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‘Per una bufala girata su Facebok, ora mezza Italia mi crede un pedofilo’

Nei giorni scorsi ha iniziato a girare su Facebook la foto con cui Alfredo Mascheroni, un ragazzo di 24 anni, denunciava il messaggio che agli occhi di mezza Italia lo ha trasformato in un mostro. Un messaggio circolato su Whatsapp e Facebook, con un link al suo profilo e un invito a segnalarlo accusandolo di essere un pedofilo.

Da allora sono usciti diversi articoli sull’argomento, e Alfredo, che respinge ogni accusa, ha rilasciato diverse interviste per fare chiarezza su quanto successo. Abbiamo deciso di contattarlo per farci raccontare la sua versione.

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Come raccontato a Flavia Guidi da Alfredo Mascheroni.

Sono una persona piuttosto attiva sui social: pubblico diversi post, foto, canzoni e interagisco spesso con le altre persone. Tuttavia, quando sabato mattina mi sono svegliato e ho visto su Facebook una cinquantina di richieste d’amicizia e altrettante notifiche ho capito immediatamente che c’era qualcosa che non tornava.

Ne ho avuto la conferma quando ho aperto quelle notifiche, e ho scoperto che si trattava quasi esclusivamente di insulti: “vergognati,” “maniaco,” “spero che marcirai in galera,” “dovrebbero ucciderli a quelli come voi.” E molte altre cose su questa falsariga.

Molto ingenuamente, la prima cosa che ho pensato è che magari in passato avevo scritto un post che si prestava a fraintendimenti, e che per qualche strana ragione la gente lo avesse notato tutto d’un tratto. Ho fatto mente locale: non c’era nessun post in grado di attirare una tale quantità di odio, ed era fin troppo ovvio che si trattasse solo di una futile illusione.

Dopo qualche minuto di totale annebbiamento, ho letto messaggi e commenti e capito quello che in realtà mi veniva imputato: quella gente credeva che fossi un pedofilo, oltre che un maniaco. Assieme agli insulti, infatti, molte persone allegavano il link di un messaggio che recitava così: Ciao per favore segnali questo profilo? È un bastardo che manda foto nude a tutti e un pedofilo grazie dimmi se lo fai. Sotto a quelle parole, il link al mio profilo Facebook, la mia foto profilo (la mia faccia in primo piano), il mio nome e cognome.

Quel messaggio, come ho poi scoperto sulla mia pelle e tramite la Polizia Postale, era diventato virale ed era stato condiviso via Facebook e Whatsapp da più di 20mila persone. In tutta Italia. Questo a martedì. Mi chiedo quanto sia cresciuto ad oggi il numero di condivisioni e se continuerà a crescere, e purtroppo temo di conoscere la risposta.

A 24 anni, come la stragrande maggioranza delle persone, non mi sono mai trovato in situazioni neanche lontanamente paragonabili a questa. Ma un po’ per gioco mi è capitato spesso di chiedermi come avrei reagito di fronte a una scoperta sconvolgente, come avrei retto di fronte a una situazione estremamente difficile. Nella mia testa mi sono sempre immaginato una reazione forte e plateale.

Sabato mattina, nel leggere centinaia e centinaia di insulti riferiti alla mia persona che improvvisamente veniva associata a quella di un pedofilo, ho reagito in tutt’altro modo: sono rimasto seduto al tavolo con il computer davanti, bloccato in una sensazione a metà tra incredulità e stupore. Mi piace pensare che sia un meccanismo di autodifesa, che il mio corpo e la mia mente si siano intorpiditi per proteggermi dallo shock che sarebbe giunto se avessi realizzato immediatamente tutto.

Ho passato l’ora successiva a vagare senza meta né scopo sul mio profilo, a leggere gli insulti e fissare il messaggio che aveva scatenato tutto questo. Per qualche assurda ragione, non riuscivo a fare altro che cliccare ripetutamente sul link che trovavo nel messaggio originale, sperando che mi fornisse le chiavi per risolvere quel mistero, che mi portasse a qualche pagina che spiegasse il fraintendimento. Invece mi portava di nuovo dritto sul mio profilo, e da lì ricominciavo da capo. Insulti, messaggio, link.

Osservando più attentamente il mio profilo poi ho scoperto che le persone non si limitavano a scrivermi insulti per messaggio, sulla bacheca, o sotto le ultime cose che avevo pubblicato. Scavano molto più in là, e avevano cominciato a scrivere insulti anche sotto post precedenti. Tutta la mia vita era sotto accusa, e con questa i miei affetti. Per esempio, una foto in cui abbraccio un cane veniva vista come la prova che fossi un maniaco; la mia ex ragazza, invece, è diventata una povera vittima e la dimostrazione della mia pedofilia, in quanto si diceva sembrasse una ragazzina (anche se oggi ha 28 anni ed è quattro anni più grande di me).

Nonostante mi era ormai chiaro che la portata della cosa fosse enorme, provavo ancora a rispondere a tutti i commenti dicendo che non c’entravo niente, chiedendo alle persone da chi avevano ricevuto il messaggio, e se potevano mostrarmi delle prove o le foto incriminate.

