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Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati.
Attualità

'È come se fossimo già contagiati' - gli studenti italiani in quarantena all'estero

Molti studenti rientrati dall'Italia in Francia, Svizzera e Romania si trovano in isolamento forzato. Queste sono le loro storie.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Carlo Casentini
Milan, IT

A causa di una gestione iniziale a dir poco caotica, i focolai di SARS-CoV-2 in Italia hanno generato un’immensa ondata di panico che non ha risparmiato nessuno. Al momento i casi positivi al tampone sono oltre 600 (quelli confermati dall’Istituto Superiore della Sanità, però, sono molti di meno), e il ministero della salute riferisce che “la maggioranza è in isolamento domiciliare e non necessita di cure ospedaliere.”

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Secondo Walter Ricciardi, consulente del ministero e componente italiano del comitato esecutivo dell’OMS, bisogna dunque ridimensionare l’allarme coronavirus, anche perché il governo ha preso “misure molto rigorose.” Di sicuro, ha aggiunto, “l’Italia non è il focolaio, il virus sta circolando in tutto il mondo.”

Tuttavia, almeno per il momento, sempre più paesi considerano l’Italia il focolaio d’Europa (diciamo pure che ci abbiamo messo del nostro per apparire come tali) e hanno introdotto vere e proprie restrizioni per chi viene dal Nord Italia. L’episodio più estremo è quello dei cittadini lombardi e veneti arrivati in l’aereo nelle Mauritius e in Israele e rispediti indietro, ma anche altri hanno disposto il blocco del traffico aereo da e verso l’Italia—un po’ come abbiamo fatto noi con la Cina un mese fa—oppure hanno sconsigliato viaggi non strettamente necessari.

In Europa poi c’è chi sta chiedendo l’auto-isolamento dei cittadini provenienti da determinate aree, e non solo dalle “zone rosse”: è il caso di Romania (addirittura senza presenza di sintomi), Croazia, e Francia (in particolare per gli studenti). L’incertezza però è grande, e non è chiaro se queste misure siano rispettate né quale sia il loro impattino reale.

Per capirlo, su Instagram abbiamo chiesto ai nostri follower di raccontarci le loro esperienze. Molti ci hanno detto che di ritorno nel Regno Unito, in Belgio e Olanda non hanno ricevuto controlli né richieste di isolamento dalle proprie università o aziende. Qualcuno ci ha poi spiegato di aver annullato il viaggio in Italia per evitare problemi al rientro, e altri ci hanno riferito di Airbnb cancellati a Parigi e Madrid a causa di "pratiche di sicurezza" dovute al paese di provenienza.

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Quelle di seguito sono le testimonianze di chi (studenti presso università estere, principalmente) ha incontrato più difficoltà, confrontate ove possibile o necessario con le disposizioni ufficiali.

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“Spero renda l’idea delle dimensioni della mia prigione.”

ILARIA, STUDENTESSA UNIVERSITARIA A PARIGI

Abito a Parigi da tre anni e mezzo, studio all’università e qui mi sono fatta, come molti, degli amici. Ma da quando ci sono stati casi in Italia e hanno saputo che ero appena tornata da lì, alcuni di loro hanno iniziato a chiedermi perché non stessi a casa per sicurezza, dicendomi che non riflettevo e addirittura che il fatto che fossi partita dal Piemonte non importava, dato che il treno per Parigi arrivava da Milano.

Questo è successo perché martedì l’università, tramite i suoi canali ufficiali, ha comunicato aggiornamenti delle direttive anche nei confronti di chi arrivava da Lombardia e Veneto. Si chiedeva di segnalare rientri da quelle zone, di non presentarsi a lezione e di indossare una mascherina in caso di contatti con altri. Preoccupata ho chiamato l'apposito numero verde francese, dove ho potuto parlare con il medico che, dopo avermi fatto domande su dove ero stata, mi ha detto che anche il Piemonte sarebbe diventato zona a rischio.

Anche l’università, che ho contattato telefonicamente, mi ha detto che non sarei potuta andare a lezione né avrei potuto sostenere gli esami. Ora sono relegata nel mio appartamento di 12 metri quadri e aspetto la fine della quarantena. Intanto mando mail ai professori, attestando tutti i miei spostamenti in Italia (biglietti del treno inclusi) affinché non mi contino le assenze e mi permettano, al mio ritorno in università, di fare gli esami che sto perdendo. [Altri studenti in isolamento a Parigi ci hanno riferito di aver avuto la possibilità dalle loro facoltà di seguire le lezioni su Skype e di non vedersi conteggiate le assenze].

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MARGHERITA*, LAVORATRICE IN UN’UNIVERSITÀ DELLA SVIZZERA FRANCESE

Mi sono trovata in mezzo alla tempesta del coronavirus in seguito a un breve soggiorno in una località del Veneto, regione rivelatasi poi uno dei focolai. All’inizio ho un po’ sottovaluto la situazione scherzandone anche con i coinquilini che, da buoni svizzeri, hanno reagito in modo neutrale: “Ah ok.”

