Música

Ai Chameleons non frega niente di ispirare altri gruppi

Mark Burgess in concerto, immagine via

Se penso ai Chameleons penso a copertine inguardabili, ma soprattutto a quanto siano da sempre un gruppo sfigato, rimasto incastrato nella dimensione obscure. Poi penso a quanto sfuggire dai compromessi dello show business e dalla logiche di mercato sia stato la più grande fortuna di Mark Burgess. I Chameleons infatti non pubblicano foto su Facebook, non credo sappiano usare Twitter e girano in tour senza portarsi dietro i dischi. A volte non sanno nemmeno dove stanno suonando.

Vengono da Middleton, dalla provincia di quella Manchester di fine anni Settanta adombrata dalla ruvidezza martellante di band come i Joy Division e, pur non discostandosi dalla classica formazione scarna e diretta di basso-chitarra-batteria, hanno rappresentato un capitolo a parte della scena di Manchester. L’hanno fatto grazie a una sensibilità più saturnina e malinconica di quella dei loro contemporanei e, nonostante si contino tra gli eredi più fedeli del loro sound gruppi del calibro di Editors e Interpol, la carriera dei Chameleons è cadenzata da un successo in sordina, numerosi cambi di formazione e lunghi periodi di eclissi.

È proprio il loro menefreghismo che ha permesso la conservazione di quell’essenza squisitamente nord-britannica che altri gruppi di quell’ondata hanno perso e dimenticato. Quando ho letto del concerto del tour dei Chameleons ho deciso di raggiungerli per la loro data all’Urban Club di Perugia, e scambiarci quattro chiacchiere. Abbiamo bevuto e fumato, ma soprattutto ho avuto la conferma che ai Chameleons non gliene frega un cazzo di niente.

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Noisey: Hai assistito a tre ricambi generazionali in tre decadi di musica, malgrado tutti gli inevitabili cambiamenti, cosa è rimasto?
Mark Burgess: La nostra consacrazione alla musica credo. La musica è sempre stata importante per noi da quando eravamo molto piccoli, siamo cresciuti comprando dischi, ma è solo dal 1976-1977 che siamo diventati consapevoli del fatto che avremmo potuto formare un gruppo.

Quanti anni avevi al tempo?
16, forse 17.

Ho letto un’intervista in cui dicevi di essere stato a un concerto dei Sex Pistols a 14 anni o giù di lì.
A quell’età non avevo mai visto i Sex Pistols, ho visto tutti gli altri ma non i Pistols. Li vidi solo a Natale del 1977, venni a sapere che avrebbero suonato e feci l’autostop per tutto il tragitto. Li vidi nel pomeriggio perché suonavano ad una festa per bambini: i pompieri erano in sciopero e avevano organizzato una festa per bambini in cui suonarono i Sex Pistols. Quindi arrivai alle 11:30 di mattina e restai al pub fino alle due. Raggiunsi il posto, i ragazzi stavano giusto entrando. Si può vedere nel film The Filth and the Fury che i ragazzi lanciavano torte in testa a John Lydon.

I Pistols vi hanno influenzato?
Hanno influenzato tutti. Improvvisamente la cosa è sfuggita di mano ed è nata una grande scena, ma in ogni caso, la prima punk band che vidi fu nel 1976 ed erano i Damned che aprivano a Marc Bolan. Anzi, in verità li avevo visti prima di allora, li avevo visti all’Electric Circus in apertura ad un gruppo Prog-rock (ride). Vennero fischiati e mi piacque da morire. In seguito vidi che avrebbero aperto un concerto dei T-Rex–ero un grande fan dei T-Rex–quindi andai e fu stupendo.

Quanto ti ha influenzato il sound di Manchester dell’epoca?
Non molto a dire il vero, mi piace molta musica proveniente da Manchester e tutta la scena post-punk ma non mi ha veramente influenzato. Sono stato influenzato sicuramente dal punk in generale e mi piacevano molti gruppi punk di Manchester, i gruppi della Bay Area, Glam e gli anni ’60 in generale.

