Salute

Ho provato ogni metodo possibile per imparare ad alzarmi presto la mattina

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Non è che non mi voglio alzare, è che proprio non ci riesco. La mattina, anzi, è il momento in cui sono più produttiva, quando lavoro con più facilità. La mattina è il momento in cui posso sedermi felicemente in poltrona con una bella tazza di caffè sapendo di essere partita in vantaggio rispetto alla giornata e al resto del mondo. L’unico problema è che è raro che io provi questa sensazione, visto che la stragrande maggioranza delle mattine le passo a dormire.

Invidio chi salta fuori dal letto al primo cenno di sveglia. E sono disposta a metterci tutto il mio impegno per diventare come loro. Così inizia il mio esperimento: sarei riuscita a imparare a svegliarmi presto?

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Come faccio ad alzarmi appena suona la sveglia?

Il sito Mind Hack raccomanda di spostare la sveglia in un posto lontano dal letto. Ma mi limiterei ad alzarmi, spegnerla e ributtarmi a letto. “Lascia le tende aperte,” suggerisce un altro sito. Fa tenerezza che credano che non ci abbia provato. Lo stesso vale per: “Prendi un appuntamento la mattina presto.” I miei amici potrebbero scrivere un libro per tutte le volte in cui mi hanno chiamata a ripetizione dal bar per poi vedermi arrivare mezz’ora in ritardo, spettinata e con i denti non lavati.

I consigli seguono tutti lo stesso mantra: “Chi dorme non piglia pesci.” Così, ho calcolato quante ore di vita ho già perso. Un’ora di sveglie rimandate al giorno equivale a 365 ore all’anno—nove settimane che avrei potuto dedicare alla pesca sportiva.

Il guru della crescita personale Steve Pavlina sostiene che la forza di volontà da sola non basti a farci alzare dal letto; serve allenamento. Sono d’accordo: nessuno vuole alzarsi presto più di me, ma comunque non riesco a farlo. Secondo Pavlina, posso autocondizionarmi andando a letto di giorno come faccio di notte. Quindi mi lavo i denti, mi metto il pigiama, chiudo le tende e chiudo gli occhi. La sveglia suona 10 minuti dopo, e io seguo un processo che deve diventare automatico: appena suona, la spengo, mi stiracchio, mi siedo e poi mi alzo. Ripeto questo rituale diverse volte.

Allenarmi a fare una cosa che di solito si fa all’asilo sembra una cosa stupida, ma lo faccio lo stesso. La sera dopo imposto la sveglia per le 6:30 e succede il miracolo: mi alzo. Il secondo giorno, vado anche a correre.

Die Autorin beim Joggen
L’autrice durante una storica corsa mattutina.

Ma il terzo giorno mi sveglio nel silenzio. Chiedo al mio coinquilino che cosa è successo. Mi dice che ho rimandato la sveglia così tante volte che è entrato in camera mia e l’ha spenta. Il condizionamento ha funzionato, ma soltanto per due giorni.

Un’app per monitorare il sonno

Non sono l’unica ad arrancare sull’accidentato sentiero dell’automiglioramento e molte aziende cercano di guadagnarci. Le app per il sonno rilevano le fasi del sonno in modo da svegliarti durante una fase “leggera”, rendendo più facile alzarti.

Imposto una finestra di tempo durante la quale voglio essere svegliata. Sono scettica, e i grafici e i dati mi danno una strana sensazione di essere sotto osservazione. Non sono una complottista con il cappello di stagnola quando si parla di protezione dei dati, ma questo sembra un po’ troppo.

Eine App, die den Schlaf überwacht

La mattina dopo, mi sveglio con la musica delicata della app. Ma non mi alzo. La app mi mostra quante volte ho rimandato la sveglia: 13. 13 a zero, palla al centro.

Quante ore bisognerebbe dormire?

