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Musica

La guida di Noisey alla musica di Yoko Ono

Yoko Ono è molto di più della vedova di John Lennon o addirittura "la stronza che ha rovinato i Beatles"; in occasione del suo ultimo album abbiamo esplorato la sua discografia.
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Polaroid di Andy Warhol e Yoko Ono. Foto di John Lennon, © Yoko Ono Lennon.

Tutte le foto di questo articolo sono tratte dal libro Imagine John Yoko, scritto da John Lennon e Yoko Ono e pubblicato da L'Ippocampo Edizioni, che ringraziamo per la disponibilità.

Certo la vita è proprio buffa: non ho fatto in tempo a scrivere un articolo sul ritorno in pista di Paul McCartney, che subito mi appare l'occasione di scrivere della sua “nemesi” Yoko Ono, che ha appena pubblicato il suo nuovo album/raccolta rivisitata intitolata Warzone.

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Sì, proprio Yoko Ono, quella che è sempre stata etichettata come una dragon lady manipolatrice, una stronza, quella che ha rovinato i Beatles, l’artista concettuale pretenziosa, la "parassita" di John Lennon. Si direbbe che l’ex signora Lennon sia la sosia di Satana a sentire i detrattori gonfi di pregiudizi. Invidie, maschilismo, razzismo: Yoko Ono con la sua fortissima personalità fuori da qualsiasi schema è riuscita a portare alla luce lo schifo di un sistema, quello del pop e dell’arte contemporanea, che cercando di combatterla non faceva altro che scavarsi ulteriormente la fossa verso una colossale perdita di credibilità dell’arte ufficiale tutta. Yoko ha sperimentato tutto quello che poteva sperimentare fottendosene dell’etichetta e delle etichette. È la madrina del noise, del kraut rock, del post punk. Tutti i suoi esperimenti, più o meno riusciti, perché un esperimento a volte deve anche fallire per poter aggiustare il tiro subito dopo, hanno indicato il futuro.

A ottantantacinque anni suonati Yoko Ono ancora rompe il cazzo con opere controverse e indigeste urlando il suo fiero e cristallino disappunto contro l’ipocrisia sociale, dopo una vita di disastri iniziata nella bambagia dell’alta società giapponese presto decaduta fino a condizioni di fame, sopravvivendo ai bombardamenti di Tokyo vivendo in un bunker. Ma c’è dell’altro: il rapimento, durato anni, della prima figlia Kyoko da parte del padre Tony Cox nel 1971; circa tre aborti spontanei; persecuzioni politiche. Una storia proseguita con problemi di droga e con il brutale assassinio dell’uomo che amava, John Lennon. In passato, tra l’altro, vessata dai suoi stessi familiari perché faceva una vita “borderline” e alternativa, lontana dai fasti idealizzati del sangue blu. Insomma una vita di merda, se non fosse altro che dalla merda Yoko ha tirato fuori i diamanti, come quando riuscì a vendere per svariati milioni di dollari una mucca a un miliardario, convincendolo che fosse un’opera d’arte concettuale. Se non è essere un genio questo, non so che altro dire. Lennon a confronto era un pivello a ripetizioni di arte.

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Yoko Ono faceva anche film sperimentali con i contro cazzi. A parte quelli più famosi, tipo Bottoms in cui si vedono una serie di chiappe nude di persone comuni a simboleggiare che siamo tutti uguali, la ricordiamo invece per cose molto meno “leggere” come Rape, un film in cui si anticipa e si analizza il fenomeno dello stalking, soprattutto quello mediatico che non fa altro che stuprarti giorno e notte standoti alle calcagna e distruggendo lentamente la tua vita privata.

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John e Yoko a letto. Foto di Kieron Murphy, © Yoko Ono Lennon.

Nella mia breve (ma intensa) carriera di studente di cinema, ricordo che una volta a una lezione di film sperimentali alla Sapienza, dopo l’ennesima dose di Kenneth Anger e roba simile chiaramente tutta al maschile, io esclamai ad alta voce in aula: "e Yoko Ono?" Imbarazzato, il docente dovette tornare sui suoi passi e citarla a dovere. Sfido io, faceva parte del Fluxus e ha performato e suonato con gente come Ornette Coleman e John Cage; uno dei suoi mentori è stato La Monte Young e, prima di Lennon, i suoi partner sono stati il geniale compositore giapponese d’avanguardia Toshi Ichiyanagi e l’altrettanto “capoccione” Anthony Cox.

