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Cosa c’è dietro la caccia alle streghe contro le Ong che salvano i migranti in mare

Da Luigi Di Maio alla magistratura, le organizzazioni umanitarie che fanno salvataggi nel Mediterraneo sono accusate di fare da "servizio taxi" ai trafficanti. Ma è davvero così?
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Un'imbarcazione della Ong tedesca Sea-Watch. Foto di Francesco Floris/VICE News

Il dato che arriva dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) è pesante: nei primi quattro mesi del 2017, 1.089 persone sono morte nel Mediterraneo cercando di raggiungere l'Europa. La rotta mediterannea, dunque, rimane una delle più letali per i migranti; e questa è un'evidenza, non l'opinione di qualche think tank finanziato da Soros per implementare il "piano Kalergi."

Eppure, se vi è capitato di leggere anche solo di sfuggita, in questi giorni non si sta affatto parlando di come ridurre (o evitare) questi decessi; al contrario, si stanno accusando le organizzazioni non governative che dal 2014 compiono operazioni di salvataggio in mare.

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Fondamentalmente, la accuse principali sono due: quella di essere in combutta con i trafficanti; e quella di costituire un pull factor, cioè un fattore d'attrazione, perché si spingono troppo vicino alle coste libiche. Oltre a queste, si avanzano dubbi sui loro finanziamenti, sulle modalità da "pirateria a fin di bene" (copyright: Gianni Riotta) con cui operano, sul profilo dei responsabili delle Ong (su tutti quelli di Moas), e infine infine sui loro veri motivi.

Non si tratta di una novità assoluta: alcune di queste argomentazioni si trovano già nel video virale di Luca Donadel "la verità sui 'MIGRANTI'"—che a sua volta aveva unito vari articoli della stampa di destra, un pezzo della fondazione olandese Gefira e un rapporto interno di Frontex, in seguito ridimensionato dalla stessa agenzia europea di frontiera.

Di relativamente nuovo c'è invece l'atteggiamento della politica italiana, che si è avventata sulle Ong come una muta di cani da caccia—e non parlo dei soliti Matteo Salvini o Maurizio Gasparri. Il senatore Nicola Latorre del PD, che sta portando avanti una serie di audizioni in commissione difesa, ha detto che "ci sono troppi punti interrogativi. Vogliamo chiarirci, rispondere a qualche curiosità…E chissà se non aiuteremo a svelare qualche magagna." E Matteo Renzi, a Radio Capital, ha dichiarato che "potrebbe esserci qualcuno che fa il furbo su certe tematiche."

Il Movimento 5 Stelle è il partito che più di ogni altro si è buttato sulla vicenda. Sul blog di Beppe Grillo sono stati pubblicati post in cui si cita l'"oscuro ruolo delle ONG private" dietro agli sbarchi; l'eurodeputata Laura Ferrara ha ribadito di voler conoscere "tutta la verità" sulle Ong; e il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ha parlato di "taxi del Mediterraneo" e di "servizio di trasporto per conto terzi (gli scafisti) che va assolutamente fermato."

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A ben vedere, però, la politica non ha fatto altro che declinare per il proprio tornaconto elettorale accuse, ipotesi e valutazioni partite da un lato da Frontex, e dall'altro da ambienti governativi e dalla procura di Catania. E qui, a questo proposito, serve fare un piccolo passo indietro.

Nel febbraio del 2017, il procuratore Carmelo Zuccaro dichiara di aver aperto un'"indagine conoscitiva" (senza reati o indagati) per "capire chi c'è dietro tutte queste organizzazioni umanitarie che sono proliferate in questi ultimi anni, da dove vengono tutti questi soldi che hanno a disposizione e soprattutto che gioco fanno."

Il 22 marzo Zuccaro, audito dal comitato parlamentare Schengen, accusa le Ong di intralciare "l'attività di contrasto degli organizzatori del traffico dei migranti" e annuncia l'apertura di "un'inchiesta per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina" nei loro confronti—non appena "si verificherà uno di questi casi." Si tratta di una tesi molto simile a quella avanzata dal direttore di Frontex Fabrice Leggeri al giornale tedesco Die Welt.

Si arriva così al weekend di Pasqua, in cui sono tratti in salvo 8500 migranti—molti proprio dalle navi delle Ong. La tedesca Sea-Eye, che sul proprio sito ha raccontato per filo e per segno la difficile operazione SAR (Search & Rescue), ne ha salvati 970. Stando a un articolo de La Stampa, tuttavia, quell'"impennata di sbarchi […] nelle stanze del governo ha generato il sospetto che questa escalation non sia stata casuale: 'Un'azione logistica fuori dal comune, quasi di stampo militare'." Anche Zuccaro ha adombrato gli stessi sospetti, dicendo che "sulle coste libiche c'erano tante navi pronte a partire che sembrava lo Sbarco degli Alleati in Normandia."

