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Come sta andando la "guerra" di Anonymous contro lo Stato Islamico?

Dopo gli attacchi di Parigi, Anonymous ha lanciato OpParis e "dichiarato guerra" allo Stato Islamico. Ma cosa sta facendo, concretamente?
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Lo scorso 1 dicembre l'account Twitter OpParis, riconducibile al collettivo di hacktivist Anonymous, ha pubblicato un video in italiano nel quale avverte l'autoproclamato Stato Islamico (IS) di essere quasi vicini ai loro "padroni": "Sappiamo che ci temete, sappiamo che vi nascondete come topi in trappola: ricordate, OpParis non si fermerà."

Dopo gli attacchi di Parigi del 13 novembre, il collettivo ha pubblicato un video in cui veniva annunciato il lancio della "più grande mobilitazione nella storia del gruppo" per combattere IS, denominata - appunto - OpParis.

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L'operazione, arrivata dopo mesi di azioni simili sotto il nome di OpCharlieHebdo, OpIsis e OpIceIsis in seguito agli attacchi di gennaio scorso contro la redazione di Charlie Hebdo, si prefiggeva l'obiettivo di minare sistematicamente la presenza online dei supporter di IS e dei loro canali di propaganda.

"Vogliamo stanare i jihadisti, identificarli e consegnare le loro identità all'opinione pubblica perché vengano fermati" aveva spiegato il fondatore italiano di OpParis a Carola Frediani sulla Stampa.

Cosa sta facendo Anonymous

Il gruppo, in pratica, sta battendo a tappeto tutta la rete Internet - 'emersa' o non indicizzata - per rintracciare profili social da segnalare alle piattaforme, e penetrare siti di propaganda e forum di coordinamento per sottrarre informazioni sensibili—per poi, eventualmente, mandarli offline.

La raccolta dei profili social sospetti viene solitamente condivisa in chat pubbliche o aggregata su fogli online consultabili e modificabili. Questi vengono poi verificati e segnalati anche grazie a dei bot che automatizzano la procedura di "reporting."

In sostanza, mentre operazioni delle forze di sicurezza di tutta Europa continuano ad andare avanti alla ricerca dei presunti attentatori coinvolti, sul web e nel deep web si muove un botta e risposta continuo tra il gruppo fondamentalista e un collettivo di hacker che cerca di rendergli difficile la vita online.

Leggi anche: Il collettivo di hacker Anonymous ha dichiarato guerra allo Stato Islamico

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È il caso per esempio della guida "How to hack ISIS," elaborata e diffusa da Anonymous, alla quale è poi seguito il manuale di replica dei militanti di IS, su come navigare in sicurezza e prevenire il tracciamento online.

Ma malgrado operazioni di questo tipo vengano spesso salutate sui social network con favore, incontrando il consenso di chi vede nelle azioni del gruppo la reazione di un Occidente altrimenti "inerme," OpParis - così come le altre - è tuttora al centro di un dibattito che ha coinvolto i membri stessi di Anonymous, e che all'esterno ha visto contrapporsi le tesi di chi pensa possano essere utili, e chi crede che azioni di questo tipo non servano assolutamente a nulla.

Quanto è efficace

Secondo TechInsider, all'interno del gruppo sarebbero molte le lamentele di chi considererebbe le azioni attuali come sostanzialmente inutili. "Dobbiamo rendercene conto, questa cosa di Twitter non serve a un cazzo."

"A tutti piace poter parlare di 'hackeraggio', ma in realtà Anonymous non sta facendo altro che fare un sacco di ricerca, identificare e monitorare tutto ciò che IS può usare per comunicare, e cercare di far chiudere questi canali" aveva spiegato Gregg Housh, ex membro del gruppo ed esperto di censure e libertà online, al Washington Post.

"Stanno cercando, in pratica, di minare l'abilità del gruppo di parlare al pubblico, e penso che gli effetti siano dignitosi," aggiungeva Housh. Chiarendo che, comunque, malgrado i problemi e la relativa inefficacia delle operazioni, impedire le comunicazioni online e tracciare il lavoro di IS su internet sia comunque "meglio di niente."

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Sulla stessa linea anche J. M. Berger, co-autore del libro "Isis: The State of Terror," che vede queste operazioni di identificazioni come essenziali per rispondere alla propaganda di IS, "ma un lavoro che va fatto con attenzione, altrimenti rischia di produrre effetti controproducenti, come nuove ondate di attivazioni di account."

