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VICE News

Il medico che nell'Ottocento curava i napoletani con la cannabis

Raffaele Valieri era un medico di cui si sa molto poco, ma che un paio di secoli fa capì che la cannabis indica poteva essere usata in medicina con buoni risultati.

Lo scorso settembre, durante la Medical Cannabis European Conference (MCEC) di Bari, è successo qualcosa di importante per i pazienti della cannabis terapeutica italiana: il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, avrebbe lanciato una "mini-rivolta delle Regioni" per trovare una soluzione alla carenza di medicinali a base di cannabinoidi che da qualche mese colpisce l'Italia.

In pratica, la Puglia si starebbe apprestando a intraprendere la strada dell'autoproduzione di cannabis terapeutica.

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La cannabis terapeutica in Italia è legale dal 2007, ossia da quando il ministro della Salute Livia Turco ha ammesso, tramite decreto, l'utilizzo di medicinali contenenti THC quali sostanze attive. Negli anni successivi, in questo senso, si sono moltiplicati gli interventi—tra attribuzioni di maggiore autonomia alle regioni, definizioni di classi di malattie curabili con la cannabis, e giravolte continue sulle modalità di prescrizione di tali farmaci.

Ma tutto questo non ha fatto altro che complicare un tema già di per sé complesso.

A questo, inoltre, c'è da aggiunge che a parte quella prodotta dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze (al momento appena 50 chili all'anno), tutta la cannabis terapeutica consumata oggi in Italia viene importata dall'Olanda. E quando i raccolti, come quest'anno, sono stati scarsi, le conseguenze sono consegne ritardate o addirittura saltate. Da qui, la "rivolta" delle regioni italiane, orientate verso l'autoproduzione.

IL PAESE DELL'AUTOPRODUZIONE La prospettiva dell'autoproduzione non è una novità, per l'Italia. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, il nostro paese era infatti il primo produttore europeo di canapa, con 100mila ettari coltivati.

Era una specie di tradizione, che nel corso dei decenni si è imposta in numerose aree del paese, diventando la principale fonte di reddito di migliaia di famiglie. Ma sebbene la pianta venisse utilizzata quasi prettamente in ambito tessile, già alla fine dell'Ottocento c'era chi aveva iniziato a sperimentare con la cannabis a scopo sanitario.

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Raffaele Valieri è un medico napoletano di cui si sa molto poco. Tra le scarne testimonianze sulla sua vita ci sono il suo necrologio—datato 1898—e qualche documento che attestava del suo attivismo nella cura degli strati più poveri della popolazione napoletana, in un momento storico molto difficile per la città—la fine del 19esimo secolo.

Nella seconda metà dell'Ottocento, Napoli fu colpita da ben quattro epidemie di colera: la prima nel 1855, la seconda nel 1866, la terza nel 1873 e la quarta nel 1884.

Quest'ultima fu la più grave, causando circa 8mila vittime solo nell'area metropolitana. Il motivo per cui Napoli era così colpita dal colera in quel periodo era dovuto alla congestione dei quartieri bassi e all'insufficienza della rete fognaria: nel 1885, in seguito all'ultima epidemia, il governo de Pretis diede l'ordine di "sventrare Napoli"—ossia di bonificare la città con una serie di grandi interventi per creare una rete fognaria efficace, nell'ambito del famigerato Risanamento di Napoli, che mutò radicalmente il volto della maggior parte dei quartieri della città.

Raffaele Valieri si trovò a operare in questo contesto. Era il primario dell'Ospedale degli Incurabili, un'istituzione nella sanità popolare napoletana che si occupava di pazienti in condizioni di estrema povertà, e che non avevano accesso a nessun altro luogo di cura. Su queste persone Valieri iniziò a sperimentare la cannabis, raccogliendo i suoi pensieri nel pamphlet Canapa agli incurabili - Sulla canapa nostrana e suoi preparati in sostituzione della cannabis indica.

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"Da molti anni ho rivolto la mia attenzione sul valore positivo fisioterapico della Cannabis Indica e de' suoi preparati nella cura di alcune malattie nervose," scriveva Valieri.

"L'ho trovata vantaggiosa nell'isterismo, nell'asma, nell'enfisema pulmonare, nell'emicrania e soprattutto nel Gozzo esoftalmico. L'ho trovata infine vantaggiosa in altre nevrosi di origine centrale e periferica, nelle nevralgie de' nervi periferici, trigemino, plesso cervico occipitale e brachiale, plesso lombare e sacrale; nell'ipercinesia facciale."

LA CANNABIS TERAPEUTICA DELL'OTTOCENTO

Per giungere a queste conclusioni, il medico somministrava la pianta ai suoi pazienti in modi molto diversi tra loro, annotando per ciascuno di essi effetti positivi e controindicazioni.

