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Un pomeriggio allo Stadio Olimpico per l'ultima partita di Totti

"Avevo cinque anni quando segnava questo gol," "Ne avevo dieci quando ha esordito," "Mi era nata una figlia nel giorno in cui ha alzato al cielo la Coppa."
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Una settimana fa, cercando di ragionare con dei ragazzini su cosa ti coinvolga così tanto del calcio—non il senso di appartenenza, troppo banale, non l'esultanza per il gol, troppo effimera, e non la rivalità, perché in fondo basarsi solo su quella sarebbe da stronzi—una di loro mi ha detto, "il calcio ti prende perché ogni anno finisce ma poi ricomincia." Qualche giorno dopo, quando sono allo stadio Olimpico per una partita che ha più narrazioni a bivio di una soap opera, quella frase sul finire e poi ricominciare mi torna in mente, e tutto ciò che ho intorno mi conferma che probabilmente è vero: quello che più si ama del calcio ha a che vedere col tempo, con la gestione delle fini, degli inizi e del cambiamento.

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"La maggior parte delle persone crede che il tempo trascorra, in realtà esso sta sempre là dov'è." È un pensiero che viene attribuito a Eihei Dogen, maestro zen giapponese del 1200 che, a dispetto della sua veneranda età, vanta comunque meno presenze in campo di Francesco Totti.

Domenica 28 maggio Totti è un fiume che si riversa tutt'intorno allo Stadio Olimpico, un fiume di maglie col suo nome e col numero 10 sopra che scorre in direzione degli spalti da settimane, mesi, da quando è diventato chiaro al mondo che questa sarebbe stata la sua ultima partita da giocatore. Tuttavia le storie che il fiume trascina con sé vengono anche da più lontano nel tempo, venticinque anni almeno. Venticinque anni che riecheggiano per tutta la durata della partita come segnali di un multiverso in cui ognuno racconta il proprio Totti: "Avevo cinque anni quando segnava questo gol," "Ne avevo dieci quando ha esordito," "Mi era nata una figlia nel giorno in cui ha alzato al cielo la Coppa." C'è un Totti per tutti, e quello in campo finisce oggi.

Su quello stesso campo, la Roma gioca una partita che è costretta a vincere per qualificarsi direttamente alla prossima Champions League, e al contempo deve dire addio al più grande giocatore della sua storia e non solo, a quanto pare, dato che nel pre-partita gli schermi dello stadio trasmettono un video tributo in cui i più grandi calciatori della sua generazione lo omaggiano con aneddoti ed elogi. Ci sono Maldini, Del Piero, Zanetti, Beckham, Gerrard, Sergio Ramos, Seedorf, tutti ex rivali del pubblico di casa eppure celebrati tra gli applausi—tutti tranne Buffon, fischiato non a caso perché è l'unico tra gli italiani ancora in attività.

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Anche in questo caso viene in qualche modo attribuito un significato al tempo.

"Maledetto tempo," è l'incipit che Totti ha scelto per congedarsi dal suo pubblico una volta che la partita è stata vinta e il giro di campo è stato compiuto.

"Oggi questo tempo mi ha bussato sulle spalle e mi ha detto 'domani sarai grande', levati gli scarpini perché da oggi sei un uomo e non potrai sentire l'odore dell'erba così da vicino, il sole in faccia, l'adrenalina che ti consuma e la soddisfazione di esultare. Mi sono chiesto in questi mesi perché mi stiano svegliando da questo sogno. Avete presente quando siete bambini, state sognando qualcosa di bello e vostra madre vi sveglia per andare a scuola? Mentre voi volete continuare a dormire e provate a riprendere il filo di quella storia e non ci si riesce mai? Stavolta non era un sogno, ma la realtà. Mi levo la maglia per l'ultima volta, la piego per bene anche se non sono pronto a dire basta e forse non lo sarò mai. Scusatemi se in questo periodo non ho chiarito i miei pensieri ma spegnere la luce non è facile, adesso ho paura, non è la stessa cosa che si prova davanti alla porta. Concedetemi un po' paura."

È buffo, ma per quanto sia chiaro a tutti, e sin dall'inizio, che è il tempo e non il Genoa il vero avversario di giornata, paradossalmente i presenti sono qui riuniti per celebrare il suo passaggio. Non c'è niente di più sportivo, se ci pensate, della celebrazione di un avversario temuto, odiato perché invincibile. Per tutta la serata, dal pre-partita al lungo e intenso post, ho provato a leggere quanto mi accadeva intorno con gli occhi di un esterno, di astrarmi, rinunciare a personalizzare la mia esperienza per andare al nocciolo della fascinazione tra il campione e il suo pubblico.

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Ok, il romano dal cuore semplice che diventa Capitano, mito, bandiera e simbolo, il talento purissimo, l'icona longeva, ma perché stasera piange a dirotto anche Alisson, secondo portiere della Roma, che lo conosce da meno di un anno?

Una delle risposte me la fornisce una donna con cui ieri mi sono trovato a parlare, che lavora in un ospedale di Roma. Non è un'appassionata di calcio e perciò le chiedo come mai anche lei senta la necessità di celebrare Francesco Totti. "Lui e la sua famiglia hanno sempre avuto a cuore l'ospedale in cui lavoro. Nei mesi tragici senza stipendio un giorno mi arriva tra le mani una busta con un suo biglietto e dentro un bel po' di soldi, che sarebbero poi serviti a pagare bollette dei colleghi più disagiati. All'epoca non ne facemmo parola, tranne in una diretta con una trasmissione in cui il giornalista fece riferimento ad un capitano senza chiamarlo per nome. In realtà non fu l'unico gesto, un giorno ci arrivarono scatoloni con magliette calzini e pupazzi per i bambini."

Della beneficenza fatta da Totti in segreto si è parlato spesso, ma è la prima volta che ne sento un racconto in prima persona. Il segreto ultimo della commozione sta anche lì, nella durata (lunga) del viaggio in cui si intrecciavano imprese in campo e silenziosi assist a gioco fermo.

La vulgata su Totti, quella prodotta dall'ossessione per il risultato, lo vuole un campione incompleto, poiché ha vinto poco. La sua carriera monumentale, più che sui trofei, è stata costruita sulla valorizzazione estetica di porzioni di tempo: gol, gesti tecnici, partite, presenze, rincorse scudetto e un discreto numero di delusioni sportive. Quello che è chiaro in una serata conclusiva come questa è che la summa di quei ritagli di tempo ha mescolato visioni negative e positive della sua esperienza agonistica fino a svuotarle di giudizio, fondendole in un tempo unico di cui nessuno degli astanti sembra rimpiangere la spesa.

Non è tanto quello che il suo pubblico ha desiderato e raggiunto insieme a lui, né quello che ha inseguito e perso. È quello che Totti e i suoi tifosi hanno trovato a metà strada, cercando, che oggi mi rende sicuro dell'irripetibilità di quello che ho visto, e del fatto che non esistono gli addii.

Simone Vacatello è direttore editoriale di Crampi Sportivi. Seguilo su Twitter.