Tecnologia

Secondo uno studio, c'è il 90% di probabilità che la nostra società collassi entro 40 anni

Due fisici teorici hanno costruito un modello che prevede il "collasso irreversibile" della civiltà umana a causa della deforestazione.
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT
Illustrazione Pamela Guest
Illustrazione di Pamela Guest.

I fisici teorici specializzati in sistemi complessi Mauro Bologna e Gerardo Aquino sono giunti alla conclusione che la deforestazione globale causata dalle attività umane potrebbe scatenare il “collasso irreversibile” della civiltà umana già nel corso dei prossimi venti o al massimo quarant’anni.

Secondo il loro studio “Deforestation and world population sustainability: a quantitative analysis”, pubblicato a maggio 2020 su Scientific Reports di Nature, se continuiamo a distruggere le foreste, la Terra non sarà più in grado di sostenere una popolazione umana così numerosa.

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Nello specifico, i fisici ritengono che, a questi ritmi, tra circa 100-200 anni non avremo più foreste. Ma “è chiaramente irrealistico immaginare che la società umana cominci a percepire gli effetti dalla deforestazione soltanto dopo che sarà abbattuto anche l’ultimo albero,” scrivono.

Il collasso della civiltà umana avverrebbe infatti molto prima, a causa del crescente impatto della deforestazione sui sistemi di supporto necessari per la sopravvivenza degli umani—compresi l’assorbimento di anidride carbonica, la produzione di ossigeno, la conservazione del suolo, la regolazione del ciclo dell’acqua, il supporto per le catene alimentari umane e naturali e l’habitat per un numero imprecisato di specie.

In assenza di questi elementi fondamentali, “è altamente improbabile immaginare la sopravvivenza di molte specie, inclusa la nostra, sulla Terra senza [foreste]”, fa notare lo studio. “Il progressivo deterioramento dell’ambiente a causa della deforestazione avrebbe un impatto enorme sulla società umana. Di conseguenza, il collasso umano inizierebbe molto prima.”

Bologna è docente del Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università di Tarapacá, in Cile, e Aquino è ricercatore dell’Istituto Alan Turing di Londra attualmente impegnato nella costruzione di modelli di sistemi politici, economici e culturali complessi per prevedere i conflitti. In passato ha condotto ricerche nel gruppo di fisica biologica dell’Imperial College, all’Istituto di Sistemi Complessi Max Planck e nel gruppo di biologia matematica dell’Università del Surrey.

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Il loro studio crea modelli sulla base dell’attuale ritmo di crescita della popolazione e della deforestazione come variabili del consumo di risorse, il tutto con l’obiettivo di calcolare le possibilità rimaste alla civiltà per evitare il collasso.

Punto di non ritorno

Prima dello sviluppo delle civiltà umane, la Terra era ricoperta da 60 milioni di chilometri quadrati di foreste. Con l’accelerazione della deforestazione causata dall’impronta ambientale degli umani sul pianeta, il nuovo studio fa notare che oggi restano meno di 40 milioni di chilometri quadrati di foresta.

Confrontando l’attuale tasso di crescita della popolazione con il tasso di deforestazione, gli autori hanno scoperto che “statisticamente, le probabilità di sopravvivere senza dover affrontare un collasso catastrofico sono molto basse.” Lo scenario più ottimistico è che abbiamo meno del 10 percento di possibilità di evitarlo. Gli autori scrivono:

“In conclusione, il nostro modello dimostra che un collasso della popolazione umana causato dall’esaurimento delle risorse è lo scenario più probabile dell’evoluzione dinamica sulla base dei parametri correnti… concludiamo da un punto di vista statistico che le probabilità che la nostra civiltà sopravviva a se stessa sono meno del 10 percento nello scenario più ottimista. I calcoli dimostrano che, mantenendo l’attuale tasso di crescita della popolazione e di consumo delle risorse, in particolare quelle forestali, ci restano pochi decenni prima di un irreversibile collasso della nostra civiltà.”