Il professor Ingo Fietze è un specialista del sonno all’ospedale Charité di Berlino. Quando lo chiamo e gli spiego il mio problema, mi chiede quanti anni ho. Rispondo: 26.

“Tra i 20 e i 30 anni, dovresti dormire tra le otto e le nove ore,” dice. “Più o meno di così, è patologico.” Dice proprio così: patologico. Io mi faccio spesso dieci ore di sonno, tranquillamente.

Il professor Fietze mi dice che sta tutto nei geni. E poi mi toglie ogni speranza: “Si può trasformare una civetta in un’allodola, cioè un nottambulo in un mattiniero. Ma non si può far dormire di meno chi dorme tanto, né viceversa.” Per me si mette male.

Mi consiglia di misurare il mio sonno a casa con uno strumento indossabile e di usare una lampada medica da 10.000 lux per svegliarmi. “Una forte luce bianca,” spiega, “funziona come una secchiata d’acqua, ma è più elegante.”

Devo indossare lo strumento di misurazione attorno alla vita, con un tubo nel naso che rileva il respiro. Sembro un incrocio tra un kamikaze e un paziente d’ospedale. Naturalmente, non dormo molto bene. Mi sveglio presto—ma solo perché il tubo mi esce dal naso. Non mi sento molto riposata.

I risultati non dicono assolutamente nulla. “Nessuna anormalità,” mi informa la signora gentile che mi spiega i risultati quando riporto lo strumento. Non è quello che volevo sentirmi dire.

Così appoggio la lampada medica sul comodino e attacco la spina. “A domani,” dico, accarezzandola. “Ti prego, svegliami.”

Kaffeezubereitung

La mattina dopo mi suona la sveglia. Nei giorni scorsi l’ho rimandata meno del solito e mi sono anche svegliata prima che suonasse alcune volte. Non ho idea del perché, ma forse il mio corpo si è reso conto di quanto si sta sforzando il mio cervello.

Comunque, non riesco ad accendere la lampada. Una luce fortissima appena sveglia dritta negli occhi? No grazie. È l’ennesimo fallimento.

Utopia: dormire quanto voglio

Una collega mi suggerisce di parlare con la sua amica Lisa Steinmetz, una ricercatrice del sonno che vive a Friburgo. Le chiedo se è brava ad alzarsi dal letto. “A dir la verità, dormo fino a tardi, ogni giorno,” dice. Se fosse editorialmente accettabile inserire qui l’emoji della testa che esplode, la metterei.

“Noi studiamo il sonno, quindi tutte le persone che lavorano con me sanno quanto sia importante,” spiega. “Quando mi sveglio la mattina e mi rendo conto di essere ancora stanca, torno a dormire.”

Non posso proprio dire al mio direttore che ho mancato la riunione del mattino perché avevo bisogno di dormire di più. Però potrei andare da un dottore e scoprire se il mio eccessivo bisogno di sonno non sia una malattia. Potrei analizzare le mie fasi del sonno e accecarmi con una luce fortissima.

Ma forse sto bene e ho semplicemente bisogno di dormire più degli altri. Come direbbe il professor Fietze, puoi trasformare una civetta in un’allodola ma non puoi far dormire meno una che dorme tanto. So che sono una perfezionista—forse la mia necessità di dormire di più è solo una barriera contro il mio desiderio di ottimizzare la mia vita. “Non se ne parla,” il mio corpo cerca di dirmi. Ho provato a svegliarmi prima, ma ho dovuto arrendermi al fatto che il sonno è più forte dell’automiglioramento.

A un livello pratico, so che se voglio alzarmi presto la mattina c’è sempre la possibilità di andare a letto prima. La sera dopo, faccio così—prendendomi le nove ore che a quanto pare non posso negarmi. Quando la sveglia suona, non salto fuori dal letto immediatamente, ma accade l’impossibile: sono sveglia. Sono le 6 e non sono costretta a farmi strada fra la nebbia che mi avviluppa il cervello ogni mattina. Sono qui.