La lista delle modalità di assunzione comprendeva masticazione, pipe e sigarette, decotti o infusi, liquori, acqua distillata, pastiglie, perle, olii essenziali, tinture ed estratti. Valieri sperimentava anche su se stesso, annotando gli effetti: "il sonno dapprima tranquillo, poi intercalato da sussulti tendinei e muscolari; poi da sogni di benessere, di piacevolezza, di soddisfazione," scrive, mentre in un altro passaggio racconta di aver assunto un decotto che gli aveva causato "un torpore e una rilasciatezza generale."

I grandi benefici che gli "incurabili" di Valieri ottenevano dalla cannabis terapeutica fecero sì che il medico iniziasse una vera e propria battaglia personale per lo sdoganamento di questo tipo di cura, arrivando a chiedere alle autorità sanitarie di dotare ogni ASL di un ambiente per l'assunzione di cannabis—il "gabinetto d'inalazione."

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Valieri organizzò una stanza del genere nell'Ospedale degli Incurabili, che divenne in breve tempo meta di pellegrinaggio soprattutto per gli asmatici, che ricavavano i maggiori benefici dalla somministrazione di derivati della canapa. Ma non solo: il medico si ritrovò presto ad avere a che fare con numerose altre persone, affette da una miriade di malattie differenti.

In un documento del 1888 intitolato Sul Gozzo Esoftalmico curato e guarito dalla sola Canapa e suoi preparati, Valieri si sofferma sulla sua esperienza con tre di queste pazienti.

"Tre donne a Gozzo Esoftalmico tipico ho curato e guarito colla sola Canapa e suoi preparati, così pure altre di Gozzo atipico o frusto, per le quali fo accenno soltanto in questa Memoria," spiegava.

"Una delle tre la Lucia Zaccaria, è stata curata nella terza sala degl'Incurabili nel 1884, con tutto il rigorismo sperimentale, della quale darò più ampi ragguagli clinico-terapici; le altre due sono state curate fuori dell'Ospedale, la prima A. G. nel 1875 e l'altra S. P. nel 1887 - Su queste tre furono in vano sperimentati tutti i rimedii rutinari, da me e da altri Medici, prima di venire alla canapa e suoi preparati, che ne affermò la completa guarigione."

GLI ESPERIMENTI

Nonostante i numerosi attestati di stima ricevuti, le decine di persone guarite e l'esser stato in grado di imporre un nuovo tipo di cura, la preoccupazione di Valieri riguardava il tipo di pianta da utilizzare per le sue terapie.

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Alla fine del 19esimo secolo la cura tramite cannabis era una pratica già diffusa in varie parti del mondo, con numerosi testi che ne esaltavano le proprietà benefiche: il problema era che la varietà indiana, più usata in queste cure, era difficile da reperire sul mercato italiano. L'attenzione di Valieri si rivolse dunque nel dimostrare come la varietà sativa italiana detenesse le stesse proprietà benefiche della varietà indiana.

"Mi recai a Casoria e suoi dintorni, che formano uno de' centri più industriali e produttivi nella coltivazione della canapa (…). Mi procurai molti sacchi di tali sommità fiorite vegete e fresche, le feci subito trasportare nella Farmacia del nostro Ospedale," scrive Valieri nel suo pamphlet, per poi passare a descrivere la trasformazione del suo raccolto in decotti, infusi e sigarette per testarne l'efficacia.

"Da questi sperimenti naturali si rileva che ancora nelle esalazioni dalla canapa nostrana fresca si ravvisano i fenomeni caratteristici della canapa indiana (…). In conclusione finale possiamo dedurre che i fenomeni della canapa nostrana sono identici a quelli della canapa indiana, però in modo e proporzioni alquanto ridotte. Onde possiamo conchiudere che nella prescrizione della canapa nostrana bisogna raddoppiare la dose."

Dimostrata l'efficienza della varietà italiana, Valieri trascorse gli ultimi anni della sua vita a fare pressioni sulle istituzioni perché ne abbassassero ulteriormente i prezzi al grammo, così da renderla accessibile agli strati più poveri della popolazione.

Tra gabinetti di inalazione e sperimentazioni di successo, in pochi anni Valieri aveva messo l'Italia sui binari dell'innovazione nel campo della cannabis terapeutica.

Nei decenni successivi sono successe molte cose: è scoppiata la guerra alla droga, è venuto alla luce Giovanardi e sono nati gli speciali del Corriere della Sera. E oggi, a 130 anni dalla pubblicazione del pamphlet di Valieri, l'Italia non è ancora in grado di garantire il diritto di cura ai suoi malati.