Succede che l’estate finisce e ve ne accorgete dalle spiagge che si svuotano, dagli amici che spariscono e dal fatto che avete un treno da prendere o un’autostrada infinita, probabilmente verso nord, da percorrere. Le hit estive si dissolvono nel vuoto cosmico dalla rotazione giornaliera delle radio; l’autunno è alle porte, si introduce con le prime piogge e dal fresco serale. E ve ne accorgete anche perché la fine della stagione ha una presenza emotiva importante, che voi l’abbiate passata al mare o in città a lavorare. La musica è uno strumento utile per superare i brutti traumi della vita, come quello dell’arrivo di Settembre.
Potrei fingere e dirvi che sono state le letture di Schopenhauer a farmi intuire che “l’effetto della musica è tanto più potente e penetrante di quello delle altre arti: perché queste esprimono solo l’ombra, mentre essa esprime l’essenza”, ma in realtà non è proprio così. È stata l’esperienza personale, sicuramente anche un po’ imbarazzante, degli amici che suonavano “Eskimo” di Guccini nei primi giorni dopo la fine di Agosto. C’era qualcosa di bello nel cantare tutti assieme che “l’estate finiva più nature”.
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Esistono album italiani buoni per costruirci una playlist da fine estate? Mi piaceva l’idea di giocarci sopra, con una semplice regola: prendere roba relativamente nuova, boh, massimo una decina d’anni. Lo scopo di questo mischione di emocore, rap, pop, elettronica e dance è quello di coccolarvi nel magone di transizione, farvi conciliare con l’attesa del freddo. Che tanto l’estate torna sempre.
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Do Nascimiento – Giorgio
I Do Nascimiento sono una band ligure che, per un periodo, si è sciolta alla fine di ogni estate e ora ha membri sparsi un po’ ovunque per il mondo. Giorgio è il loro secondo e ultimo album, meno urlato, forse meno inquieto, rispetto al loro di debutto. Posso solo dire che questa sia una di quelle band per le quali sarebbe bello avere vent’anni per sempre, vent’anni per far durare l’estate all’infinito, un estate per poter inseguire le band come loro: a pugni alzati e urlando le loro strofe fino a farsi venire il sangue alla gola: “Se d’estate ci cado è solo per quel tuo pallore che va un po’ via / E con il segno del costume a ricordar che tre mesi passano presto.”
Dargen D’Amico – Variazioni
Isabella Turso è una di quei pianisti che, a sentirla suonare in Variazioni, ti fa chiedere perché il suo nome non è sulla bocca di tutti. Tommaso Colliva è uno dei migliori produttori italiani in circolazione, e in questa selezione torna su un altro album. Su Dargen D’Amico c’è poco da dire e quella che sembrava un’idea del cazzo, registrare un disco rap tutto voce/piano/fiati, si rivela invece un’operazione di revisione d’immagine del rapper milanese. Non è una raccolta di cover ma una ri-declinazione da tarda serata, quieta e intima, ma soprattutto necessaria (parola sua) delle storie di Dargen.
Le sacerdotesse dell’isola del piacere – Interpretazione dei sogni
Quelli della V4V Records hanno una vera passione per l’emo del midwest. Per gli innamorati dei vari Mineral e Sunny Day Real Estate e di tutta quella scena, Le sacerdotesse sono un ascolto obbligatorio. E così, se le chitarre iper-sentimentali rimandano alle serate fatte di falò in spiaggia e altre adolescenziate del genere, non scherza certo nemmeno il senso dell’album, tutto incentrato sulle transizioni dal sogno alla veglia, dall’irrazionale al razionale o, probabilmente, dal desiderio alla realtà. Per tutto l’album vive la minaccia incombente di una stagione piovosa: “Sarà freddo / coricati presto”.
Federico Fiumani – Donne mie
Ci auguriamo un autunno fresco e non piovoso, qualcosa di sobrio come le chitarre e i tempi dolciastri di Fiumani. I suoi testi sono materia poliedrica: buoni per le matricole universitarie che devono scoprire la città in cui sono finiti e come fare a cominciare a scopare, sì, ma per capire davvero la roba di Fiumani bisognerebbe aver superato i trenta. Donne mie è il diamante grezzo della produzione musicale di Fiumani. Con malinconia sbilenca il Fiumani racconta amori e ossessioni e riesce a rendere catartiche cose qualsiasi: “La mia ragazza dorme la domenica mattina / E dopo colazione si rimette a dormire / Io la prendo con filosofia / Nel suo lavoro le pause son strette / Perché lavora sei giorni su sette / Non come me, che non faccio un cazzo tutto il giorno“.
