta la serata a commentare il concerto tipo: "Ah, vedi questa cosa, anche noi potremmo…” Per noi fare 50mila persone è un sogno, però in fondo le dinamiche sono le stesse anche se hai davanti qualche centinaio di persone, è solo che qui la parte professionale e tecnica ti fa davvero godere, perché immagino sia tutto impeccabile.

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Beh, voi comunque avete macinato 40 concerti solo quest’anno, ne avete davanti ancora un bel po’ per tutta estate: come sta andando la gestione di ritmi così intensi?
California: Beh, innanzitutto ci stava una pausa di relax com’è la giornata di oggi, che anche se abbiamo le antenne puntate per captare spunti, è comunque una giornata di pausa. Poi, per il resto, sta andando tutto davvero bene, ogni data segna una piccola crescita e ci dà modo di ragionare sulle cose per migliorare, per aggiustare il tiro, per essere ancora più soddisfatti.
Fausto: Io, poi, a fine live mi dileguo e faccio fare i selfie a lei.
California: No, è diverso: mi spinge proprio in braccio alla gente e poi scappa. Però è tutto molto figo, in questo momento, perché stiamo vedendo crescere il pubblico, e penso che non ci possa essere nulla di meglio di questo.
Fausto: Poi ci succedono cose belle, tipo oggi che eravamo in treno e avevamo fame ma non c’eravamo portati niente da mangiare, è arrivato un tipo di Napoli e ci ha offerto una profusone di taralli fatti dalla mamma e ce li ha regalati in cambio di un selfie.
California: Da oggi in poi dovremmo sempre barattare selfie con cose da mangiare, anche solo una caramella.

Io appoggio da sempre il ritorno al baratto. Quindi, per tornare al discorso dei live e per poi lasciarvi andare a prendere posizione per i QOTSA, come ultima cosa vi chiedo se anche per voi, come per altri artisti che sono venuti a trovarci, questo è un ottimo momento per la musica italiana suonata.
Fausto: Sì, certo, siamo d’accordo che questo sia un momento bomba. Prima di tutto perché c’è tanta musica bella, figlia del fatto che non ce n’era per niente da tanto tempo, e questa voglia di andare ai concerti è figlia del fatto che non ce n’erano da tanto tempo. Adesso secondo me i ragazzi hanno davvero voglia di tornare ai live, dopo che per diverso tempo si erano chiusi in realtà virtuali e internettiane che li facevano rimanere chiusi in cameretta. Il concerto è una cosa vera, che ti fa toccare, sentire, sporcarti. Hanno contribuito due fattori secondo me: il bere, che ha confinato a lungo i ragazzi nel bar sotto casa perché nei locali costava troppo, e la discoteca, che ha smesso di essere interessante. Quindi, credo, i concerti sono la nuova discoteca. E tanti sono onnivori di concerti, quindi sì, è proprio un bel momento storico, che non va a toccare solo un genere, ma che li abbraccia tutti.

I ragazzi, a questo, punto, hanno la giusta fotta di andare verso l’area concerti, e chissà se saranno riusciti nell’intento di nutrirsi in cambio di foto, che questo non me l’hanno detto. Ciò che mi hanno, invece, mandato, un paio di giorni dopo la fine di I-Days, quando il mondo è tornato un luogo a colori, è stato questo commento ai due live finali: “Il concerto è stato figo, bella per gli Offspring, (un po’ mummificati ma, ahimè, il tempo passa per tutti) che, nonostante qualche calo, con i singoloni hanno fatto ballare le migliaia di persone presenti, risvegliando quella parte adolescenza/westcoast/punkusa che ha attraversato tutti noi. Dopodiché è cambiato il mood: schermi in bianco e nero, luci e set minimali e spazio alle chitarre di Josh Homme e soci. C’è spazio per qualche brano dell’ultimo disco Villains, ma ovviamente i picchi li raggiungono con le hit raccolte in carriera. Fortunatamente ce ne piazzano anche qualcuna di Songs For The Deaf (eravamo venuti per quelle). Il concerto scorre veloce, pochi fronzoli tra cui un tostissimo assolo di batteria su “No One Knows”. Impeccabili, asciutti e compatti, un gran concerto Rock nel senso atavico del termine, Rock nella sua purezza che poi noi un disco di “rock puro” non ce lo ascolteremmo mai però dal vivo quando partono gli assoli di una hollowbody ti piglia sempre bene. W Elvis, a parte il troppo burro d’arachidi hai ispirato persone a fare grandi cose. Grazie e alla prossima!”.

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