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Sono almeno 10.000 i rifugiati e richiedenti asilo costretti a vivere in situazioni precarie e marginali al di fuori del sistema di accoglienza, accampati in parchi, stazioni ferroviarie, edifici occupati e baraccopoli in giro per l’Italia.
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È quanto denuncia Medici Senza Frontiere (MSF) nel suo ultimo rapporto, intitolato “Fuori campo” e volto a far luce sulle condizioni di vita inaccettabili di molti migranti nel paese.
Dopo anni in cui ha arrancato nella gestione dell’accoglienza, l’Italia si prepara ora ad affrontare una nuova, intensa stagione migratoria, con l’aumento degli arrivi dalla Libia e la chiusura della rotta balcanica e probabilmente, a breve, del confine con l’Austria. Proprio Loris De Filippi, presidente di MSF, ha detto martedì che c’è il rischio che i paesi dell’Europa meridionale come Italia e Grecia diventino “campi profughi a cielo aperto.”
Cosa che, in qualche modo, è già visibile in misura minore in diverse zone della penisola. Durante il 2015, MSF ha visitato 26 insediamenti di fortuna (dei 35 mappati in totale) in cui vivono migliaia di persone richiedenti asilo o rifugiate – quindi con il pieno diritto di risiedere nel nostro paese – in condizioni di profondo disagio a causa delle carenze del sistema di accoglienza italiano.
Ci sono richiedenti asilo appena giunti nel paese, ma abbandonati perché non ci sono posti disponibili nel sistema di accoglienza; rifugiati in Italia da diverso tempo che non sono riusciti ad inserirsi a pieno titolo nella società; persone in transito, dirette verso altri paesi europei.
“Migliaia di uomini, donne, bambini, persone vulnerabili che sono fuggite da situazioni drammatiche e avrebbero ogni diritto a ricevere assistenza, vivono in condizioni deplorevoli, con barriere spesso insormontabili che compromettono l’accesso a cure essenziali,” ha dichiarato Giuseppe De Mola, ricercatore di MSF che ha curato il progetto.
Le condizioni riscontrate da MSF nelle dimore di fortuna che ha visitato sono effettivamente drammatiche. In metà dei siti visitati mancano acqua potabile e corrente elettrica; l’accesso alle cure sanitarie è scarso o inesistente.
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A Roma in soli tre edifici occupati vivono più di 2.000 persone, soprattutto di origine eritrea. A Torino, nei palazzi un tempo destinati agli atleti olimpici, vivono oltre 1.000 persone reduci dai centri di accoglienza aperti nell’ambito del progetto “Emergenza Nord Africa” e chiusi nel 2013.
A Trieste le persone provenienti dalla rotta Balcanica vivevano accampate nei silos dismessi nei pressi della stazione, mentre a Gorizia si erano stabilite nei parchi o nella “giungla” che costeggia il fiume Isonzo.
Tra i siti peggiori, le fabbriche dismesse “Ex Daunialat” di Foggia ed “Ex-Set” di Bari, “un grosso capannone dove vivono fino a 200 rifugiati in una ventina di tende sovraffollate. D’inverno è freddissimo. D’estate è un forno. Piccioni e topi infestano la struttura.”
Le condizioni di vita sono rese ancora più problematiche dall’impossibilità di accesso all’assistenza sanitaria. Secondo quanto riportato da MSF, tra i rifugiati che vivono in Italia da diversi anni, “1 su 3 non è iscritto al Servizio Sanitario Nazionale e 2 su 3 non hanno accesso regolare al medico di famiglia o al pediatra.” Questo è spesso dovuto al fatto che le condizioni abitative più che precarie non permettono a queste persone di registrare la loro residenza anagrafica, impedendogli quindi di iscriversi al Sistema Sanitario Nazionale.
Tra 2014 e 2015 sono arrivati via mare in Italia circa 320.000 migranti, dei quali solo 110.000 hanno presentato la domanda d’asilo in Italia. Il fatto che due terzi dei migranti arrivati nel paese si sono allontanati volontariamente dai centri di accoglienza ha permesso al sistema di accoglienza italiano di non implodere — considerando che, al 31 dicembre 2015, in Italia erano a disposizione in totale 30.000 posti in strutture ordinarie e 80.000 in strutture straordinarie gestite dalle Prefetture.
La carenza di posti nel sistema d’accoglienza è amplificata dall’allungarsi delle tempistiche per il riconoscimento del diritto d’asilo o per i ricorsi in caso di rifiuto. Se nel primo caso l’attesa per le audizioni con i Commissari territoriali che devono analizzare le richieste d’asilo è di circa 9 mesi, nel caso dei ricorsi si può arrivare addirittura a 18 mesi di attesa.
Nel corso dello studio MSF ha intervistato quasi 600 persone, molte delle quali ancora in attesa di intraprendere il percorso per la richiesta d’asilo e di entrare nel sistema di accoglienza governativo.
“Temiamo che queste piccole Idomeni, con la chiusura ulteriore di altre frontiere, possano espandersi e moltiplicarsi.”
Tra queste, il 91,5 per cento è rappresentato da uomini provenienti da Afghanistan e Pakistan con un’età media di 31 anni e mezzo, in Italia da quasi un mese e mezzo. Tra i rifugiati che, invece, sono in Italia da almeno 3 mesi, le nazionalità più numerose sono quella eritrea e quella somala, l’età media è di 34 anni e mezzo e la permanenza media negli accampamenti è di un anno e mezzo, con punte addirittura di cinque anni.
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MSF denuncia l’assenza e l’impotenza delle istituzioni di fronte a questa grave violazione dei diritti delle persone.
“Siamo di fronte a una popolazione invisibile, ignorata o tollerata dalle istituzioni, che invece di fornire soluzioni intervengono solo attraverso sgomberi forzati che non tengono in alcun conto la vulnerabilità di queste persone” ha affermato De Filippi.
“Pur riconoscendo gli sforzi” fatti dall’Italia per migliorare il sistema di accoglienza, MSF chiede alle autorità di lavorare per aumentare la capacità di accoglienza con una pianificazione che superi l’attuale “approccio emergenziale,” garantendo a migranti, richiedenti asilo e rifugiati “condizioni di vita dignitose e i diritti basilari della persona.” Anche in vista dell’aumento di arrivi previsto con la stagione calda e la chiusura delle frontiere in altre zone d’Europa.
“La notizia della barriera al Brennero è sconvolgente,” ha dichiarato De Filippo a margine della presentazione del rapporto. “Oggi abbiamo più di diecimila persone nei siti informali sparsi in tutta Italia, ma temiamo che queste piccole Idomeni, con la chiusura ulteriore di altre frontiere, possano espandersi e moltiplicarsi.”
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Tutte le foto sono di Alessandro Penso, fornite da Medici Senza Frontiere