Cosmetic – Core
Difficile trovare album transizionali e autunnali quanto Core. Fondati nel 1996, figli degli ascolti dei Sonic Youth e Nirvana, i Cosmetic si portano appresso una lunga carriera di dischi e concerti. Ad oggi si contano più gli ex-membri che quelli in vita e del trio originale è sopravvissuto il fondatore Emanuele “Bart” Bartolini. Core è pop, emo e punk, un album intriso di sincerità disarmante che parla di una Fine di un’epoca. Ma di che epoca? Che sia quella della band o dell’estate della giovinezza è una cosa difficile da intuire. Forse di entrambe.
Fine Before You Came – Ormai
Allo scoccare del primo giorno di settembre, gli appassionati di musica in Italia e su Facebook si dividono in tre categorie: ci sono quelli che condividono “Eskimo”, quelli che condividono i Green Day, e quelli che mettono “Capire Settembre”. Per onestà intellettuale devo dire che ci sono poi delle micro-sotto-categorie, come quelli che postano “September” degli Earth, Wind & Fire. Ad ogni modo, l’inno d’autunno della nazionale dell’emocore italiana arriva solo verso il finale di un album che parte con la danza della pioggia e della nebbia che è “Dublino”, poi la monumentale “Sasso” e quella preghiera urlata di “Magone”. Arrivare alla fine del disco, scritto con la magia nera che ti riporta in luoghi e anni lontani, a farti pensare ai crocevia della vita e farti dannare, è sempre una montagna russa emotiva.
Be Forest – Earthbeat
Camminate boschive, tende e roulotte che celano corpi addormentati, l’odore delle piante sulla pelle, simboli totemici disegnati sulla corteccia degli alberi, l’ultimo sole caldo che si nasconde dietro il profilo piatto di un docile lago. Provate a scrivere le prime cose che vi vengono in mente mentre ascoltate il secondo album della formazione pesarese. Il percorso musicale del gruppo è lo stesso di quelli che seguono il culto del dream pop o della darkwave, ovvero di guidare l’ascoltatore verso angoli inesplorati dell’inconscio collettivo. Un ascolto per il primo autunno, che ancora non si avvicina al freddo invernale.
Ghemon – Mezzanotte
Questo è uno di quegli album che fanno bene allo spirito di chi ci finisce sotto, ascoltarlo è un po’ come fare pace con il mondo: la ricetta di Ghemon prevede soul e hip hop, funk e R&B, ma soprattutto quell’ibridazione tra rap e cantautorato che da qualche anno in Italia sta funzionando. Mezzanotte è figlio di un percorso personale, del superamento di un periodo di depressione, ma il suo autore lo ha scritto tenendo lontano qualsiasi forma di autoreferenzialità. Mezzanotte è quindi l’album di uno e di tutti. Per quando c’è bisogno di superare la fine di un qualcosa e ripartire con l’equilibrio giusto, ecco, “Dopo la medicina” è l’inno di chi vuole riprendersi.
Lorenzo Senni – Persona
Se i cabinati degli anni 90, sperduti nei bar abbandonati della pianura padana, potessero sognare, allora i loro sogni avrebbero il suono di “Win in the Flat World”. Senni è un poeta, compositore di notturni elettrici, e Persona è un ascolto minimalista, dedicato ai techno-raver, agli insonni e agli ultimi. Ottimo per attraversare in automobile il lungomare deserto alle quattro di notte o la campagna ormai fresca del primo venticello. Le cicale resistono nel loro ultimo frinire.
Massimo Volume – Cattive abitudini
“Vestiti di chiaro ci inchineremo all’ultima luce di Agosto”, sussurra Emidio Clementi in “Fausto”, uno dei singoli del ritorno in studio dei Massimo Volume dopo una pausa durata quasi undici anni. Il secondo decennio del nuovo millennio si apre con un album che sa delle ultime sere fresche delle vie del Pratello e dei quartieri medievali bolognesi, in timorosa attesa del grande freddo. Egle Sommecal e Stefano Pilia incrociano le loro chitarre costruendo un suono granitico e al contempo minaccioso, melodie perfette per una delle voci più riconoscibili e ormai importanti della musica italiana. Cattive abitudini è un album che sa di cose sfuggite (“Ho perso troppo tempo, e il tempo si è accorciato“) e di brutti vizi (“Le cattive abitudini / Quasi sempre appagate”), album utile per un’estate della quale doversi pentire.