Anche il mio superiore, quando l'ho contattato per spiegargli la situazione, mi ha risposto con un pacato “per me non c’è problema.” Nonostante la prossimità geografica, va detto che qui il clima è piuttosto indifferente. Lo stesso pomeriggio, però, in Ticino è stato rilevato il primo caso. A quel punto le autorità sanitarie della Confederazione hanno cambiato idea. In breve tempo veniva così inviata un’efficientissima mail a tutti i collaboratori e gli studenti del campus: c'erano le misure da adottare, l’indirizzo a cui rivolgersi e le precauzioni da seguire per quelli che di recente erano stati nelle zone colpite dal virus.

Pur non presentando alcun sintomo, sono stata contattata anche direttamente e mi è stato chiesto di mettermi in isolamento a casa fino alla fine del periodo di incubazione (teoricamente fino a questa domenica). Si sono anche offerti di consegnarmi la spesa. Fortunatamente, dall’Italia mi ero anche portata una valigia di provviste.

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Marco e Simone nel loro appartamento a Reims.

MARCO E SIMONE, STUDENTI UNIVERSITARI A REIMS

Siamo due studenti dell'Università di Bologna che al momento si trovano a Reims per un programma di doppio diploma. Martedì, mentre io [Simone] ero a lezione, ho saputo che il giorno prima alcune persone recatesi in Italia durante le vacanze erano state invitate a lasciare le aule e a non presentarsi per due settimane.

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Poco dopo Marco, il mio coinquilino, si è presentato all'ufficio studenti internazionali, dove lo hanno invitato a tornare a casa in quanto italiano (anche allontanandosi fisicamente da lui). Nel pomeriggio sono stato nello stesso ufficio, e il trattamento è cambiato ancora: non mi hanno neanche lasciato parlare, e questa volta gli inviti sono diventati veri e propri ordini.

Più tardi, abbiamo ricevuto una e-mail nella quale veniva comunicato agli studenti e il personale di ritorno da zone a rischio—"nord Italia" incluso—di osservare un periodo di quarantena di 14 giorni [Il testo della mail, consultato da VICE, richiede inoltre di misurare la temperatura due volte al giorno, monitorare eventuali sintomi, indossare una mascherina se in presenza di altri o fuori dalla propria abitazione ed evitare il contatto con fasce a rischio].

Al momento siamo ancora qui e ci vediamo privati della possibilità di seguire normalmente le lezioni. Allo stesso tempo non possiamo rientrare in Italia—innanzitutto perché me l’ha sconsigliato la stessa università, giudicandolo non compatibile con le misure di contenimento; e poi perché, se per qualunque motivo nelle prossime settimane le misure dovessero diventare ancora più restrittive, correremo il rischio di non ottenere il diploma.

RICCARDO, STUDENTE LICEALE A LIMERICK

Sono di Milano, ma in questo momento mi trovo a Limerick, in Irlanda, dove sto facendo un’esperienza di studio in una scuola superiore qui. Poco prima della metà di febbraio sono tornato in Italia per due settimane per fare un po’ di vacanza e un periodo di alternanza scuola lavoro.

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All’arrivo a Malpensa mi hanno rilevato la temperatura come già succedeva dopo le notizie dalla Cina, ed è finita lì. Questo lunedì sono ripartito per l’Irlanda, e in aeroporto a Dublino i controlli non sembravano particolari—anche se poi mi hanno riferito che la temperatura era misurata in automatico tramite scanner termici.

Dopodiché però la scuola di Limerick mi ha richiesto telefonicamente di restare a casa, per scongiurare qualsiasi tipo di contagio. Per i prossimi giorni (la richiesta era di 15 in tutto) dovrò quindi non andare a lezione o ad altre attività scolastiche ed evitare i contatti non necessari. Questo nonostante stessi e stia tuttora bene. [Il governo irlandese richiede a quanti siano tornati da meno di 14 giorni da Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte e dovessero mostrare sintomi di contattare i numeri di emergenza e procedere alla quarantena, ma non è il caso di Riccardo].

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Elisa nel suo appartamento a Parigi.

ELISA, STUDENTESSA IN ERASMUS A PARIGI

Studio design al Politecnico di Milano e mi trovo in Erasmus a Parigi. Nelle ultime due settimane sono stata a Milano, ma appena la situazione coronavirus è peggiorata, per paura di avere problemi in Francia, ho preso il treno e sono tornata a Parigi.

Il giorno dopo sono andata a lezione con la mascherina come raccomandato dalle linee guida del governo francese, ma sono arrivati i responsabili dell’università e mi hanno riferito che tutte le persone che erano state nel nord Italia, in Cina e altre aree a rischio non potevano frequentare le lezioni e dovevano stare in quarantena per due settimane.