Dicono che sia avida, perfida, Crudelia Demon. Beh ragazzi, se una donna determinata e indiscutibilmente intelligente viene etichettata così solo perché vi fa il culo, allora i coglioni siete voi. Anche perché la nostra eroina ha dimostrato sul campo tutto il suo valore e non ha bisogno di difensori. Tutto quello che ha ottenuto se l’è sudato, non importa come e perché.

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E quindi andiamo subito a questa pratica guida per capire la “figlia dell’oceano”, come la chiamava Lennon nel testo di "Julia", traducendo il suo nome dal giapponese all’inglese.

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Definire i dischi con Lennon è un’impresa: non tanto perché manchi una letteratura a riguardo, ma perché trattasi di opere in cui i due sono letteralmente a nudo (come da copertina del primo disco insieme, poi ovviamente censurata), come se rendessero pubblici i risultati di lunghe sedute dallo psicologo. Già dal primo album, Unfinished Music No. 1 - Two Virgins, vediamo la narrazione di un amore in divenire attraverso il playground degli strumenti musicali condivisi e dell’improvvisazione anarchica, tanto splendido quanto appunto indigeribile e naif. Espressione pura, come sarà anche nei successivi dischi Unfinished Music No. 2 - Life With The Lions e Wedding Album. Il primo narrerà la difficile situazione della coppia in lotta fra i suddetti aborti spontanei e arresti per possesso di stupefacenti, così come la stigmatizzazione e l’accanimento su di loro in quanto coppia mista, tra le prime del rock.

Unfinished Music 1 e 2 sembrano i deliri di due matti, ma il Wedding Album che documenta le loro nozze e nasce come una bomboniera per i fans è ancora meglio (o peggio, a seconda): in sostanza un disco fatto di vuoto, riempito essenzialmente dall'avvenimento storico del Bed-In (la famosa protesta di una settimana a letto), documentato dall’intervista sul lato B. In pratica uno dei pochissimi dischi sperimentali nato ispirandosi allo stile del "documento storico sonoro" tipo discorsi di Churchill o di qualche altro politico d'epoca incisi su vinile.

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Incredibili e coraggiosi, anche nel disco Sometime in New York City del 1972 i due cercano di sperimentare una nuova via alla canzone politica con risultati quantomeno goffi, ma hanno la grandissima dote di intuire che la vera canzone politica nasce proprio per essere forzata. Tant’è che la cosa più diretta del disco è la micidiale jam con Frank Zappa, "Au", in cui Ono si getta in una graffiante performance basandosi sui soli feedback dell’ampli, uno dei migliori e lancinanti brani del disco. Successivamente la coppia si dividerà gli album basandosi su un pop di pregio in cui ognuno cerca di doppiare l’altro, inseguirlo, imitarlo e superarlo sullo stesso terreno, creando un qualcosa di veramente unico nel panorama in quanto a tensione erotico-artistica.

La rappresentazione vivente della crescita di un rapporto basata sullo sviluppo delle proprie capacità mettendosi in gioco su campi contrastanti: Lennon che vuole fare Yoko e Yoko che vuole fare Lennon. La vita dà è toglie: per cui al successo di Double Fantasy, album che non ha bisogno di presentazioni, l’orrore della stessa vita farà si che l’ultimo disco del duo sarà postumo. Milk and Honey uscirà quattro anni dopo l’omicidio di Lennon, uno dei tanti motivi per cui le accuse a Yoko di marciarci sopra, a nostro avviso, sono solo chiacchiere. È un disco sofferto, in cui i brani di Yoko rappresentano l’esatto estremo speculare a un Lennon che impasta panettoni di pop rock sonico: brani come "You Are The One" o "Sleepless Night" non possono lasciarci indifferenti, se abbiamo un cuore. È come svuotare finalmente le budella dopo anni di costipazione.

