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Ilaria Cucchi dice che l'Arma vuole punire i carabinieri che hanno parlato

Dal comandante generale Giovanni Nistri sarebbero arrivati "45 minuti di sproloquio contro Casamassima, Rosati e Tedesco, gli unici tre che hanno deciso di rompere il muro" nel caso Cucchi.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Ilaria cucchi tribunale​
Ilaria Cucchi. Foto via Facebook.

Che qualcosa non fosse andato per il verso giusto nell’incontro tra Ilaria Cucchi, la ministra della difesa Elisabetta Trenta e il comandante generale dei carabinieri Giovanni Nistri lo si era capito già la sera del 17 ottobre 2018. Davanti ai giornalisti si era presentata solo Trenta, parlando di una “scelta concordata” tra i presenti e di un “segnale di unità che vogliamo dare.”

L’avvocato Fabio Anselmo, tuttavia, era stato molto più criptico. Alla domanda se fosse andata veramente così, aveva risposto con un lapidario “non dico nulla.”

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Ora sappiamo il perché. In una conferenza convocata ieri pomeriggio alla stampa estera di Roma, Ilaria Cucchi ha usato parole pesantissime contro Nistri: “Dal generale mi sarei aspettata non dico delle scuse, perché avrebbe potuto essere per lui troppo imbarazzante, ma certo non 45 minuti di sproloquio contro Casamassima, Rosati e Tedesco, gli unici tre pubblici ufficiali che hanno deciso di rompere il muro di omertà nel mio processo.”

Anselmo—a margine della conferenza—ha poi aggiunto che questo è un “segnale bruttissimo,” perché arriva in un momento del processo molto delicato e soprattutto “nel corso di indagini delicatissime.”

Su Facebook, la ministra Trenta—che ha ribadito di sentire fortemente “la responsabilità di questa vicenda”—ha però fornito una diversa versione dei fatti. “Il Comandante dell'Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri non ha portato avanti alcun sproloquio e non ha manifestato nei confronti di nessuno pregiudizi punitivi. Ero presente, se lo avesse fatto sarei intervenuta!”

Ilaria Cucchi ha risposto a sua volta confermando la sua “gratitudine e stima” per Trenta, e dicendo che questa volta “non potevo tacere.”

Chi ha taciuto invece è stato Nistri. La settimana scorsa, quando Tedesco ha ammesso per la prima volta il pestaggio a Stefano Cucchi, il generale ha parlato più volte alla stampa; e queste interviste possono far luce su un certo atteggiamento.

Conversando con il giornalista Giovanni Bianconi del Corriere della Sera, il comandante ha detto che quando “sarà fatta chiarezza su tutti gli aspetti di questa vicenda disonorevole, l’Arma prenderà i propri provvedimenti e saprà farlo con il massimo rigore, senza remore e senza riguardi per gli eventuali colpevoli.”

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Lo stesso ha poi aggiunto che i carabinieri sono “al fianco della magistratura che è riuscita ad aprire questo spiraglio di luce.” Tuttavia, Bianconi gli ha ricordato una cosa molto semplice: lo spiraglio si è aperto dopo nove anni, e solo dopo l’iniziativa personale di un carabiniere che ha mentito per tutto questo tempo e—per sua stessa ammissione—non ormai aveva più nulla da perdere. Ed è questa “imbarazzante realtà,” che si accompagna alla “rete di protezione” che c’è stata intorno agli imputati, a mettere “a dura prova la fiducia verso l’istituzione.”

Sul punto Nistri ha assunto una posizione marcatamente difensiva: si tratta di “un singolo episodio” perché “i carabinieri non sono rappresentati dalle persone coinvolte nel caso Cucchi.” Per poi aggiungere: “Siamo di fronte a una patologia che non è stata affrontata subito e ha prodotto una cisti che s’è trasformata in un cancro, a una metastasi. Ma è circoscritta a quel fatto.”

Concetto ribadito anche in un’intervista a Radio Capital, in cui Nistri ha spiegato che “ci sono episodi esecrabili, per i quali l’Arma giustamente si deve scusare.” Però, attenzione, “non come istituzione”; ma per il fatto che “alcuni dei suoi componenti, chiamiamoli infedeli o scorretti, sono venuti meno al dovere che avevano anche nei confronti della stessa Arma.”

Eppure, per quello che sta venendo fuori dal processo-bis—e soprattutto dalle indagini ancora in corso della procura di Roma—è davvero difficile parlare di “singolo episodio”.

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Anzitutto, se la difesa della famiglia Cucchi non avesse fatto parlare Riccardo Casamassima il caso si sarebbe chiuso con l’assoluzione di tutti gli imputati nel primo processo. Tra l’altro, Casamassima ha già pagato un prezzo molto alto subendo varie ritorsioni burocratiche e disciplinari.

E poi c’è tutta la sfilza di falsi orchestrati dai carabinieri che costella il caso Cucchi. Come ha ricordato Carlo Bonini su Repubblica, sono almeno sette. Tra i quali spiccano il registro del fotosegnalamento della stazione Casilina dove è avvenuto il pestaggio; due annotazioni della caserma di Tor Sapienza; il registro che custodiva la nota di servizio in cui Tedesco aveva informato i suoi superiori di quanto accaduto realmente; e la “sequenza informatica dei protocolli interni all’Arma.”

Sono dei falsi macroscopici, appunto, che “rendono difficile credere siano stati cucinati in solitudine da un maresciallo [Roberto Mandolini, all’epoca comandante della caserma Appia e ora imputato per falso e calunnia]” e lasciano presagire “complicità più alte in grado” su cui la procura di Roma ha aperto un nuovo filone d’indagine.

Altro che “patologia” circoscritta, insomma; per quello che sta venendo fuori, il caso Cucchi interpella un intero sistema. Per questo motivo, trovo parecchio fastidiosa un’altra argomentazione che si è fatta strada dopo l’ammissione di Tedesco: quella, avanzata tra gli altri dal suo legale, che ha parlato di “un riscatto per il mio assistito e per l’intera arma dei carabinieri.”

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