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Quindi adesso devo starmene a casa da sola, anche se normalmente vivo con mia sorella che è ostetrica, perché se mai avessi il virus e glielo passassi sarebbe un bel problema. Quando giro per Parigi—è concesso uscire, purché si evitino i contatti con persone a rischio o i luoghi affollati—uso la mascherina e la gente mi guarda strano; non c’è ancora molta coscienza di quello che potrebbe succedere e dei comportamenti da prendere nel caso ci fosse un’epidemia anche qua. Diciamo che mi sento un po’ un peso e un pericolo, non è molto piacevole.

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Giovanni nella sua stanza a Cluj-Napoca.

GIOVANNI, STUDENTE IN ERASMUS A CLUJ-NAPOCA (ROMANIA)

Sono uno studente di medicina veterinaria in Erasmus in Romania, e prima che iniziasse il secondo semestre sono andato a trovare la mia famiglia in Italia, a Bassano del Grappa (Vicenza). Al mio rientro qui sono andato normalmente in Università finché, nel bel mezzo di una lezione, il professore ha ricevuto una chiamata e mi è stata data una mascherina da indossare, chiedendomi da quale zona d'Italia venissi.

Lo stesso giorno mi è stato comunicato che sarei dovuto rimanere a casa per 14 giorni, senza poter uscire o incontrare altre persone. Vivo in un dormitorio per studenti e, nonostante qualche sguardo spaventato per via della mascherina o di qualche frase del tipo "Potevi startene a casa tua" da parte di qualche "local", fortunatamente c'è qualcuno che mi dà una mano portandomi la spesa o facendo due chiacchiere al volo sull'uscio della mia stanza.

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Bianca e il suo coinquilino.

BIANCA, STUDENTESSA UNIVERSITARIA A PARIGI

La scorsa settimana abbiamo avuto le vacanze invernali di metà semestre, e quando siamo tornati ci è arrivata una mail in cui si chiedeva a tutti gli studenti tornati dalle solite regioni cinesi e da Lombardia e Veneto di “autodenunciarsi,” di portare la mascherina quando si esce e di non andare in università per due settimane. Io non mi ero mossa da Parigi, ma il mio coinquilino era appena tornato da Milano e ho iniziato a scherzarci su. Poi abbiamo iniziato a realizzare che vivendo in meno di 40 metri quadri, probabilmente anche io sarei dovuta stare in quarantena.

Lui dal giorno dopo è dovuto rimanere a casa, mentre io ho cercato di spiegare la situazione all’università. In un primo momento mi hanno detto che sarei potuta andare, poi che mi sarei dovuta autoisolare. I nostri amici italiani, quelli con cui usciamo, hanno fatto altrettanto—che fossero stati o meno in Lombardia. E ci sono tanti italiani nella mia università di Parigi, ma tanti, che ora sono a casa.

Quello che ci dà fastidio è che la completa assenza di distinzioni tra Milano e i comuni nei focolai, oltre a sentirci come se fossimo già contagiati. Quando andiamo in giro con la mascherina, in metropolitana o al supermercato, ci guardano tutti. Ci siamo anche ritrovati vicino a degli anziani e abbiamo avuto la reazione spontanea di allontanarci, per la paura di passargli qualcosa. Il meccanismo che ormai si è instaurato è quello di uscire e dire “oddio, adesso sono malato”; anche se le probabilità di esserlo sono le stesse di qualsiasi francese. Questa è la cosa che ci sta pesando di più.

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Tra gli altri racconti arrivati c'è quello di Adriana, romena e residente in provincia di Verona. Nel fine settimana la famiglia è venuta a trovarla dalla Romania; al rientro, alla dogana stradale, è stata loro misurata la temperatura e sono state rilevate le generalità. Il giorno dopo i genitori sono stati contattati e hanno saputo che dovranno restare in quarantena fino al 10 marzo, con a disposizione un numero per ricevere farmaci e spesa e l'obbligo di contattare un dottore in caso di sintomi.

Matilde e Caterina sono invece arrivate da dieci giorni a Mosca come studentesse in scambio, e nonostante i controlli che hanno attestato il loro stato di salute, all'improvviso sono state ricontattate dai responsabili del dormitorio in cui alloggiavano e messe in quarantena. Al momento si trovano in una camera isolata predisposta per loro, dove ricevono i pasti e viene loro misurata la temperatura due volte al giorno; sono in contatto col Consolato italiano.

Molti, infine, ci hanno scritto di essere in partenza per l'estero e di avere paura di incorrere in problemi ai controlli. Questo post parla di casi specifici e non intende fare da guida per gli spostamenti generici dall'Italia verso l'estero. Se avete dubbi su questo aspetto, vi invitiamo a consultare il sito Viaggiare Sicuri.

*Il nome è stato cambiato per proteggere la privacy.

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