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Yoko e John si interessano nel 1970 di una pratica psicologica chiamata primal scream , basata sull’urlo primordiale che dovrebbe liberarti dai traumi. Nello stesso anno esce questo disco a nome Yoko Ono/Plastic Ono Band, speculare a quello di Lennon chiaramente uscito con la stessa ragione sociale. La Plastic Ono Band, in realtà, su idea di Yoko, pare all’inizio dovesse essere un semplice “ghettoblaster” che riproduceva i pezzi: poi diventò un vero e proprio arsenale di guerra sonora in carne e ossa (tra le sue fila contiamo Ringo Starr, Eric Clapton, ma di base chiunque si aggiungesse ai due coniugi).

Il primo disco della Ono è di una potenza strabordante e già nel 1970 anticipa tutti i generi possibili in quello che sarà poi l’armamentario espressivo degli anni Settanta/Ottanta/Novanta. Va oltre il pop, è punk già oltre il post punk, è una cosa che ancora oggi a risentirla è strabiliante e ha influenzato più o meno tutti gli act estremi da lì agli anni Duemila. Non a caso Thurston Moore la omaggiò nel suo primo disco solista chiamandola senza se e senza ma “regina del noise” nel grandioso brano “Ono Soul”. I Sonic Youth collaboreranno spesso con lei (vedi il disco YOKOKIMTHURSTON), così come i Flaming Lips.

A seguire abbiamo Fly di cui già parlammo (insieme a Unfinished Music No. 1) in questo articolo sulla Apple: ecco, aggiungiamo solo che in questo periodo Lennon scriveva Imagine sotto l’"egida della tonalità", non proprio audacissima benché ispirata proprio da una delle tante visioni zen ermetiche ed estreme di sua moglie, mentre lei al contrario buttava giù una delle opere di maggiore violenza espressiva di sempre. Violenza, attenzione, di cambiamento e non di odio, che viene mondata col suo attivismo pacifista e permeata di una rivoluzione non decodificata, anzi surrealista (pensiamo al Bagism o al Bed-In, che non hanno bisogno di presentazioni) per cui ovviamente tacciata facilmente d’ingenuità o nei migliori casi di cazzaraggio. Ebbene, ancora una volta è viceversa: ha fatto più lei di tutti i sinistronzi che la criticavano ieri e che la criticano oggi, i classici “leoni imbalsamati” nelle loro certezze fallimentari. Quella che potete sentire qua sopra è quindi una selezione delle cose più potenti mai uscita da mente umana e in particolare femminile, per dare a Yoko quel che è di Yoko.

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Certo, Yoko Ono non era solo questo: era anche una poetessa capace di racchiudere in due parole un intero sistema di universi. Esempio di quello che dico è quella che per me è la bibbia di Gerusalemme, ovvero Grapefruit: un insieme di versi filosofici zen, haiku concettuali e riflessioni saggistiche illuminanti su quello che è l’arte e quello che la gente vorrebbe che sia. Ci basti citare questo passaggio: ”Il senso comune ti impedisce di pensare. Abbi meno senso e troverai più senso”.

La Ono fa piazza pulita del confine tra arte e vita, preferendo che la bilancia penda verso la seconda e dando alla prima il valore di qualcosa che facilmente viene inquinato dalla vanagloria e quindi va ridimensionato e ridotto all’osso. Per questo il suo attivismo rispetto alla condizione femminile è altissimo e forse senza precedenti nella storia della musica: perché non possiamo parlare di arte se non ci mettiamo in testa che è sempre stata pilotata da mani maschili, pur essendo spinta da ampie forze femminili. "Revolution No. 9" dei Beatles, senza la Ono, non sarebbe mai esistita, come neanche "I Want You (She’s So Heavy)", la sopracitata "Imagine" e, nel caso dei Beatles, neanche il simbolo della Apple. La famosa mela fu quella del peccato, grazie alla quale Yoko e John s’incontrarono: a una mostra di lei, infatti, Lennon fu molto divertito da un’opera che era in pratica una mela vera con tanto di targhetta “apple” venduta al prezzo di 200 sterline.