Ovviamente nessuno aveva niente: quelle foto non esistono, e la cosa che mi manda fuori di testa è che la gente sosteneva di averle viste, ma che non poteva mostrarmele perché le aveva cancellate, le aveva viste dal telefono di un’altra persona, le aveva mandate alle autorità o chissà quale altra cosa. Anche di fronte a ciò, a nessuna delle persone con cui ho parlato sembrava venire il dubbio che fosse tutto falso.

Dopo aver postato uno status in cui cercavo di sminuire la cosa, soprattutto con l’intento di concentrare lì tutti gli insulti che stavo ricevendo e avrei ricevuto, sono andato dai carabinieri per sporgere denuncia. Sul luogo ho scoperto quello che a mente lucida probabilmente avrei saputo: non sono i carabinieri ad occuparsi di queste cose, ma la Polizia Postale. A Parma, città a cui Collecchio (il paese in cui vivo) fa riferimento, gli uffici della Polizia Postale sono aperti solo dal martedì al venerdì dalle 9 alle 13. Non potevo quindi fare l’unica cosa che sembrava fosse in mia possibilità, e avrei dovuto aspettare ben tre giorni. Tre giorni di insulti e un crescente senso di frustrazione e preoccupazione.

Alfredo mascheroni bufala

L’attuale immagine di copertina dell’account Facebook di Alfredo.

Nelle ore successive, infatti, mentre su Internet continuava a montare, la bufala ha superato le barriere della rete. Inutile dire che in un paesino di 14mila anime, in cui per altro gestisco un bar e dove mi conoscono tutti, una voce si diffonde come un virus. Per la gente che mi incontrava in carne e ossa ero immediatamente diventato il pedofilo. Ho cominciato a sentirmi costantemente gli occhi addosso—e nel 90 percento dei casi posso assicurare che non si tratta di una mia paranoia. Le persone che entrano nel bar, quando entrano, se hanno il coraggio di affrontare la questione e non si limitano a guardarmi storto mi fanno tutte le stesse domande: come è stato possibile? Non riesci a difenderti? Sai chi è stato?

Le risposte sono sempre le stesse. No, non ho la più pallida idea di chi sia stato, vorrei saperlo. E vorrei sapere anche perché, dato che ho pensato a qualsiasi singola cosa ma non mi viene in mente assolutamente nulla che possa anche solo potenzialmente giustificare una cosa del genere. Non so come fare a dimostrare che sono innocente. In un mondo normale, è l’accusa ad esser dover sostenuta, non la difesa. Ma io sento completamente impotente, ed è questo l’aspetto più frustrante dell’intera storia.

Lunedì, quando sono andato al mercato a comprare della frutta e verdura, dei ragazzi mi hanno accolto con un “oh ecco il pedofilo”. Non c’era nessuna accezione nella loro esclamazione, era completamente piatta, e non si vergognavano a dirmelo in faccia.

Martedì è arrivato il momento di andare alla Polizia Postale, evento in cui, forse per tenere occupato il cervello, avevo riposto grandissime aspettative. Non so di preciso cosa mi aspettavo facessero, ma tutti mi dicevano “vedrai che con la denuncia le cose si sistemano.” Ovviamente non si è sistemato nulla. L’unica certezza che ho avuto è che ormai mi conoscevano anche lì. Non ho avuto bisogno di presentarmi una volta entrato, il mio caso era già noto. Abbiamo guardato insieme il mio profilo, mi hanno detto che stanno indagando, mi hanno raccomandato di essere moderato e di stare tranquillo.

Non mi hanno dato nessuna speranza. Trovare la persona che ha fatto partire il tutto è molto difficile, come potevo immaginare, e arginare un messaggio diventato virale è una missione impossibile. Del resto nei giorni scorsi ho provato io stesso a farlo. Tramite esperti in materia come David Puente e il sito Bufale.net, che mi hanno contattato, abbiamo cercato di diffondere il messaggio che si trattava di una bufala. Nei giorni scorsi ho fatto interviste e raccontato la mia storia, non perché sono particolarmente megalomane ma perché è uno dei pochi mezzi che ho per diffondere il più possibile la verità.

Ma attenzione: non mi illudo che questa storia possa sparire nel nulla. Non sono così ingenuo. Ventimila persone si ergono a paladine della giustizia e condividono il messaggio in cui accusano un ragazzo di essere un pedofilo, perché sono queste le notizie che fanno scalpore. A nessuno interessa condividere un messaggio che dice che una persona è innocente.

In questa storia, l’unica nota positiva sono i miei amici, che mi sono stati accanto senza neanche dirmelo. Io mi vergognavo a comunicare loro quello che stava succedendo, e loro non mi hanno chiesto niente. Hanno semplicemente cominciato a difendermi a spada tratta sui social, a respingere le accuse. Eppure, nonostante per adesso sono dalla mia parte, temo che prima o poi il dubbio verrà anche a loro, che quel sospetto si insidierà anche nei loro cervelli.

Ho paura che anche per le persone che mi conoscono, anche per quelle che sanno benissimo che si tratta di una semplice e pura bufala, io diventerò il pedofilo. E so che si tratta di un’etichetta da cui non riuscirò mai a ripulirmi. Come fai a difenderti da un’accusa che semplicemente non esiste?

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