Quando i dottori hanno effettuato il cesareo d’emergenza di Selina*, lei non capiva perché stesse suonando l’allarme antincendio. Ma non era l’allarme antincendio: c’era un problema. Il tessuto cicatriziale del taglio cesareo precedente era ricresciuto, formando una spessa cintura sotto la quale era bloccato il bambino. Quando suo figlio è finalmente nato, era blu e non piangeva. I medici non sapevano se fosse vivo. Selina ha pianto di sollievo quando, alla fine, ha emesso un vagito.
Niente di tutto questo doveva succedere.
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Ma nonostante avesse già subito un taglio cesareo d’emergenza traumatico per il primo figlio, il marito di Selina pretendeva che per il secondo venisse scelto un VBAC (parto naturale dopo un taglio cesareo). In particolare, un parto in acqua in casa, senza nessun sollievo per il dolore. Lei ricorda di aver chiesto alla famiglia di non volerlo, ma “credevano fossi un’isterica in preda agli ormoni.” È stato solo quando la madre di Selina è intervenuta che quello che adesso è il suo ex marito l’ha portata al pronto soccorso. Una volta lì, aveva continuato a insistere: “Puoi farlo in modo naturale. Le medicine fanno male al bambino. Sei molto forte.”
“È andata avanti per circa 30 ore,” ricorda Selina. “Non avevo preso niente per il dolore e a quel punto ho detto al medico, ‘Voglio tutto quello che avete, non ce la faccio più.’”
Nei nove anni della loro relazione, Selina, adesso poco più che trentenne, ha subito abusi fisici, psicologici e finanziari. L’atteggiamento da padre-padrone del compagno aveva spazzato via la sua autonomia. Anche per il piano di nascita. “Al tempo non lo consideravo invadente o minaccioso,” dice. “Era stato molto persuasivo e convincente.”
La sua storia si inserisce nel quadro del controllo coercitivo, diventato un reato in Inghilterra e Galles nel 2015. Tra i segni: far isolare una persona da amici e familiari, privarla dei bisogni primari, sorvegliarne il tempo e le attività e trattarla in maniera umiliante, degradante o disumana.
L’esperienza di Selina mostra come questo possa accadere anche durante la gravidanza e il parto, quando è dimostrato che oltre un terzo delle violenze domestiche iniziano o peggiorano.
Amy Gibbs, amministratrice delegata di Birthrights, che si batte per il rispetto della dignità durante il parto, spiega: “Il diritto di decidere cosa succede al tuo corpo e le circostanze del parto è protetto dalla legge. Violarlo può avere conseguenze devastanti per la salute fisica o mentale di una donna, ma anche per la relazione con il bambino.”
Per Kathryn* i maltrattamenti sono iniziati quando era incinta di sette mesi. All’inizio, le è stato impedito di frequentare il corso pre-parto. Suo marito era un tossicodipendente e la incoraggiava ad assumere antidolorifici. “Avevo detto che non volevo la diamorfina, ma appena sono stata in travaglio, la prima cosa che ha fatto lui è stato chiedere di darmela.”
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Furioso per le attenzioni che Kathryn aveva ricevuto in ospedale, suo marito aveva iniziato a urlarle contro il giorno dopo il ritorno a casa. “Una persona normalmente si allontana da una sfuriata aggressiva,” dice lei. “Ma avevo mio figlio appena nato tra le braccia. Non riuscivo a tenerlo e sollevare anche me stessa. Quindi sono stata sottoposta a una raffica di abusi, che è diventata un’abitudine.”
Il parto offre molte opportunità di controllo per un partner manipolatore e l’enorme quantità di scelte da fare è anche il motivo per cui c’è una crescente preoccupazione per le donne costrette anche dal personale medico a prendere decisioni affrettate. In definitiva, il consenso non è valido se ottenuto con un’influenza indebita—da qualunque parte provenga.
Ali Edwards, che fa la doula da otto anni, ricorda una donna che cercava disperatamente di evitare un altro taglio cesareo ma è stata scavalcata dal marito: “Era nella vasca e stava facendo un bellissimo travaglio, ma lui è stato irremovibile sul non rischiare un parto col forcipe o con la ventosa. Lei si è zittita mentre lui la faceva uscire dall’acqua e tutto si è fermato. Alla fine ha avuto un altro cesareo.”
Le potenziali conseguenze di un parto traumatico includono un maggiore rischio di depressione postnatale e sintomi da disturbo post-traumatico da stress, come flashback e incubi. La dottoressa Emma Svanberg, psicologa clinica perinatale e co-fondatrice di Make Birth Better, una piattaforma che mira a rendere più rappresentativa la condivisione delle esperienze di nascita, dice: “Le donne possono provare un senso di fallimento o vergogna per un’esperienza di parto che non è andata secondo i piani… E spesso dopo un trauma si cercano di evitare le cose che lo ricordano. Si vedono magari persone che passano il loro bambino ad altre perché se ne prendano cura. O viceversa, persone molto iperprotettive. In entrambe le situazioni, il trauma funge da lente attraverso la quale viene visto il bambino.”
Una donna vedrà probabilmente più operatori sanitari che in qualsiasi altro momento della sua vita durante la gravidanza e la nascita, ma come tutte le forme di violenza, può essere difficile parlare di controllo coercitivo. Edwards è abituata a “leggere tra le righe”, e le ostetriche a usare “piccoli accorgimenti” per arrivare alla donna di cui si occupano, trovando il modo di mandare i compagni fuori dalla stanza.
Kathryn ricorda: “Continuavo a dire ad ogni occasione, ‘Sto bene, ma non credo che mio marito la stia prendendo bene.’ È stato difficile sentire qualcuno dire: ‘In che senso non la sta prendendo bene? È arrabbiato?’
Il controllo coercitivo è difficile sia da riconoscere che da comunicare e, in gravidanza e durante il parto, gli effetti mettono a repentaglio la salute della madre e del bambino. Come dice Gibbs: “Una donna non è solo una persona incinta. Non sta solo dando alla luce un bambino. È un essere umano con i suoi diritti.”
Per Selina, le conseguenze persistono: “Penso che il mio ex sia stato molto astuto e manipolatore. Inizialmente non mi rendevo davvero conto di ciò che stava accadendo,” dice. “Ma ero completamente traumatizzata dopo quel parto. Non credo che avrò mai più figli.”
*I nomi sono stati cambiati per tutelare la privacy.
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