FYI.

This story is over 5 years old.

Tecnologia

Gli emoji hanno qualche probabilità di diventare una lingua?

Non dovete confondere la moda dei nativi digitali con il fatto che gli emoji possano diventare la lingua madre delle nuove generazioni di ragazzini, incollati agli smartphone e ai tweet di Justin Bieber.

Come tutti gli utenti emoji benpensanti, sono rimasta piacevolmente sorpresa dal recente annuncio di Apple, che sta lavorando per offrire una maggiore diversità etnica sulla tastiera emoji. Ne sentiamo davvero il bisogno: tra gli 800 o giù di lì emoji disponibili, diverse decine rappresentano esseri umani, e tutti tranne due (un uomo con il turbante e un ragazzo con un cappello cinese) hanno la pelle bianca.

Pubblicità

La campagna per la diversità degli emoji è arrivata all'attenzione del pubblico nel dicembre 2012, quando Miley Cyrus ha twittato: "RT se pensate che ci deve essere un #emojiethnicityupdate," e diverse migliaia di persone le hanno fatto eco. La scorsa estate, Motherboard ha dato spazio a una petizione per "rendere gli emoji meno razzisti," ospitata su DoSomething.org.

RT if you think there needs to be an #emojiethnicityupdate

— Miley Ray Cyrus (@MileyCyrus) 19 Dicembre 2012

Quando anche MTV si è interessata al futuro degli emoji, Apple ha finalmente deciso che era arrivato il momento di rispondere. Katie Cotton, vice presidente delle comunicazioni aziendali di Apple in tutto il mondo, era d'accordo sul fatto che "ci deve essere maggiore diversità nel set di caratteri emoji," e ha detto anche che l'azienda stava "lavorando a stretto contatto" sulla questione con il Consorzio Unicode. Il Consorzio Unicode è l'organizzazione responsabile dello sviluppo dell'omonimo standard, che permette agli emoji (così come ad altri simboli) di essere visualizzati correttamente su dispositivi diversi. Senza il loro consenso, Apple non sarebbe in grado di apportare alcuna modifica al suo set di emoji.

Nonostante la diversità etnica sia una eterna assente nella tastiera emoji, ogni fan delle faccine può vantare una lista personale di icone mancanti. Come si fa a esprimere una scrollata di spalle? O dire "spero di sì?” Gli emoji sono nati in Giappone (fatto che rende il loro occidentalismo ancora più incomprensibile) e lo si capisce bene anche dalle icone sul cibo: ci sono diversi tipi di sushi, ma non troverete tacos, abbacchi o hot dog. Alcune persone, in effetti, sono molto più preoccupate del vuoto culinario piuttosto che della disparità etnica. Il che mi induce a chiedermi se non ci sia un modo per alzare un sopracciglio, sempre in stile emoji.

Pubblicità
Immagine: Wikimedia Commons/Intel Free Press

Bernie Hogan, ricercatore presso l' Oxford Internet Institute, lavora sulle questioni di identità e fiducia nei social media. Parlando alla BBC, ha sostenuto l'impegno di Apple per migliorare la diversità degli emoji, ma ha anche osservato che ci saranno "sempre più icone potenziali di quelle che si possono ragionevolmente inserire in un sistema." In pratica, sarebbe impossibile concepire un emoji per ogni oggetto, pensiero ed emozione. Ma anche se fosse possibile, sarebbe auspicabile?

Probabilmente no, mi ha detto Hogan al telefono. Anche il fan emoji più infognato finirebbe con l'utilizzare in modo regolare solo un numero ristretto di emoji. Hogan ha sottolineato che la funzione primaria delle icone è quella di aggiungere "potenza espressiva" alle parole di un testo o di un tweet—e in questi contesti, guarda a caso, siamo portati a comunicare un numero molto limitato di sfumature.

Emojitracker, un sito web che permette di monitorare l'uso di emoji su Twitter in tempo reale, mostra chiaramente che tendiamo a fare un uso sfrenato di un numero limitato di emoji, mentre ne ignoriamo la maggior parte. La sezione della tastiera emoji che raccoglie le icone usate di recente incoraggia l'uso di questo vocabolario ristretto, rendendo l'accesso a 21 icone molto più veloce rispetto alle altre. Il risultato è che, come dice Hogan, quei 21 preferiti "diventano parte della tua grammatica." A parità di significato, ci ritroviamo a bilanciare il piacere di utilizzare un emoji con il fastidio di individuarlo nell'elenco—e più il numero degli emoji cresce, più cercare quello giusto diventa un problema. A un certo punto, ci arrendiamo e torniamo a usare le parole.