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Da lì in avanti, il magistrato inizia a parlare quasi quotidianamente con i media e alza parecchio il tiro delle accuse. In un'intervista a La Stampa del 23 aprile divide le Ong in "buone e cattive" e comunica di avere "evidenze che tra alcune Ong e i trafficanti di uomini che stanno in Libia ci sono contatti diretti" sotto forma di "telefonate che partono dalla Libia, fari che illuminano la rotta verso le navi, e navi che all'improvviso staccano i trasponder."

Stranamente, aggiunge, "non sappiamo ancora se e come utilizzare processualmente queste informazioni." E infatti, come ammette a LiveSicilia, arrivano da "alcune agenzie che non svolgono attività di polizia giudiziaria"—cioè dai servizi segreti tedeschi e olandesi.

Il 26 sera il procuratore di Catania è a Matrix con Luigi Di Maio, mentre il 27 mattina—ad Agoràarriva a dire che "alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti […]. Un traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga." E forse, spiega Zuccaro, "la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune ong finalità diverse: destabilizzare l'economia italiana per trarne dei vantaggi."

Le Ong chiamate in causa da Zuccaro, dai politici e da Frontex respingono con forza tutti gli addebiti. Il presidente di Medici senza frontiere Loris De Filippo—che il 2 maggio sarà ascoltato dalla commissione difesa—dichiara in una nota che "le accuse contro le ONG in mare sono vergognose, ed è ancora più vergognoso che siano esponenti della politica a portarle avanti, attraverso dichiarazioni false che alimentano l'odio e discreditano ONG che hanno come unico obiettivo quello di salvare vite."

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"È una polemica strumentale che nasconde le vere responsabilità di istituzioni e politiche," aggiunge, "che hanno creato questa crisi umanitaria lasciando il mare come unica alternativa e hanno fallito nell'affrontarla e nel fermare il massacro."

In un'audizione del 12 aprile sono sentiti Oscar Camps e Riccardo Gatti, rispettivamente direttore e coordinatore della missione nel Mediterraneo centrale di Proactiva Open Arms. I due spiegano di aver salvato 18.012 persone dalla scorso maggio, e raccontano di come—con l'arrivo della cattiva stagione—Proactiva sia rimasta sostanzialmente sola a fare SAR insieme a SOS Mediterranée, la Marina Militare e la Guardia Costiera italiana. Per quanto riguarda la loro attività di soccorso, dicono, "nella maggior parte dei casi la chiamata di giunge dalla Guardia Costiera di Roma, dal Maritime Rescue Coordination Center (MRCC)," ossia l'unica autorità con il potere di coordinare i salvataggi in mare.

Parlando con Repubblica, Riccardo Gatti ha "escluso categoricamente" di aver ricevuto telefonate dai trafficanti, e precisato che "da anni i migranti che partono hanno in tasca il numero della centrale operativa della guardia costiera italiana. Che ha sempre ammesso di ricevere queste telefonate. Allora mi chiedo: se si accusano le Ong perché avrebbero contatti diretti, perché la stessa accusa non la si muove alla Guardia costiera italiana?"

Il coordinatore di Proactiva racconta inoltre di aver ricevuto una visita piuttosto insistente della polizia subito dopo una missione di salvataggio. "Hanno cominciato a chiedere al comandante con quali soldi avevamo comprato la barca," dice, "quanto costava ogni giorno tenerla in mare, quanto pagavamo di stipendio a lui e al personale di bordo, in che acque operavamo. A quel punto ho capito che la polizia ci stava facendo le stesse domande su cui verte l'inchiesta della Procura di Catania e ho detto: 'Se siamo indagati voglio l'avvocato'. E lì si sono fermati […] e ne sono andati."

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Grafico tratto dal rapporto della Guardia Costiera "Resoconto dell'attività di soccorso ai migranti condotta nel 2015."

A ogni modo, che non ci sia traccia di questi "contatti" non lo dicono unicamente le Ong coinvolte. Eugenio Ambrosi, direttore generale dell'OIM per l'Europa, afferma di non essere a conoscenza di "casi comprovati di collusione" con i trafficanti; e che di certo non aiuta l'"alimentare percezioni che mettono sullo stesso piano o confondono interessi criminali a scopo di lucro di chi mette in pericolo vite umane ed entità senza scopo di lucro che lavorano per salvare vite in mare." Per Ambrosi, comunque, ci sarebbe la "necessità di definire meglio il ruolo e le regole delle ong e le risorse dell'Ue per l'obiettivo principale di garantire che nessuno muoia in mare."

