Tecnologia

Perché serie tv e film Netflix sembrano tutti identici?

Bastano poche immagini per riconoscere un film o una serie di Netflix—ecco perché succede.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
Sogno e Morte in The Sandman
Immagine: The Sandman

L’adattamento Netflix di The Sandman è una buonissima serie—ma perché ha un look così facilmente identificabile? In effetti, i prodotti creati internamente da Netflix tendono ad avere tutti la stessa estetica e a dare le stesse sensazioni.

Benché sia difficile stabilire cosa renda gli show di Netflix così riconoscibili, abbiamo qualche elemento da cui partire. Ad esempio, in molti casi l’immagine tende a essere scura e con colori molto saturi, mentre l’illuminazione è molto colorata, in special modo nelle scene notturne—come se tutto fosse stato messo a mollo nel neon, persino all’interno degli edifici.

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Il makeup poi è ben visibile sui volti di chi recita e i costumi sono pieni di dettagli insolitamente pronunciati—come le grinze delle cuciture. La regia è inoltre convenzionale, usa set up ordinari persino quando deve esprimere l’intrigo o il mistero—il dutch angle, l’inquadratura storta—e la maggior parte delle scene è girata sul medium close-up, il “mezzo primo piano.”

Anche se non sai cosa cercare, si tratta insomma di un’estetica così caratteristica da essere riconoscibile in un paio di occhiate. The Sandman, per dire, aldilà l’ottimo lavoro di scrittura e degli attori, consta proprio di tutti questi elementi ricorrenti.

Nonostante il regno del protagonista sia quello dei sogni, i momenti più drammatici dello show sono infatti spesso ridotti a un dialogo in medium close up—e i fan hanno criticato persino il formato scelto per la serie. Altri difetti evidenti di queste scelte stilistiche sono il volto artefatto del protagonista e i colori piuttosto opachi.

J. D. Connor, professore associato di Cinema e Media Studies presso la USC, ritiene che uno dei motivi principali dietro al fenomeno stia nel fatto che Netflix richieda alcune specifiche tecniche di base a tutte le sue produzioni: quali telecamere usare, alcuni requisiti minimi per la risoluzione dell’immagine, quale percentuale della produzione totale può essere girata con una telecamera non approvata.

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“C’è un gran dibattito tra chi si occupa di fotografia e lavora con le cineprese,” spiega Connor al telefono. “Netflix aveva inizialmente fornito una lista di prodotti ridotta di fatto a soltanto due telecamere accettabili. Ovviamente è possibile modificarne i parametri, ma viste le pressioni si è venuta comunque a creare una certa omogeneità stilistica di fondo.”

L’elenco delle telecamere accettabili ora è molto più lungo. In un video l’azienda ha spiegato i motivi dietro a questa lista. Krys Pyrgrocki, lo specialista scelto da Netflix, ha detto che “una delle nostre più grandi priorità è quella di aiutare chi realizza film, documentari e serie a fare il miglior lavoro possibile. Vogliamo non solo che sentano di potercela fare, ma che tutte le persone si sentano incoraggiate a utilizzare le tecnologie più recenti e all’avanguardia per raccontare le loro storie.”

Secondo Connor, queste cineprese sono importanti non solo perché permettono a chi crea i prodotti audiovisivi di usare le più recenti tecnologie presenti sul mercato. “A dare una spinta è stato anche ciò che chiamano il ‘future proofing’ dei contenuti, la necessità di prevedere gli sviluppi futuri. Per questo volevano che venisse girato tutto in 4K HDR,” specifica.

Non è irragionevole assicurarsi che i prodotti continuino a sembrare belli mentre le tv a 4K si diffondono e diventano più comuni, però così facendo si vanno a limitare le opzioni di chi dà vita a film e serie. In più, i file a 4K sono enormi e quando vengono compressi ai fini dello streaming finiscono per cambiare la percezione dell’immagine finale.

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“Con la compressione, Netflix cerca di ridurre il quantitativo di dati trasmessi attraverso la fibra e i cavi allo scopo di rendere lo streaming più fluido e regolare,” specifica Connor. “Quando però si hanno immagini ad alta risoluzione accade di solito una cosa strana: più si riducono le informazioni, più i margini all’interno delle immagini diventano più nitidi.”

Connor invita a considerare i film degli anni Settanta, tanto grandiosi sul grande schermo, grazie alla grana particolare della pellicola, quanto ben peggiori sul piccolo schermo. “Tuttavia, se prendi il Superman originale e lo guardi in TV i contorni degli oggetti si fanno meglio definiti,” esemplifica. “Succede qualcosa di simile con una grande immagine a 4K compressa enormemente per approdare in TV con lo streaming.”

Questo aspetto torna utile per spiegare il look delle produzioni Netflix, ma alcuni dei dettagli meno rifiniti sono dovuti a una questione più banale: soldi. Per Connor, i budget dei progetti Netflix sono sì alti, ma in un modo illusorio. Lo si deve al fatto che nell’era dello streaming i talenti maggiori—persone di grande richiamo pubblico nel campo della recitazione o della regia—prendono la maggior parte del budget allocato perché non ricevono alcuna forma di “backend compensation,” i profitti derivati dall’andamento del film o della serie.

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“Vengono sovracompensati all’inizio,” esplicita Connor. “Ciò significa che all’uscita del prodotto queste persone vengono pagate il 130 percento di quanto costerebbero in un’altra produzione. Il budget complessivo sembra molto più alto, ma in realtà si va a risparmiare sulle location o sul design del progetto.”

“La pandemia è stata un duro colpo anche per la motion capture e i processi di standardizzazione e ottimizzazione durante la fase di post produzione. I bilanci hanno costretto a eliminare le questioni percepite come minori e le sfumature in fase di design e di progettazione,” spiega Connor. Secondo lui molti prodotti stanno tuttora risparmiando sulla produzione a causa degli effetti protratti della pandemia.

Red Notice per me è stato una specie di apice del fenomeno. Si tratta di un film che è costato una fortuna per i suoi protagonisti e che è stato girato durante la pandemia, con vari tagli, assenze e mancanze,” sottolinea. “I risultati si vedono in particolar modo sulla TV, soprattutto se di alta qualità. Mi sembrava visivamente davvero orribile, dall’inizio alla fine. Un’esperienza brutale.”

Ovviamente ciò non significa che l’estetica Netflix funzioni sempre male—pensiamo a Scorsese o a The Kissing Booth—, ma quando adatti un fumetto particolare come The Sandman finisce invece per risultare incoerente con la storia che si cerca di raccontare. Semplicemente, le specifiche tecniche di Netflix non sarebbero state fuori luogo in un altro tipo di racconto.

“Va benissimo con le commedie di Adam Sandler,” ribadisce Connor. “Lì ha senso perché Sandler si prende la maggior parte del denaro e il prodotto non ha bisogno di una grande attenzione estetica. È un segmento di mercato.” Connor menziona poi ripetutamente Tokyo Vice come esempio di una produzione particolarmente ricca in termini di estetica visiva, design e progettazione dei dettagli, così come Station Eleven, Rap Shit e il recente The Bear.

Come il resto dei prodotti in streaming, le immagini di queste serie soffriranno sempre un po’ a causa della compressione—ma sono costruite e girate così bene da non farlo nemmeno notare al pubblico.