Difficile, peraltro, si possa 'osare' di più. Come spiegava Federico Nejrotti qualche giorno fa su Motherboard, la risposta alla domanda su cosa possa effettivamente fare Anonymous contro IS è "nient'altro". "Gli sforzi di Anonymous - continuava - rischiano di contribuire soltanto a scalfire la corazza della macchina di propaganda."

Leggi anche: Come Telegram è diventato la macchina di propaganda dello Stato Islamico

Non manca comunque chi crede che gli "attacchi" di Anonymous siano non solo decisamente inutili, ma persino dannosi.

Stando a Marco Arnaboldi di ISPI, l'Istituto Per gli Studi di Politica Internazionale, le operazioni genererebbero addirittura un "effetto indesiderato." Come dichiarato all'Ansa dall'esperto, "distruggere queste reti non serve, elimina solo la facciata, che subito viene ricreata altrove: ma così facendo si perde ogni traccia."

Finché possiamo monitorare questi account, concludeva, "sarebbe meglio lasciarli lì, così che si possa continuare a farlo".

Una posizione che trova il favore del membro del Copasir (il comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) Angelo Toffalo, secondo il quale - in occasione dell'approvazione del decreto antiterrorismo all Camera il 31 marzo scorso - siti vicini alla propaganda jihadista andrebbero "lasciati aperti" e "costantemente monitorati per capire chi si collega, che discorsi si fanno, come si sviluppa il dibattito politico tra i diversi gruppi, che linguaggio si usa e come si modifica nel tempo."

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Come sta andando

Ad oggi, Anonymous sta coordinando una serie di azioni che per il momento hanno portato all'oscuramento - tramite segnalazione - di migliaia di profili Twitter ritenuti vicini allo Stato Islamico - più di 20mila, secondo le stime del gruppo - e oscurato decine di siti web nei quali l'ideologia del califfato veniva esaltata e diffusa.

Fatte salve le critiche e i metodi, e le decine di migliaia di account sospetti bloccati - e non di "utenti," dato che ogni user può riaprire subito un nuovo profilo appena gliene viene cancellato uno - non pochi sono stati i casi in cui, come riportano DailyDotBBC, le liste degli account Twitter da analizzare e far chiudere sarebbero risultate "pesantemente imprecise"—a confermarlo sarebbe stato un portavoce stesso di Twitter.

La creazione di liste poco curate ha portato spesso alla chiusura di profili che nulla avevano a che vedere con la propaganda fondamentalista, e all'oscuramento di portali accademici—come Jihadology di Aaron Zelin, che si è visto forzare il proprio sito perché scambiato per un militante di IS.

L'efficiacia dell'offensiva di Anonymous sarebbe poi minata da dinamiche puramente quantitative. "Coloro che stanno portando avanti questa cyberwarfare contro IS si contano nell'ordine di decine," spiegava Humera Khan, direttore di un think tank americano che lavora nell'ambito della lotta all'estremismo islamico, all'MIT Technology Review. "Non è sufficiente."

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Anonymous, tuttavia, non è l'unico gruppo online interessato a fermare in qualche modo lo Stato Islamico.

Da un costola del collettivo, per esempio, è nato GhostSecGroup, che dall'attacco di Charlie Hebdo in poi avrebbe oscurato - secondo le loro stime - fino a 150 siti e centomila profili Twitter. Sono loro ad aver creato l'account @CtrlSec, che pubblica gli username di jihadisti e loro sostenitori, invitando l'utenza a segnalarli alla piattaforma. Di recente, inoltre, GhostSec ha hackerato un sito di propaganda del califfato riempiendolo di pubblicità di Prozac che puntavano alla farmacia online in bitcoin "CoinRx."

GhostSecurityGroup, invece, è un altro gruppo con nome simile, e avrebbe rapporti diretti con l'antiterrorismo statunitense—con la quale collabora per individuare profili sospetti aiutare il lavoro "di funzionari francesi e statunitensi nel lavoro di intelligence successivo a Parigi," come spiegavano alla Stampa. Negli ultimi tempi, poi, alcuni gruppi d'estrazione musulmana avrebbero cominciato a pubblicare video su YouTube e a lanciare campagne di contropropaganda contro IS.


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