Politică

Sulla pagina Facebook di Salvini si può insultare chiunque, ma non scrivere '49 milioni'

E nemmeno "Armando Siri," "Berlusconi," "Fatti processare," "CasaPound," "Belsito," "Diamanti," "Tanzania" o "Trota."
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Grossomodo, esistono due tipi di persone che commentano i contenuti postati da Matteo Salvini sui social network. Da una parte ci sono i fan sfegatati che si buttano in lodi sperticate al proprio “capitano”; dall’altra stanno i detrattori, cioè coloro che commentano per criticare il vicepremier.

Se appartenete alla seconda categoria, la vostra permanenza sulle pagine social del leader del Carroccio è a rischio: sono ormai parecchie le persone, liberi cittadini e giornalisti, che negli anni hanno denunciato di essere state bloccate solo per aver espresso un’opinione critica nei confronti del vicepremier.

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Per fare qualche esempio, su Facebook esistono una pagina (non più attiva dal 2015) che riunisce tutte le persone bannate dal vicepremier, e il gruppo “QUELLI BLOCCATI DA MATTEO SALVINI.” Due settimane fa, invece, il giornalista Fabio Chiusi—dopo aver scritto un post che analizzava la comunicazione violenta e intollerante di alcuni leader politici—è stato bloccato su Twitter dall’account ufficiale di Salvini.

Se la realtà dei blocchi è ormai nota, la strategia per limitare l’influenza dei commenti negativi sulle pagine social del vicepremier non si ferma qui. Durante questo weekend alcuni giornalisti hanno denunciato la presenza di una blacklist (lista nera) di parole sulla pagina Facebook di Salvini, in particolare sotto la diretta video sulla vicenda della Sea Watch.

Nei casi denunciati da Andrea Spinelli Barile e Massimo Mantellini le parole incriminate sono “49” e "49 milioni"—la famigerata cifra che indica i rimborsi elettorali sottratti dalla Lega allo Stato e mai più ritrovati. In realtà, come stanno facendo in molti, è facilissimo aggirare il blocco: basta scrivere “48+1” oppure il numero a parole (quarantanove).

Altre testate come TPI, sempre riferendosi alla stessa diretta, hanno poi scovato altre parole proibite. Tra queste spicca il nome di Armando Siri, l’ex sottosegretario leghista indagato per corruzione, e anche “Berlusconi,” “trota,” “fatti processare,” "diamanti," "Belsito" (ex tesoriere della Lega Nord), "Tanzania" o “CasaPound.”

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Facendo qualche tentativo ho inoltre scoperto che non si può neanche scrivere il nome della città dove recentemente è stato arrestato il sindaco Giambattista Fratus della Lega, Legnano.

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Ora, la maggior parte delle pagine utilizza una blacklist serve per limitare l’attività di bot e spam, oppure per evitare che gli utenti si insultino con parolacce e minacce.

Nel caso di specie, però, la logica dello staff comunicazione di Salvini non è quella di limitare gli insulti sessisti e razzisti dei sostenitori (presenti a bizzeffe); è censurare preventivamente critiche e parole sgradite al ministro dell’interno. Il che—come ha notato Mantellini—non incarna chissà quale genialità comunicativa, né tanto meno rappresenta un grandioso utilizzo della tecnologia.

Per quanto possa sembrare una questione di poco conto, in realtà la faccenda è seria e piuttosto delicata. Qualche mese fa, negli Stati Uniti, una causa vinta da un cittadino ha segnato uno spartiacque: un funzionario pubblico non può bloccare un altro utente impedendogli così di commentare i post di una pagina Facebook utilizzata a fini istituzionali.

In Italia, invece, l’articolo 21 della Costituzione non dovrebbe lasciare dubbi sulla natura del blocco, temporaneo o definitivo che sia. Come scrive l’avvocato Bruno Saetta su Valigia Blu, “la libertà di manifestazione del pensiero, infatti, è il diritto di poter esprimere liberamente le proprie opinioni e, in tal modo, esercitare non solo la sovranità popolare, ma anche il controllo sull’operato dei funzionari pubblici, compreso i ministri e il presidente del Consiglio. Nessuno escluso.”

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