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Abbiamo quindi due dischi fondamentali, Approximately Infinite Universe del 1972 e Feeling The Space del 1973 in cui si osano progressioni armoniche diaboliche come in "Yang Yang", o "Woman Power" in cui la nostra diventa una specie di Betty Davis dagli occhi a mandorla. Lavori dai quali possiamo estrapolare prima di tutto il tentativo di unire Oriente e Occidente nell’unico nome del pop rock (esempio che poi sarà di act come Cibo Matto e Yellow Magic Orchestra), e in secondo luogo il tentativo di sposare un canto melodico che però abbia ancora collegamenti con quella vocalità primitiva e “sgraziata” tipica dell’impro archetipo-anarchica della Ono. Il risultato è eccellente e dovrebbe essere ricordato come uno degli esperimenti meglio riusciti della nostra.

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La Ono è stata una pioniera anche nel genere no wave, quando ancora molti avevano il ciuccio in bocca. In particolare nel 1980, la nostra aveva inciso insieme all’aiuto del fido Lennon un pezzo, "Walking on Thin Ice", che si dice ispirato alla roba dei B52s e di Lene Lovich, che a loro volta s’ispiravano dichiaratamente a lei. Solo che poi quando lo metti su automaticamente ti vengono in mente i gruppi noise degli anni Duemila, oppure quelli ibridi tipo i Liars: insomma, il pezzo si mangia abbondantemente i riferimenti di partenza in quanto a visionarietà.

Mentre sta per essere completato, il pezzo (poeticamente tragico nel suo testo) vede con i suoi occhi la morte di Lennon, che in questo disco compie il suo ultimo atto creativo suonando la chitarra in maniera che manco Fripp sotto botta. Yoko fa uscire il singolo dopo pochi mesi del decesso e fioccano subito le accuse di speculazione: nessuno ha mai pensato a un semplice e doveroso omaggio a Lennon, di un’intensità incredibile che lo piazza immediatamente tra i grandi classici. Tanto che Lennon pare avesse profetizzato: “questo sarà il tuo primo numero uno, Yoko”. E lo sarà. Ma proprio per farvi capire quanto fosse forte il pregiudizio, all’epoca arrivò soltanto a ridosso del 58° posto della classifica di Billboard. Diventerà un primo posto nel dancefloor solo nel 2003, tanto per sottolineare quanto Yoko stesse avanti.

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Anche il disco Seasons of Glass, criticato anch'esso per la sua cruda ed eloquente copertina, risulta invece un esorcismo necessario contro una situazione durissima come la perdita di quella che senza alcun dubbio era la sua metà insostituibile. Ribadiamo che Yoko ha influenzato Lennon tantissimo a lasciarsi andare e abbandonare la rigidità machista ben presente in molte canzoni dei Beatles e aprirsi finalmente alla parte femminile, modificando completamente il suo modo di approcciarsi agli strumenti. Pensate al modo di suonare la chitarra di Lennon in Plastic Ono Band: pare di sentire i primi Arab On Radar, cazzo. Nello stesso tempo, l’influenza di Lennon nella scrittura “pop” della Ono, campo che bazzicava pochissimo venendo lei dall’improvvisazione performativa, sarà fondamentale: due anime destinate a inseguirsi per sempre, anche sfidando la morte.

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E’ comprensibile perché la Ono irriti tanto i benpensanti: perché fa l’esatto contrario di quello che il mondo si aspetta da lei. C’è la paura in giro? Dobbiamo esserne spaventati. C’è la fame? Dobbiamo sentirci affamati, anche senza esserlo. Muore tuo marito? Devi essere vedova inconsolabile. Ma perché? Ma chi l’ha detto?

