Tecnologia

È stato scoperto un modo per decomporre la plastica in giorni, anziché secoli

Un enzima modificato da un gruppo di ricerca permette di creare plastica “come nuova” da plastica usata, senza sprecare petrolio in più.
Decomporre plastica velocemente
Immagine: Anton Petrus via Getty Images 

Un gruppo di ricerca dell’Università del Texas, ad Austin, ha creato un enzima modificato in grado di decomporre la plastica—che normalmente impiega secoli per degradarsi—nel giro di giorni.

Il gruppo, che ha pubblicato i risultati dello studio sulla rivista scientifica Nature a maggio 2022, ha usato il machine learning per determinare mutazioni allo scopo di creare una proteina ad azione rapida capace di separare gli elementi che compongono il polietilene tereftalato (PET)—una resina sintetica usata nelle fibre dei vestiti e nella plastica che, spiega lo studio, compone il 12 percento dei rifiuti globali.

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Il processo in questione si chiama depolimerizzazione: un catalizzatore separa le componenti essenziali della plastica PET nei loro monomeri originali, che possono poi essere ri-polimerizzati—cioè riaccoppiati per formare plastica vergine—e convertiti in altri prodotti. La cosa più impressionante è che questo enzima ha decomposto la plastica in una sola settimana.

“Scomporre [la plastica] nei suoi monomeri di partenza è possibile,” spiega a Motherboard al telefono Hal Alper, professore di Ingegneria Chimica e tra le persone autrici del paper. “Ed è esattamente ciò che fa questo enzima. Poi una volta ottenuti i monomeri originali, è come produrre plastica da zero, con il beneficio che non serve petrolio in più.”

“Questo processo ha notevoli vantaggi rispetto al riciclare,” aggiunge Alper. “Se devi fondere la plastica e poi rimodellarla, il materiale perde integrità a ogni giro di riciclaggio. In questo caso, invece, se puoi depolimerizzare e poi ripolimerizzare chimicamente, di fatto produci PET vergine ogni volta.”

Il lavoro del gruppo di ricerca segue e cita alcuni studi precedenti, che dal 2005 in poi hanno portato alla scoperta di ben 19 enzimi diversi in grado di digerire la plastica, spiega il paper. Questi sono derivati da batteri esistenti in natura che sono stati rinvenuti su frammenti di plastica nell’ambiente.

Ma molti di questi enzimi sono fatti di permutazioni di proteine che funzionano bene nei loro ambienti specifici, ma soffrono limitazioni date da temperatura e condizioni di pH, e dunque non possono essere impiegati in molte situazioni, compresi i centri di riciclaggio, sostengono le persone autrici dello studio. L’enzima che Alper ha scoperto insieme al suo team, invece, può decomporre 51 tipi di PET in vari scenari di temperatura e condizioni di pH.

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Il gruppo di ricerca ha chiamato l’enzima FAST-PETase, un acronimo per “functional, active, stable, and tolerant PETase” (o PETase operativa, attiva, stabile e tollerante), e sono arrivati alla sua struttura usando il machine learning. Hanno dato in pasto a un algoritmo 19.000 strutture proteiche e gli ha insegnato a predire le posizioni degli aminoacidi in una struttura che non sono ottimizzate per l’ambiente originario. Hanno anche usato la formula per riorganizzare gli aminoacidi da tipi esistenti di PETase in nuove posizioni, hanno identificato combinazioni migliori e sono arrivati alla struttura che mostrava 2,4 volte più attività di qualsiasi enzima PETase esistente a 40°C e 38 volte più attività a 50°C.

Lo stesso enzima è stato poi messo alla prova in diverse condizioni di temperatura e pH, e ha continuato a superare le varianti già esistenti.

“Ciò che vedi in natura è probabilmente in qualche modo ottimale, almeno in relazione all’ambiente che circonda ognuno di questi aminoacidi,” spiega Alper. “Possiamo iniziare a studiare la proteina che ci interessa e analizzare in dettaglio ognuno di questi aminoacidi e i loro micro-ambienti e vedere cosa funziona e cosa no.”

Alper e il suo team sperano che il loro enzima sia più scalabile degli altri, e che permetta davvero di affrontare la crisi della plastica nel mondo. Già capace di sopportare un ventaglio di condizioni, FAST-PETase deve ora dimostrare di poter essere sia “distribuito e accessibile economicamente su grande scala industriale.”

Per prima cosa, dice Alper, lui e il team di ricerca devono sottoporre FAST-PETase a una vasta gamma di diversi tipi di PET che si trovano nel flusso di rifiuti mondiale e i detriti che si trovano spesso nelle bottiglie di plastica o sui contenitori di plastica quando viene riciclata. Se il gruppo trovasse un enzima o gruppo di enzimi con la robustezza per essere usati a livello pratico, credono di poter contribuire seriamente allo smaltimento dei “miliardi di tonnellate” di immondizia che invadono l’ambiente.