«Per Giove, sublime Garovirus, i tuoi banchetti sono meravigliosamente decadenti. Ci fanno dimenticare che siamo tanto lontani da Roma!»
Ecco il mio primo contatto con le abitudini alimentari dei Romani. Era dentro un album di Astérix e gli Elvezi. Uno degli invitati al banchetto del governatore Gracchus Garovirus si incantava alla vista dei cinghiali scintillanti e delle anfore piene. Questa visione decadente dell’alimentazione la troviamo dentro tutto il fumetto di Goscinny e Uderzo – dove i convitati si ingozzano letteralmente di budino d’orso o collo di giraffa farcito. Il lettore non può non concludere abbastanza velocemente che, malgrado un’igiene discutibile, tutti i Romani dovevano essere degli epicurei corrotti, amanti soprattutto della buona carne e dei banchetti gargantueschi.
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Un’idea che si ritrova anche al cinema, dove spesso vediamo un senatore o un centurione mentre sbocconcella dell’uva su un divano, attorniato da giovani vestali. Il panciuto Gracchus di Goscinny e Uderzo si rifornisce da un produttore chiamato “Fellino” in omaggio a Fellini e alle orge del suo Satyricon.
Nel libro L’Empire Romain par le menu, pubblicato dalle edizioni Arkhê, Dimitri Tilloi-D’Ambrosi, dottorando in storia romana all’Université Jean Moulin Lyon III, esamina i cliché della cultura popolare. Mostrando che l’alimentazione dei Romani era proteiforme, che i ricchi e i poveri non si nutrivano alla stessa maniera e che la dieta quotidiana consisteva soprattutto di verdure come il cavolo o la rapa – e non di lepri arrostite.
Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire cosa mangiavano davvero i Romani.
MUNCHIES: Buongiorno Dimitri, da dove viene questa idea molto diffusa che i Romani non facevano altro che orge di cibo sdraiati sui triclini?
Dimitri: L’immagine dell’orgia è in parte tramandata da fonti antiche. La ritroviamo dentro opere come il Satyricon di Petronio e nelle biografie imperiali dove ci scene di pasti un po’ sovradimensionate. Spesso queste fonti mettono in evidenza dei dettagli che potremmo qualificare come aneddotici ma che sono stati esagerati e amplificati.
Penso che questa idea venga anche dal disprezzo che la morale cristiana aveva su quest’epoca. Nel corso del tempo ha contribuito a esagerare i vizi dell’Impero Romano. Alcuni pensatori cristiani hanno accusato queste usanze, giudicate troppo liberali se non dissolute, di essere all’origine del crollo dell’Impero. E la golosità ne faceva parte. Penso ad esempio Sant’Agostino o a San Girolamo, che hanno duramente condannato l’amore per la carne e per le bevande.
Questa immagine è stata anche in gran parte forgiata dalla cultura, che siano I Romani della decadenza di Thomas Couture, il Satyricon di Fellini, i film del tipo La caduta dell’Impero romano e Quo Vadis o fumetti come Astérix e gli Elvezi.
Che cosa mangiava esattamente un Romano?
L’alimentazione di un Romano è legata alla terra, alle tradizioni e alla frugalità. Frugalità che cozza contro tutto quello che normalmente immaginiamo, ma che ai loro occhi è un valore essenziale e soprattutto morale, sinonimo di padronanza di sé e senso della misura, una qualità molto importante per i Romani. Nel quotidiano i Romani consumano essenzialmente verdure che troviamo facilmente in Italia, come le rape o il cavolo, e cereali. Questi sono i pilastri della loro alimentazione, che è quindi vegetariana e semplice.
Più saliamo alle alte sfere, più abbiamo potenzialmente accesso a dei sapori vari.
