Fin da quando i bitcoin sono stati lanciati, hanno attirato su di loro una forte attenzione tanto da parte degli smanettoni che da parte degli outsider. Le dinamiche che regolano questa criptovaluta non sono da sottovalutare vista la posta in gioco: da una parte il sogno dell’anonimato rivendicato da un’accesa comunità di appassionati spesso e volentieri legata alla cultura anarco-capitalista e libertaria—Dall’altra le paure, spesso giustificate, di un uso spregiudicato di questo strumento alimentate da un’attenzione spesso morbosa dei media.
Quello che tuttavia spesso sfugge è che i bitcoin non garantiscono davvero un anonimato totale: infatti, si tratta di una valuta cosiddetta pseudonima. Esiste un registro completamente pubblico, la blockchain, grazie al quale è possibile risalire ad ogni transazione compiuta fino all’origine dei bitcoin. La forza di questa valuta sta nell’eliminazione di ogni forma di intermediario e nella possibilità di trasferire istantaneamente quantità, anche ingenti, di denaro.
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Per raggiungere l’anonimato completo, invece, gli utenti sono costretti a passare per ulteriori servizi, come ad esempio i “bitcoin mixer” e, a prescindere, ad utilizzare una serie di accortezze che di certo non rendono la cosa immediata né accessibile agli utenti inesperti.
A cambiare le carte in tavola è arrivato però ZCash, una nuova cryptovaluta fresca di lancio, che promette ai propri utenti un anonimato completo. A detta dello stesso sito della moneta, la differenza principale sta proprio nel fatto che, nella blockchain, importo e parti coinvolte nella transazione rimangono assolutamente private. ZCash utilizza, infatti, alcune tecniche avanzate di crittografia chiamate “zero-knowledge proofs”, per garantire la validità della transazione senza però rivelarne informazioni aggiuntive.
L’Italia normalmente è estremamente indietro nel percepire e, quindi, inquadrare questi fenomeni. Per questo stupisce davvero la prontezza di reazione mostrata da alcuni parlamentari guidati dall’On. Stefano Quintarelli, informatico e deputato alla Camera, che pochi giorni fa ha annunciato di aver proposto un disegno di legge per vietare l’uso di cryptovalute ad anonimizzazione totale come ZCash. Prontezza di reazione tanto immediata che, lo stesso deputato, ci ha confidato di non avere, al momento, notizia di mosse analoghe da parte di altri legislatori stranieri, “Non so se ci sono tanti informatici nei parlamenti, poi, è molto presto! Ma dato che penso che il tema sia importante e che il mio tempo in parlamento è limitato, vorrei avere il tempo per organizzare una proposta ragionata che possa servire come base di riflessione in futuro,” mi ha spiegato per emai.
La proposta non è stata presa bene dalla comunità di appassionati italiani, forse complice il fatto che il deputato ha annunciato di persona la cosa direttamente nel gruppo Facebook di Bitcoin Italia, fortino virtuale della causa pro-privacy, presidiato da migliaia di utenti, a dirla tutta, non troppo entusiasti all’idea di doversi confrontare con un rappresentante dello Stato.
“Francamente non penso che possano essere posti vincoli sugli utenti, ma sugli intermediari.”
Le continue richieste di Quintarelli di instaurare un confronto serio sul tema sono state ignorate e, al contrario, è stato riempito di insulti al punto che la stessa giornalista Elisa Serafini è intervenuta ironizzando e paragonando il gesto ad un parlamentare che si presenta in un gruppo di vegani annunciando di voler vietare il tofu.
Ad oggi la pratica per il deposito del DDL non è ancora conclusa, per questo motivo non è ancora possibile sapere i nomi dei cofirmatari né i dettagli della proposta. L’Onorevole non ha voluto specificarci il nome dei colleghi che al momento hanno firmato il disegno di legge precisando comunque che,”altri si potranno aggiungere prima della fine del deposito, qualcuno magari potrebbe anche togliersi. Spetta a loro decidere, ed hanno fino al momento di chiusura del deposito per farlo.”
