Attualità

Dentro i gruppi online dei giovani estremisti che si ispirano ai suprematisti USA e idolatrano Traini

Il podcast 'Buco nero' di Gabriele Cruciata e Arianna Poletti è un'indagine sotto copertura nel covo online dei suprematisti bianchi italiani.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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La grafica del podcast Buco nero.

Una delle caratteristiche più visibili e pericolose del neo-terrorismo di estrema destra è la sua capacità di diffondere manifesti. Sempre più stragisti, infatti, accompagnano le loro azioni con la diffusione di materiale scritto per spiegare le motivazioni del loro gesto.

L’obiettivo di questi testi non è però solo ideologico: è anche quello di fare proseliti e, soprattutto, gettare le basi per atti emulativi. L’attentatore norvegese Anders Behring Breivik è stato indubbiamente il precursore di questa strategia, ma negli ultimi anni altri estremisti l’hanno seguito in diversi paesi occidentali—Italia inclusa.

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Nel 2019, in un canale Telegram italiano modellato sul “Terrorgram” americano, è stato pubblicato un manifesto particolarmente violento che incitava i “camerati” a “addestrarsi” per la “rivoluzione più devastante di tutti i tempi,” in cui “purtroppo si spargerà molto sangue.”

Si trattava di una forma di propaganda molto diversa dall’apologia di fascismo su Facebook, di cui ho scritto più volte su VICE negli scorsi anni. E infatti, le forze dell’ordine hanno iniziato a indagare sull’estensore (minorenne all’epoca della pubblicazione) e i suoi contatti online, arrivando all’arresto del 22enne Andrea Cavalleri, accusato di aver costituito “un’associazione con finalità di terrorismo.”

Dall’inchiesta è emerso come Cavalleri e gli altri indagati, che si tenevano in contatto tra loro quasi esclusivamente in rete, fossero imbevuti di tutti i miti contemporanei dell’estrema destra e del suprematismo bianco anglosassone—dall’ispirazione alle cellule naziste come la Atomwaffen Division o movimenti misogini come quello degli incel, fino al “genocidio dei bianchi” e la “guerra razziale” ipotizzata nel romanzo razzista The Turner Diaries (tradotto in Italia come La seconda guerra civile americana).

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Insomma: siamo di fronte a un chiaro esempio di globalizzazione della propaganda suprematista e del terrorismo di estrema destra, dal quale il nostro paese non è evidentemente immune.

A tal proposito, in questi giorni è uscito su Storytel il primo podcast italiano sul tema. Si chiama Buco Nero, ha quattro puntate ed è stato realizzato dal giornalista Gabriele Cruciata e dalla giornalista Arianna Poletti, che per questa inchiesta hanno anche vinto il Premio Morrione 2020 nella categoria “inchiesta sperimentale.”

Per otto mesi, i due hanno seguito da vicino un gruppo di fascisti attivi su imageboard, forum e chat sparse su vari siti e piattaforme. In particolare, Cruciata e Poletti si sono focalizzati su un “covo virtuale”, solo in italiano, ispirato (per così dire) alla Melevisione: ogni utente si firma “Lupo Lucio,” mentre il moderatore—che si autodefinisce un “prolifico nazifascista”—usa il nickname “Melevisione.”

Cruciata e Poletti hanno analizzato decine di conversazioni, e nel podcast provano a scomporre il fenomeno partendo dalle board per poi passare, nelle puntate successive, a radicalizzazione, inchieste delle forze dell’ordine e riferimenti.

“Il fatto di avere utenti che portano lo stesso nome,” mi dice Arianna Poletti, “dà un po’ un senso di comunità, ma dall’altro anche di straniamento: c’è sempre l’impressione di trovarsi di fronte a una persona che si risponde continuamente, come in un monologo.” Gli stili comunque sono diversi tra loro, e approssimativamente—spiegano i due—gli utenti in questione sono qualche decina, quasi totalmente maschi e giovani.

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Non esiste però un profilo elettorale definito: “c’è gente che vota partiti come CasaPound o Forza Nuova, mentre altri scelgono Lega o comunque dicono di essere stati a Pontida,” afferma Cruciata. “D’altro canto, però, questi partiti spesso e volentieri sono accusati di essere troppo moderati.” Di certo, continua, “si tratta di persone mediamente colte, che maneggiano bene gli strumenti digitali e hanno una discreta conoscenza storica, per quanto connotata ideologicamente. Non sono ignoranti o ‘fascisti da bar’.” 