Le ricette non sono mai troppo sofisticate e non includono la carne, se non molto raramente, soprattutto durante i sacrifici religiosi. La sola carne che troviamo sulla tavola è quella di maiale, spesso sotto forma di salumi e salsiccia. Quella di manzo è molto meno consumata. Quanto ai pesci di mare, sono molto cari, prodotti riservati all’élite. Gli altri si devono accontentare di quelli di acqua dolce.
Ovviamente l’alimentazione prende forma nel luogo in cui una persona vive. L’Impero si estendeva dall’Inghilterra alla Siria: non c’erano le stesse condizioni né le stesse risorse. A Ercolano ad esempio, in zona costiera, i frutti di mare e i crostacei erano molto più diffusi.
Tutti i Romani mangiavano le stesse cose?
C’è davvero una gerarchia degli alimenti che corrisponde alla gerarchia stessa della società romana. Potrei dire che esiste una vera e propria gerarchia del gusto. Più si sale alle alte sfere – una fascia evidentemente ristretta della popolazione – più si ha potenzialmente accesso a dei sapori vari. È allora possibile mescolare gusti opposti o aggiungere aromi che potevano costare molto caro, come il pepe. Al contrario, più scendiamo lungo la scala, più l’accesso agli alimenti è limitato e il gusto monotono.
Le parti degli animali utilizzate sono molto originali: si va dalle lingue di fenicottero ai cervelli di pavone fino alle creste di gallo.
Questa gerarchia la ritroviamo anche nell’etichetta Romana. Nei banchetti la parola più importante è “ospitalità”: è la regola sottintesa in tutti i rapporti tra il padrone di casa e i suoi invitati. Tra gli invitati ai banchetti non c’è necessariamente gente dello stesso rango e le persone più importanti stanno vicino al padrone di casa. A volte anche i piatti stessi variano in funzione del rango sociale.
A casa dei ricchi quali erano gli alimenti differenti?
Quello che può sorprendere è la combinazione a volte piuttosto assurda di gusti differenti. Non si esita a mettere insieme carne e pesce. Anche le parti degli animali utilizzate sono molto originali: si va dalle lingue di fenicottero ai cervelli di pavone fino alle creste di gallo. Parti che a noi sembrano insignificanti ma che per i Romani erano molto raffinate.
La fonte migliore per i pasti sono le opere satiriche. A casa di Giovenale o di Marziale troviamo dettagli che sono precisi e abbastanza precisi della realtà. Quando leggiamo le biografie imperiali vediamo che l’alimentazione faceva parte del ritratto morale dell’imperatore. Infatti quando si parla di un buon principe si mostra sempre la frugalità delle sue pratiche imperiali, mentre quando si parla di un tiranno, come Nerone o Caligola, si insiste sui suoi eccessi e le sue orge.
Qual è l’eredità di questa cucina Romana al giorno d’oggi?
Ritroviamo il Mediterraneo nella famosa trilogia: grano, olive e vino. È una base importante della cucina della regione anche se è stata influenzata dall’arrivo di nuovi prodotti come i pomodori – soprattutto in Italia.
Secondo me ci sono dei pilastri della gastronomia Romana che possiamo ritrovare ancora oggi: un’attenzione particolare alla cottura della carne e l’importanza del condimento. A Roma, ad esempio, possiamo far cuocere la carne due volte (bollita e poi arrostita). Quanto alla salsa, l’associazione dei gusti contrari come l’agrodolce fa pensare a quello che verrà praticato nel Medioevo o alla cucina asiatica, soprattutto per le salse di pesce.
Altro punto importante, il luogo d’origine dei prodotti. I Romani si concentrano molto sulla varietà degli alimenti. All’origine c’è una dimensione socioeconomica abbastanza importante: più un prodotto viene da lontano, più è prestigioso. E tuttora servire ai propri ospiti prodotti d’importazione fa più scena che servire prodotti ‘banali’, del quotidiano.
L’Empire Romain par le menu di Dimitri Tilloi-D’Ambrosi, pubblicato dalle edizioni Arkhê.
Questo articolo è apparso originariamente su Munchies FR.