Così lei nel 1986 fa uscire, per mettere i puntini sulle i, questo disco assurdo chiamato Starpeace (che purtroppo non è su Spotify quindi non è incluso nella playlist, ma andate a sentire la title track e "Cape Clear"). Prendendo per il culo il programma di guerra spaziale di Reagan e combattendo con l’ottimismo ironico una situazione militarmente preoccupante che però può essere ribaltata usando gli stessi mezzi del nemico. Basta lagnarsi, lavoriamo per una pace interstellare: ed ecco quindi pezzi assurdi a base di stratificazioni hyperpop di campionamenti, fairlight, chitarre synth e tutto il cucuzzaro in uno dei dischi più belli di sempre dell’Ono, con la produzione di Bill Laswell. All’epoca fu un flop totale, tanto che Yoko decise di allontanarsi dal mondo delle sette note concentrandosi solo sull’arte. Come spesso accade in questi casi, il disco merita invece di entrare dalla porta principale dei dischi seminali e fondamentali, ancora tutti da scoprire. E, infatti, nell’ultimo Warzone, la Ono riesuma molti dei brani presenti in quel disco, vista la situazione politica nient'affatto rosea che ci ritroviamo nel mondo.

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John & Yoko nel bosco a Tittenhurst. Foto di Peter Fordham, © Yoko Ono Lennon.

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Come abbiamo già detto la Ono è stata un punto di riferimento non solo per alcuni act new wave fine anni Settanta (ricordiamo i Plastics che indossavano la sua t-shirt) ma anche e soprattutto per il noise anni Novanta-Duemila. Nonostante la sua veneranda età, Yoko Ono nel 1996 torna con un disco zozzissimo, Rising. Qui a suonare sono gli Ima, una backing band che vede tra le file suo figlio Sean.

Sean, unico figlio di Lennon e Yoko, rappresenta forse l’esempio di chi nasce nel momento sbagliato nell’era giusta. Se non fosse stato figlio di Lennon, l’avrebbe superato in quanto a genialità. Suona infatti ogni strumento, è un grandissimo autore di canzoni, lo trovi in qualsiasi situazione, che sia pop od estrema (vedi i Soulfly), ha vari progetti tipo The Claypool Lennon Delirium con gente come Les Claypool dei Primus ed è uno dei pochi a portare davvero avanti l’esperienza psichedelica post-Beatles senza timori reverenziali. Ma tant’è, qui si supera accompagnando la madre in un approccio post-noise velvetiano, in un disco che è senza dubbiouno dei dischi più fighi di Yoko, ringiovanita dalla linfa vitale dei ragazzini che ha cresciuto e che si porta appresso a suonare.

Il suo ritrovato interesse verso una musica meno accondiscendente ha visto anche il ritorno della Plastic Ono Band, questa volta i membri sono gente come Cornelius, Yuka Honda delle Cibo Matto e… Lenny Kravitz!!! Già che ci siamo, non possiamo non citare Rising Mixes, in cui gli ospiti sono tanti e importanti e rivisitano il disco amplificandone la potenza propulsiva. Ma i remix di Yoko Ono meritano un capitolo a parte.

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A parte Rising Mixes (in cui c’è un remix di Thurston Moore con ospiti terroristi sonici del calibro di Masonna, Incapacitans, Gerogerigegege e Hanatarash), esistono moltissime rivisitazioni di canzoni di Yoko da parte di altrettanti artisti alternativi. Ricordiamo Yes, I'm A Witch del 2007 e Yes, I’m A Witch Too del 2015 (nome ispirato da un brano contenuto in A Story, lavoro del 1974 pubblicato solo nel 1997), nei quali si chiedeva a blasonati musicisti (Peaches, Le Tigre, Cat Power) di reinterpretare pezzi del catalogo Ono praticamente rivoltandoli come calzini, condizione sine qua non imposta dalla stessa Yoko.

Ma non solo: per farvi capire che dei generi non gliene fotte un cazzo, la Ono ha sperimentato a mani basse anche nel campo della dance. Open Your Box del 2007 la vede in lingerie sexy anche se a ottant’anni, con i suoi pezzi rivisti in chiave dancefloor da Pet Shop Boys, Felix Da Housecat e Bimbo Jones, per citarne alcuni.

Oltre a ciò ha collezionato, finalmente, una serie di alti piazzamenti nelle classifiche da pista da ballo, dimostrando che la giovinezza è nei fatti più che nell’anagrafe. Detto questo, non possiamo che plaudere al ritorno di una donna che il tempo non ha piegato e che, anzi, si piega alla sua volontà.

Mi offrissero di farmi avere la stessa “soul” di Yoko, ci metterei la firma. Ma di Ono, senza dubbio, ce n’è una sola.

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