Un aspetto significativo rilevato dal podcast è la massiccia presenza di riferimenti ideologici, linguistici e simbolici all’estrema destra statunitense. In una puntata, ad esempio, vengono riportati brani tratti da un “diario”—intitolato “Diario di corsa alla guerra”, traduzione letterale di race war (“guerra razziale”) —scritto da un utente della board. In esso l’uomo racconta il suo distacco totale dalla civiltà dopo lo scoppio della pandemia, con tanto di racconti da prepper e scene che assomigliano in maniera inquietante ad alcuni passaggi dei Turner Diaries.

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Una delle conversazioni. Screengrab per gentile concessione di Cruciata e Poletti.

“Noi parliamo infatti di ‘suprematismo italiano’,” puntualizza Poletti. “C’è una sorta di imitazione del suprematismo americano a cui si somma la conoscenza del contesto storico italiano, soprattutto del fascismo e del colonialismo. Questo è un aspetto che rende diversi questi gruppi da un ‘classico’ militante neofascista.”

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Oltre a ciò, nella cosiddetta “tana di Lupo Lucio” spicca la costante glorificazione degli attentatori di estrema destra stranieri—con tanto di pubblicazione dei loro manifesti tradotti in italiano—e ovviamente di Luca Traini. Il quale, in una lettera di ben 23 pagine inviata in risposta alle domande agli autori, si è dissociato da questi elogi, salvo poi presentarsi come una specie di “salvatore” delle donne italiane minacciate dai neri.

“La stampa e la politica hanno parlato di Traini come se fosse un pazzo,” dice Poletti, “e nessuno l’ha riconosciuto come un suprematista, tranne un ambiente: quello, per l’appunto, suprematista.” Non a caso Traini è diventato una sorta di meme su 8chan e 8kun, e l’attentatore di Christchurch ha scritto il suo nome su uno dei caricatori usati per il massacro.

Il punto è che, per quanto si preferisca rifugiarsi in narrazioni rassicuranti, personaggi come Traini non sono affatto “lupi solitari”: seppur isolati, continua la giornalista, “sono comunque il prodotto di una comunità” e di uno specifico retaggio culturale che mescola razzismo, patriarcato e colonialismo.

Se analizziamo i fatti di Macerata con questa lente, l’omicidio di Pamela Mastropietro—elevato sin da subito a nesso causale della sparatoria—diventa poco più di un semplice pretesto. Anche perché, come sostiene nel podcast il capo della polizia di prevenzione Eugenio Spina, un personaggio con un tale livello di radicalizzazione “avrebbe trovato la motivazione in qualche altro episodio, magari analogo.” In altre parole: Traini è stato il primo a riuscirci, ma non è l’unico ad averci provato.

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Solo negli ultimi anni, le forze dell’ordine hanno condotto diverse operazioni contro altri gruppuscoli di estrema destra che si coordinavano prevalentemente online ed erano pronti a passare all’atto. In un’inchiesta del 2019, denominata “Ombre nere,” la polizia aveva scoperto un piano per un attentato incendiario contro una sede dell’Anpi a Genova—da far attribuire però a un cittadino di origine straniera per depistare le indagini (una cosa molto simile è successa anche in Germania nel 2017).

Nonostante queste evidenze, c’è una generale sottovalutazione del problema; come se la cosa non ci riguardasse, oppure toccasse solo altri paesi. “La presenza dell’estrema destra è fortemente radicata nella storia italiana,” mi dice Poletti. “Le influenze che arrivano dagli Stati Uniti e il passaggio al digitale sono una novità nei metodi, ma non rappresentano una novità assoluta.”

Quest’ultima evoluzione, secondo Spina, è ancora in una fase “embrionale,” ma “da tre anni a questa parte sta assumendo sempre più rilievo.” Di sicuro è un qualcosa di molto complicato da contrastare, soprattutto per le modalità—ossia chat e board molto ristrette, frequentate solo da utenti anonimi, in cui non è sempre immediato capire dove finisca una sparata e dove inizi la minaccia reale.

Lo spazio che i due autori hanno raccontato nel podcast è molto esemplificativo in tal senso. La vera pericolosità di luoghi come la “Tana del Lupo Lucio” sta esattamente in questa ambiguità, che permette di creare un clima tale da spingere all’azione qualcuno già predisposto per conto proprio.

“Se lì dentro ci sono 40 persone,” conclude Cruciata, “onestamente non penso che ci siano 40 terroristi in libertà. Ma se ci sono 40 persone che riempiono di benzina una stanza, basta che uno solo si accenda una sigaretta per far esplodere tutto.”

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