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Tecnologia

Non ci sono incentivi economici per fare nuovi antibiotici

Visto il consumo limitato di antibiotici, le compagnie farmaceutiche non hanno buoni motivi per scoprirne di nuovi. Tranne quello, pensa un po', di salvare vite.
Immagine: Flickr/Sheep purple

Siamo consapevoli ormai da anni dell’incombente apocalisse batterica resistente agli antibiotici, ma nonostante l’incremento di super-ceppi di microbi farmaco-resistenti, come TBC, E. coli e MRSA—senza dimenticare lo spettro di una gonorrea intrattabile—non abbiamo fatto molto al riguardo.

Ci sono diversi modi per combattere la minaccia—da un lato lo sviluppo di nuovi antibiotici, dall’altro un uso più sensato di quelli già a disposizione—ma un report rilasciato oggi dalla UK Royal Pharmaceutical Society evidenzia un ostacolo maggiore per la prima possibilità: le compagnie farmaceutiche non hanno buoni motivi per scoprire nuovi antibiotici. Eccetto quello, pensa un po’, di poter salvare vite. Ma il mondo in cui viviamo si basa su costi e profitti, e finché gli antibiotici necessitano di vile denaro, l’interesse di Big Pharma sarà limitato.

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Il report di RPS afferma che l’ultima nuova classe di antibiotici risale al 1987, e gli incentivi sono bassi a causa del ridotto guadagno sugli investimenti.

Il responsabile del report, Jayne Lawrence, mi ha detto che ci sono diverse ragioni per cui un antibiotico utile e con un mercato potenzialmente esteso non è interessante da un punto di vista economico. Primo, perché gli antibiotici sono difficili da sviluppare. “Quelli più facili da sviluppare sono già stati scoperti, scoprirne di nuovi è più difficile e più costoso,” ha detto.

Dopo aver colto i frutti che pendevano dai rami più bassi, ora gli scienziati vogliono scoprire nuovi antibiotici partendo da quelli naturali per poi alterarli chimicamente, oppure cercano batteriofagi—virus che uccidono i batteri ma non le cellule umane—o terapie immunizzanti. Ma tutta questa ricerca richiede molto tempo e denaro, senza alcuna promessa di risultati reali traducibili in un prodotto redditizio. “Se fosse facile, lo starei producendo e facendo una fortuna.”

Poi c’è il problema che, in molti casi, gli antibiotici funzionano fin troppo bene: curano per davvero. Questo significa che sono richiesti solo per un breve periodo di tempo, per cui il quantitativo venduto è molto più basso rispetto a medicine che sono assunte per trattare condizioni croniche più specifiche. “Il modello dei costi è basato sull’idea di dover vendere una grande quantità di medicinale per ottenere un guadagno,” dice Lawrence. “E va da sé che se i pazienti guariscono, non si tratta di un antibiotico economicamente vantaggioso.”

Di fatto, il valore medico di alcuni antibiotici non risiede nel loro utilizzo, ma nell’essere un’utile riserva, così che nel caso di un batterio resistente ad un tipo, ce ne siano altri su cui ripiegare. Ma questa non è una prospettiva attraente per le compagnie farmaceutiche, visto che si basano sulle vendite.

RPS propone di dare una scossa all’attuale sistema di finanziamento delle medicine, in modo da premiare le aziende anche in fase di sviluppo, così che le vendite non siano la ragione e la fine di tutto. Un’altra proposta è quella di incoraggiare le collaborazioni, così da ridurre i rischi d’impresa—oltre ai profitti, certo. Questo faciliterebbe anche la partecipazione delle università.

È inoltre fondamentale educare il pubblico sulla problematica, specificamente quando si tratta di come usiamo gli antibiotici oggi. Lawrence ha detto che molte persone ancora non portano a termine una cura intera di antibiotici—il che può rendere i batteri ancora più resistenti.

E nel caso in cui l’esasperante minaccia della resistenza antibiotica non fosse sufficiente a motivare un cambiamento generale, Lawrence avverte che anche gli antivirali e gli antimicotici stanno iniziando ad avere le stesse difficoltà.