Pubblicità
Emoji Dick. Immagine: Fred Benenson/Flickr

Hogan dice che ora è un momento caldo per la creatività legata agli emoji: abbiamo abbastanza familiarità con le icone per riconoscerle e giocare con le loro potenzialità e limiti, ma non a tal punto da trovarle banali. Infatti, ti spieghi il successo delle mostre d'arte emoji, dei video musicali emoji e del contest per ricreare la vita di Nigella Lawson in emoji. Nel febbraio 2013, la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti ha accettato Emoji Dick, una traduzione in emoji del romanzo di Herman Melville. ("Non c'è, in senso letterale, nessun altro libro come questo nelle collezioni della Biblioteca," ha detto uno dei responsabili che ha raccomandato il testo alla direzione.)

Nonostante sia possibile utilizzare gli emoji per ricreare un romanzo di 600 pagine del diciannovesimo secolo e il testo di una canzone pop, le possibilità non sono infinite. Le icone emoji sono più vicine a lingue scritte come il giapponese e il cinese, che all'inglese o all'italiano. Anche se i linguisti ci penserebbero due volte prima di definire gli emoji una lingua. A parte tutto, la portata degli emoji è molto ridotta. I circa 800 emoji possono sembrare un mucchio, ma considerate che un lettore e scrittore esperto di giapponese è in grado di riconoscere ben 2.000 caratteri kanji, e combinarli per ottenere un vocabolario di circa 10.000 parole.

Anche se Apple sfornasse 10.000 nuove icone, gli emoji non sarebbero ancora classificabili come una lingua. Il passo decisivo per diventarlo consiste necessariamente in quella che i linguisti chiamano grammatica generativa: un insieme di regole che determinano il significato e definiscono modi giusti e sbagliati di ordinare le parole. Una lingua seguirà una grammatica precisa a seconda del fatto che faccia riferimento all'alfabeto latino (italiano), agli ideogrammi (giapponese) o a segni (LIS). Quando inviamo un tweet o un messaggio con una sequenza di emoji, l'ordine delle icone non influenza il significato del testo nello stesso modo. Non esiste l'equivalente emoji di una frase insensata e sgrammaticata come "Lisa la cavalletta scarabeo placidamente Gigi."

Pubblicità

Jonnie Robinson, capo curatore di sociolinguistica presso la British Library, mi ha suggerito che gli emoji condividono alcune caratteristiche con gli idiomi pidgin. I pidgin si sviluppano quando due o più gruppi di persone che non parlano la stessa lingua hanno bisogno di trovare un modo per comunicare. Un po' come è successo nelle piantagioni di schiavi, dove le persone provenivano da diverse parti dell'Africa. In genere, i pidgin hanno un vocabolario limitato e sono privi di sfumature, sintassi sviluppata e capacità di adottare un registro, cioè un modo per rivolgerti al capo ufficio in modo più formale di quanto non faresti con un amico.

Immagine: zipckr/Flickr

Chi si esprime con i pidgin, come gli utenti emoji, sviluppa determinate tattiche per aggirare i vincoli di questo sistema di comunicazione limitato, per esempio ripetendo una parola per indicare un salto incrementale. “Grande grande" significa "molto grande.” È un concetto che si traduce facilmente in emoji. All'inizio di quest'anno Hogan, che monitora l'uso degli emoji su Twitter, ha osservato i fan di Justin Bieber twittare righe di emoji in lacrime per esprimere il disagio provato alla notizia del suo arresto.

Quando un pidgin è trasmesso di generazione in generazione, e i bambini iniziano a usarlo come principale mezzo di espressione, l'idioma sviluppa un registro, una sintassi e alcune sfumature—tutte caratteristiche che lo rendono un linguaggio quasi completo. Ma, anche se si sente spesso parlare di nativi digitali, è improbabile che ci sarà mai una generazione di lingua madre emoji.

Il punto è che, anche con tutte gli emoji del mondo, saremmo sempre bloccati a livello di traduzione, piuttosto che elevati a quello di invenzione linguistica—fatta eccezione per i messaggi più semplici. Emoji Dick e la vita di Nigella tradotti in emoji funzionano solo perché sappiamo qualcosa su Moby Dick e Nigella. Posso riuscire a trasmettere il messaggio "Sono così eccitata!” con le icone di mani che applaudono e una donna che balla, ma se voglio raccontare a un amico la mia giornata in dettaglio, devo mettere del testo tra gli emoji, o rischiare di cadere in qualche malinteso.

Insomma, a parte l'uso nei messaggi basilari, gli emoji sono ancora a livello di parolacce e slang—qualcosa che aggiunge colore alla nostra lingua, piuttosto che un linguaggio di per sé. Possiamo solo consolarci del fatto che, quando Apple ci darà la tastiera aggiornata, saremo in grado di usare gli emoji per raccontare la vita di Obama, Aretha Franklin e chiunque altro ci passi per la testa.