Infatti ascoltando soprattutto la prima roba come What Does Anything Mean? Basically si nota una massiccia dose di psichedelia.
Sì, come ti dicevo è tutta la musica con cui siamo cresciuti. La nostra crescita è andata di pari passo con lo sviluppo della psichedelia e compravamo un sacco di dischi psichedelici, i primi Floyd con Barrett, Velvet Underground, Beatles, Stones… Poi verso il 1980 i nostri coetanei hanno cominciato a prendere LSD e la storia si è come ripetuta. Durante il periodo punk c’era solo la Speed, prendevi anfetamine, era tutto molto frenetico, ma in seguito abbiamo ricominciato a prendere gli acidi e fu un fenomeno trasversale che la musica iniziò a riflettere. Se ascolti ad esempio la musica prodotta a Liverpool intorno al 1980 ti accorgi che ha una grande influenza psichedelica, come ce l’abbiamo avuta noi. Poi i due chitarristi sono grandi fan degli Who, credo che gli Who siano la loro band preferita e hanno dato al gruppo una sonorità molto Who e “stonesiana”.

E tu ti droghi? 
A volte, ma l’unica forma di dipendenza vera è la nicotina. Non riesco a smettere di fumare. Mi piace anche bere, fa parte della nostra cultura: mio padre era un grande bevitore. Di solito mi piace bere prima e dopo i concerti, più dopo che prima, finché non crollo a terra. Ma posso anche tornare a casa non avendo bevuto per 4-5 mesi. Fumo ancora erba, sporadicamente. Allo stesso modo mi faccio di coca e di funghi, che sono la mia cosa preferita.

Già, i funghetti… Vivi ancora a Manchester?
Ogni tanto. Quando lavoro sono a Manchester ma trascorro molto tempo in America in questo periodo.

Com’è cambiata la tua città?
È irriconoscibile ora. La Manchester in cui sono cresciuto è stata sommersa da questa patina fatta di hotel e mass media, è diventato un luogo molto mediatico, piena di annunci pubblicitari e ristoranti.

E per quanto riguarda la musica?
C’è ancora molta bella musica credo.

Rimanendo in tema, com’era il tuo rapporto con i Joy Division?
A dire il vero non ce n’era alcuno, li ho visti live 5 o 6 volte quando hanno suonato all’Electric Circus, poi ho visto i New Order diverse volte e conosco Peter Hook, ma non abbiamo mai avuto un rapporto stretto, venivamo da Manchester ma non facevamo parte di niente, era tutto molto eterogeneo.

In Strange Times e anche altri lavori si sente anche una forte componente Bowie. Che rapporto hai con la sua musica?
Un rapporto profondo. Amo Bowie e la sua musica e rimasi profondamente destabilizzato quando morì a gennaio. Era incredibile, certamente è stato l’artista che mi ha cambiato di più.

Lo hai mai incontrato?
No, mai…

Sei mai stato a un suo concerto?
No, neanche. Ho visto Mick Ronson dal vivo [chitarrista di Bowie dal 1970 al 1973, nda] quando avevo 13 o 14 anni subito dopo la divisione degli Spiders from Mars, che è il periodo a cui associo maggiormente Bowie, e mi dispiace di non essere riuscito a vederlo dal vivo, ma le volte successive ero sempre da qualche altra parte a fare altro, mai una volta che ci vedesse nella stessa situazione. In fondo non è una cosa che mi tormenta, ho comprato i suoi dischi ed è stato abbastanza.

Ti è piaciuto l’ultimo?
Sì, molto. Mi piace il suo modo di aver saputo rigenerarsi ogni volta, Outsider forse è il suo disco che mi piace di più, quel disco era come lui, non sapevi veramente dove stesse andando. Non ci sono strutture fisse, solo queste lande sonore che solo Bowie riesce a evocare. I testi, poi…

I Chameleons qualche annetto fa.