Al nostro dubbio sulla effettiva efficacia della legge—soprattutto a fronte della previsione di sanzioni solamente amministrative, quindi, dal dubbio effetto deterrente—ha risposto che non esiste una legge che sconfigga completamente i fenomeni che regolamenta, “Dal divieto di parcheggio (amministrativo) in su, fino al penale,” ci ha spiegato. “Poi, bisogna farsi la punta al cervello per trovare delle cose che limitino la possibilità di interesse ad uso a fini di money laundering. Francamente non penso che possano essere posti vincoli sugli utenti, ma sugli intermediari,” riprendendo quindi le scelte di indirizzo compiute dalla normativa europea in materia di bitcoin, che hanno lo scopo di evitare una guerra diretta, e dalla dubbia efficacia, agli utenti.
“Il prossimo miliardo e mezzo di persone in rete arriverà da Paesi del sud del mondo, […] il futuro delle criptovalute è probabile che sarà scritto in quei Paesi.”
Le reazioni particolarmente forti alla proposta di Stefano Quintarelli, come già notato da più di qualcuno, forse sono anche dovute alla percezione di un tradimento della fiducia data. Il deputato infatti non è propriamente un outsider della questione bitcoin di cui, anzi è stato un forte sostenitore. Nel suo libro Costruire il Domani si leggeva, “La popolazione di Paesi tormentati da guerre e conflitti potrebbe trovare più affidabile una moneta condivisa a livello mondiale, non garantita da uno Stato, che quella ufficiale del proprio regime. Un altro aspetto da considerare è che il prossimo miliardo e mezzo di persone in rete arriverà da Paesi del sud del mondo, userà smartphone in luoghi dove non c’è una infrastruttura di pagamento alternativa capillarmente diffusa e accessibile a costi bassi (rispetto al potere di acquisto di quei luoghi),” spiega. “Il futuro delle criptovalute è probabile che sarà scritto in quei Paesi.”
Insomma non sembrano esattamente le parole di un despota liberticida,”ll tema è la limitazione della probabilità che diventi uno strumento per money laundering e terrorism financing. Una valuta pseudonima (come il bitcoin ndr) lascia una traccia che limita questa possibilità, a differenza di una completamente anonima,” e in questo stanno le motivazioni di tale proposta, mi ha spiegato per mail.
Dall’altra parte della barricata ci sono comunque le ragioni di chi pensa che la privacy sia un diritto assoluto e che lo Stato non abbia il diritto di interferire sulla vita degli individui. Uno dei principali oppositori della proposta è, infatti, Giacomo Zucco, già leader del Tea Party Italia, e CEO di BlockchainLab, impresa, ad oggi, leader degli studi sulla tecnologia blockchain in Italia, che nutre di particolare credibilità e stima all’estero.
In un’intervista a Smart Money, Zucco non solo mette in dubbio che Quintarelli abbia effettivamente, come da lui dichiarato, consultato degli esperti del settore prima di formulare la proposta ma propone, addirittura, la sua espulsione da AssoB.it, l’associazione che riunisce i principali insider italiani della tecnologia bitcoin, “Nel merito è eticamente criminale nel senso che la privacy è un diritto umano e la crittografia è un tool per ottenere un diritto,” si legge. “Qui non si sta parlando di punire un reato commesso attraverso una criptovaluta anonima, si sta discutendo di invadere la privacy delle persone senza che abbiano commesso un reato.”
Lo scontro è dunque accesissimo, tuttavia Quintarelli ci ha comunicato che è intenzionato ad interloquire con tutte le realtà italiane, “Il mio intento è che ci siano dei workshop aperti con proposte costruttive sul tema: equilibrio tra privacy e rispetto della legge,” spiega. “Ci sono diverse persone che non le condividono; ad un estremo ci sono quelli che pensano che tutto dovrebbe essere palese e tracciabile e all’estremo opposto le persone che pensano che tutto dovrebbe essere sempre segreto. Il punto di equilibrio da trovare, in uno stato democratico, è una questione politica,” conclude.