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Questo verdetto sembrerebbe quindi indicare che ci sia più del 90 percento di probabilità di un crollo della società industriale calcolato sul solo impatto della deforestazione sulla ‘capacità di carico’ del pianeta—cioè la capacità dello stesso di sostenere la vita umana.

“Chiamiamo questo momento il ‘punto di non ritorno’,” spiegano, “perché, se il tasso di deforestazione non viene alterato prima di questo momento, la popolazione umana non sarà più in grado di sostenere se stessa e si verificherà un crollo disastroso o addirittura l’estinzione.”

La tecnologia può salvarci?

Davanti alla prospettiva del collasso, e senza cambiare i nostri insostenibili livelli di crescita della popolazione e di consumo, l’unica altra strada per la sopravvivenza prospettata sarebbe uno sviluppo tecnologico senza precedenti.

Nello studio, gli autori offrono un’interessante prospettiva tecno-utopica: una sfera di Dyson, una ipotetica megastruttura attorno al sole che assorba il grosso della sua energia e la spedisca verso la Terra. “La sfera di Dyson non va presa alla lettera, ma per il suo valore energetico,” mi ha detto il dottor Aquino. La stessa quantità di energia potrebbe essere prodotta in qualunque altro modo (con la “fusione nucleare,” per esempio).

Può aiutare pensare alla sfera di Dyson nel contesto della ‘scala di Kardašëv’, una misura proposta dall’astronomo sovietico Nikolai Kardašëv nel 1964 per stabilire il livello di avanzamento tecnologico di una civiltà basandosi sulla quantità di energia che è in grado di accumulare.

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La scala di Kardašëv suggerisce che se una civiltà può raggiungere un progresso tecnologico tale da sfruttare al massimo l’energia della sua stella, questo le permetterebbe di andare oltre i consueti limiti di risorse.

“Il consumo delle risorse naturali, in particolare delle foreste, è in competizione con il nostro livello tecnologico,” hanno scritto Aquino e Bologna. Trattandosi di fisici teorici, gran parte del paper affronta questi problemi su un piano teorico, e in parte ipotetico—di cosa avrebbe bisogno una società per trascendere i limiti delle risorse, e che aspetto avrebbe una società di questo tipo?

“Un livello tecnologico più alto porta a una crescita della popolazione e a un maggiore consumo delle foreste… ma anche a un utilizzo più efficace delle risorse. Con un livello tecnologico più alto potremmo idealmente sviluppare soluzioni tecniche per evitare/prevenire il collasso ecologico del nostro pianeta o, come ultima spiaggia, per ricostruire la civiltà in un spazio extra-terrestre.”

Naturalmente, gli autori riconoscono che le nostre capacità ingegneristiche sono al momento insufficienti per realizzare una tecnologia così potente.

Allargando per un attimo il fuoco dello studio, gli autori ipotizzano che questa circostanza possa spiegare perché non siamo ancora stati in grado di rilevare tracce di vita aliena intelligente su altri pianeti: le dinamiche esemplificate da questo modello suggeriscono che le civiltà intelligenti tendono a ridursi in cenere a causa dell’esaurimento delle risorse del loro pianeta prima di poter raggiungere un livello tecnologico tale da diventare più avanzate e resistere a queste circostanze.

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Ordinaria amministrazione?

Un’indagine più approfondita dello studio fa emergere ulteriori problemi. In particolare, vale la pena concentrarsi sul modello di interazione tra esseri umani e foreste, che è ciò che dà i risultati più preoccupanti.

Il motivo è che questo modello si basa su parametri “deterministici” di crescita della popolazione e le proiezioni sulla deforestazione si basano sulle “condizioni attuali”.

Il presupposto, quindi, è che questi ritmi e condizioni continueranno semplicemente a restare attorno allo stesso livello. In questo tipo di esercizio, il modello non è concepito per tenere conto di ‘se’ probabilistici: anzi, dimostra che cosa succederebbe in uno scenario di letterale ‘ordinaria amministrazione’ che prende le tendenze attuali e le applica al futuro.