In un'altra audizione risalente al 20 aprile, il generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti mette nero su bianco che "ad oggi, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti di sorta fra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti o ambienti comunque vicini."

Il procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia si mostra decisamente più prudente del suo collega di Catania. "Non sono emersi reati da giustificare l'adozione di provvedimenti da parte nostra," puntualizza in un'intervista. "Se qualcuno va a soccorrere in mare un barcone di migranti, lo fa nello stato di necessità di salvare centinaia di vite umane. In che modo si potrebbe configurare un reato di favoreggiamento quando c'è qualcuno da soccorrere?"

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Il 26 aprile, infine, il vicepresidente della Commissione UE Frans Timmermans dichiara che "non c'è nessun tipo di prova che le Ong lavorino con le reti criminali dei trafficanti di esseri umani per aiutare i migranti a entrare nell'Uninone europea."

Per quanto riguarda l'altra accusa principale alle Ong, quella di fare da pull factor, a ridimensionarla ci ha pensato Enrico Credendino, ammiraglio e comandante della missione EUNAVFOR MED–Operazione Sophia—non esattamente, quindi, un apostolo della "sostituzione etnica." Davanti alla commissione d'inchiesta sul sistema di accoglienza della Camera e alla commissione difesa al Senato, Credendino premette che "non c'è mai stato nessun incidente, né alcuna interferenza tra le ONG e le mie operazioni. Il coordinamento evidentemente funziona. […] Tutte le telefonate vanno al MCCR, e nessuno agisce per conto proprio."

Soffermandosi sul presunto fattore di attrazione, l'ammiraglio ricorda che le stesse accuse erano state mosse alla missione Mare Nostrum (e quindi allo Stato italiano, non ad un privato). "I migranti non partono certamente perché ci sono le navi in mare, ma partono perché ci sono i push factor, i fattori che li spingono a partire (le guerre, il terrorismo, la mancanza di acqua e cibo)," spiega Credendino. "La prova è che quando c'è stata l'interruzione di Mare Nostrum, prima che si attivasse Mare Sicuro sono passati alcuni mesi, durante i quali il numero di migranti in mare è aumentato, non diminuito."

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L'importanza di fare chiarezza sulla questione del pull factor è stata ribadita anche dal viceministro degli esteri Mario Giro: "Accusare le ONG che si prodigano a salvare vite nel mare significa accusare la scelta italiana che, fin dall'operazione Mare Nostrum non ha mai smesso di fare search and rescue. Chi spiega tutto con presunti pull factors dovrebbe fare un'analisi più seria: l'unico vero pull factor che esiste è la presenza dell'Europa a poche miglia marine dalla costa africana."

Insomma: se finora non sono emerse responsabilità penali (e quindi individuali), e non si è dimostrato che le Ong costituiscono un fattore d'attrazione, a cosa punta davvero questa campagna politica e mediatica così intensa e capillare?

Anzitutto a cancellare la realtà sul campo, ossia "l'assenza di mezzi di soccorso europei, il ritiro dalle acque libiche della maggior parte dei mezzi di Frontex, le condizioni para-schiavistiche nelle quali sono trattenuti i migranti in Libia […] e il fallimento degli accordi tra le tribù libiche ed il governo italiano, che avrebbero dovuto bloccare i migranti prima del loro arrivo sulle coste del Mediterraneo."

Poi, naturalmente, a levare di mezzo le imbarcazioni delle Ong dal Mediterraneo; e non di quelle "cattive," ma di tutte, indiscriminatamente.

Come scrive Emilio Druidi sul sito di Associazione Diritti e Frontiere (ADIF), le Ong non si sono svegliate all'improvviso per compiere chissà quali traffici, ma "si sono mobilitate per far fronte alla realtà drammatica causata in buona parte dalla politica europea di 'chiusura' sull'immigrazione."

A questo proposito, un articolo di Limes dello scorso agosto ricostruiva in dettaglio come "con il venir meno di ogni autorità effettiva sul territorio libico abbiamo esteso la nostra competenza anche all'area SAR libica decidendo (ma la decisione è stata una necessaria reazione operativa più che una strategia consapevole) di giocare il ruolo di 'gigante buono' nell'area. Finché ne avremo i mezzi."

A fare salvataggi in quel tratto di Mediterraneo, infatti, sono rimaste la Guardia Costiera, la Marina militare e le Ong. Le conseguenze di un eventuale disimpegno di quest'ultime, pertanto, sono ben evidenti: non solo non ci saranno più "testimoni scomodi" di quanto si sta verificando in mare e della brutalità della Guardia Costiera libica; ma, a fronte di flussi migratori più sostenuti, le vittime nel Mediteranneo aumentaranno esponenzialmente—proprio com'era successo dopo la fine di Mare Nostrum.

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