Parliamo un po’ del tuo nuovo materiale.
Non ti so dire molto a riguardo perché sto aspettando qualcuno con cui poter lavorare, quindi spero nei prossimi sei mesi di concretizzare qualcosa. Ho scritto con diverse persone e quando avrò la sensazione di avere tra le mani qualcosa di valido allora lo pubblicherò, ma non ho alcun tipo di fretta ora.

I costanti cambiamenti interni alla band non rendono difficile la scrittura?
Non è mai stata una band intesa in senso convenzionale, proprio perché ha vissuto un viavai di componenti costante.

Nel 2000 perché vi siete sciolti?
Non avevamo pianificato niente, ci siamo ritrovati a fissare qualche show, neanche troppi, cosa che sembrava funzionare. Ma dopo due o tre anni si sono ripresentati gli stessi problemi di un tempo e così ci siamo presi una pausa. Siamo persone molto diverse. Penso debba essere innanzitutto una cosa piacevole, perché questo è un bel lavoro e dovrebbe essere preso sempre come tale. Quando cessa di essere così e passa la voglia di fare concerti e di lavorare insieme non ha più senso continuare.

E per la prima separazione, di quali problemi si trattava?
Penso sia dipeso da una differenza intrinseca tra le persone che componevano il gruppo, diversi modi di concepire la musica, è difficile da spiegare. In particolare avevo problemi con un membro della band rimasti tuttora irrisolti, pensa che io sia uno stronzo e io penso lui lo sia altrettanto, quindi chissenefrega.

E adesso come ti senti con la band?
Sto bene, suono con persone che mi piacciono molto per quello che fanno e come lo fanno, c’è molta energia e passione, sono molto più motivati di quanto non lo fossero i vecchi componenti della band. Questi di ora non avrebbero mai pensato che sarebbero finiti a suonare nella band. Suoniamo quello che ci piace suonare e veniamo pagati per farlo, quale lavoro migliore di questo? Non ci sono tensioni e ci divertiamo. L’unico problema è il suonare dal vivo, l’ho fatto per così tanti anni che vorrei dedicarmi ad altre cose, quindi ho proposto loro di fare un tour di addio ma non mi danno retta, quindi faremo finché ce la sentiremo e poi ci dedicheremo ad altro.

Ci sono molti gruppi che hanno un chiaro debito di riconoscenza verso la tua musica, come i primi Interpol, Editors… cosa ne pensi?
Mi piacciono queste band, mi piacciono molto gli Interpol così come gli Editors, che forse sono una delle mie band preferite, ma non vedo il perché di questa sicurezza con cui la gente ci identifica come un’influenza ovvia per loro, ma forse è perché mi trovo nel mezzo, non riesco a sentirlo. Se questi gruppi hanno preso ispirazione dai Chameleons ne sono molto contento, ognuno è influenzato da qualcosa, è molto bello sapere che abbiamo avuto questo tipo di impatto e abbiamo spronato band a fare buona musica, che è ciò che queste band stanno facendo.

C’è qualcosa di nuovo che ti piace ascoltare?
Mi piacciono molto i Vast, Jennie Vee, mi piace la sua band, c’è qualcosa di interessante. Onestamente, è difficile ormai che mi emozioni ascoltando nuovi gruppi perché ne ho visti così tanti e sentiti così tanti che ci deve essere veramente qualcosa di speciale perché possa suscitarmi un vero interesse. Sono diventato piuttosto vecchio e cinico.

In seguito pensi di proseguire con la band o di dedicarti a progetti da solista?
Ho fatto un paio di dischi da solista e non è stata una bella esperienza, ecco perché ho cercato nuove persone con cui suonare. La musica assume molteplici sfumature quando ci sono più persone coinvolte nel processo, mentre da solo questa assumerebbe una sola dimensione. Mi è piaciuto il disco, ma non l’esperienza che ha portato alla sua creazione.

Vi siete portati dei dischi in vinile per questa data?
Non credo che ci siamo portati dietro del merchandise o dei dischi per questo tour, li abbiamo portati in giro fino a Natale, ma non ne abbiamo più ora.

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