Il verdetto, quindi, è molto estremo: se manteniamo lo stesso tasso di deforestazione, di crescita della popolazione e di consumo delle risorse, il collasso appare inevitabile entro i prossimi due o al massimo quattro decenni.

La buona notizia è che questo scenario pessimistico, per quanto rifletta i veri e gravissimi rischi della traiettoria su cui ci troviamo, potrebbe non tenere conto dei dati e delle aspettative più recenti riguardo queste tendenze.

Secondo lo State of the World’s Forests del 2020—il rapporto pubblicato dalla FAO, l’osservatorio sul cibo e l’agricoltura dell’ONU, insieme all’osservatorio sull’ambiente (UNEP)—il tasso di deforestazione globale è andato declinando negli ultimi decenni.

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Dagli anni Novanta al periodo tra il 2010 e il 2020, la perdita netta di aree forestali è diminuita da 7,8 milioni di ettari all’anno a 4,7 milioni di ettari annui. Uno dei motivi è che nonostante la deforestazione prosegua, sono venute a crearsi contemporaneamente nuove foreste, sia naturalmente che per pianificazione deliberata.

Ma il tasso di deforestazione sembra anche essere diminuito in sé. Negli anni Novanta, il rapporto dell’ONU indicava un tasso di deforestazione attorno ai 16 milioni di ettari all’anno. Tra il 2015 e il 2020, è sceso a circa 10 milioni (stimati) di ettari all’anno.

Eppure non c’è da essere troppo ottimisti. In termini assoluti, il rapporto dell’ONU mostra che l’area forestale globale è comunque diminuita di 178 milioni di ettari (!!!) tra il 1990 e il 2020.

Inoltre, corriamo il grave rischio di fare retromarcia. I dati più recenti prodotti dall’osservatorio globale sulle foreste dell’Istituto Mondiale delle Risorse confermano che nel 2019 la perdita di foreste primarie è stata più alta del 2,8 percento rispetto all’anno precedente, indicando che il tasso di distruzione sta ricominciando a salire.

In modo simile, le proiezioni sulla crescita della popolazione saranno probabilmente più basse di quanto ci si aspettava. Una nuova serie di previsioni pubblicata da The Lancet suggerisce che il tasso di crescita della popolazione potrebbe scendere dopo la metà del secolo a causa del declino del tasso di fertilità, al contrario delle proiezioni fatte in passato.

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Sfortunatamente, il lasso di tempo richiesto per questi cambiamenti potrebbe essere troppo lungo per alterare in modo sostanziale le previsioni del modello esposto sul Scientific Reports. Come sottolineano gli autori, “è difficile immaginare, in assenza di uno sforzo collettivo molto forte, che avvengano grandi cambiamenti a questi parametri in un termine così breve”—al di là delle possibilità di “fluttuazioni attorno a queste tendenze.”

Ma questi rallentamenti indicano che evitare una crescita esponenziale così pericolosa può essere possibile, specialmente usando un approccio più attivo e mirato.

L’alternativa: prendersi cura della Terra

Un altro modo per evitare il collasso, ipotizzano gli autori, è una riforma della civiltà a partire dalle dalle fondamenta.

Ciò che ci mette sulla attuale traiettoria verso il collasso è che “il consumo delle risorse planetarie potrebbe non essere percepito come pericolo mortale per la civiltà umana,” perché “spinto dall’economia.” Una civiltà così organizzata “privilegia l’interesse dei suoi componenti meno o affatto preoccupati dell’ecosistema che li ospita.”

Il modo più efficace di accrescere le nostre possibilità di sopravvivenza è quindi passare dall’interesse personale in senso stretto a un’idea di cura collettiva gli uni per gli altri, e per gli ecosistemi in cui ci troviamo.