È stata lunga, dura ed estenuante, ma dopo uno scrutinio molto lento (che ancora deve essere completato), c’è la certezza: Joe Biden sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, con Kamala Harris come sua vice. L’affermazione elettorale non è stata così schiacciante come si sperava alla vigilia—e come poteva apparire da alcuni sondaggi—ma è comunque netta e inequivocabile.
Dal canto suo Donald Trump ha detto di aver vinto e che non intende riconoscere la sconfitta, parlando anche di brogli inesistenti dei quali non ha fornito alcuna prova. La sua campagna è convinta che “le elezioni non siano ancora finite” e il portavoce Matt Morgan ha contestato l’assegnazione di alcuni stati a Biden, promettendo una battaglia legale dagli esiti quanto meno incerti.
Videos by VICE
La vittoria del candidato democratico mette dunque fine ad una delle amministrazioni più caotiche, bizzarre e divisive nella storia della Stati Uniti, arrivando dopo mesi segnati dalla disastrosa gestione della pandemia di coronavirus e dalle più grosse proteste degli ultimi decenni contro il razzismo e la brutalità della polizia.
Ci vorrà ancora del tempo per capire fino a fondo cos’è successo in questa storica tornata, ma fin da ora sono emersi dei punti fermi che vale la pena analizzare. Ecco i cinque più importanti.
Il pericolo è sempre stato Donald Trump
Il pericolo di una presidenza Trump non sono mai stati i “russi,” le “fake news” o i social network—spauracchi su cui una parte della sinistra e i democratici hanno perso fin troppo tempo e sprecato energie preziose.
Il pericolo è sempre stato solo lui: Donald Trump.
L’abbiamo visto tantissime volte in questi quattro lunghi anni: le costanti aperture agli estremisti di destra, anche quando uccidevano persone come a Charlottesville e altrove; gli attacchi furiosi alla stampa “ostile” (quella cioè che faceva il suo lavoro); la corruzione e il nepotismo sfrenato; il rifiuto di rispettare le regole basilari della separazione dei poteri; il negazionismo climatico; la ferocia contro i migranti e i loro figli; l’uso sistematico della menzogna e delle teorie del complotto; la delegittimazione del processo elettorale. E si potrebbe andare avanti ancora a lungo.
Se in un qualsiasi altro paese ci fosse stato un leader come Trump, tra l’altro, gli Stati Uniti avrebbero parlato di deriva antidemocratica degna di una repubblica delle banane.
Una volta per tutte: Trump non è il campione della classe operaia, né dei sobborghi fuori dalle grandi città
Per qualche strano motivo, in Italia continua a circolare la leggenda che Trump sia questa specie di campione della classe operaia tradita dalla “sinistra,” nonché un portavoce dei sobborghi “dimenticati dalle élite.” Non era vero quattro anni fa, non è vero nemmeno adesso.
Com’era evidente a partire dalle elezioni di metà mandato del 2018, i sobborghi delle grandi città avevano già ripudiato Trump—un trend confermato dall’andamento del voto negli stati in bilico, specialmente nell’elettorato femminile. Secondo un exit poll del New York Times, poi, il 54 percento di chi dichiara più di 100mila dollari all’anno è a favore di Trump; il 57 percento di chi dichiara meno di 50mila dollari all’anno è invece per Biden.
Stando a quanto ha detto l’attivista Maria Teresa Kumar di “Voto Latino,” le minoranze (ossia le fasce della società più colpite dalle politiche trumpiane e dalla pandemia) sono state decisive nelle aree cruciali. Per non parlare dell’incessante lavoro dal basso di attivisti, movimenti come Black Lives Matter e comunità varie durante la campagna elettorale e nel corso degli anni della presidenza Trump.
Biden ha preso più voti in assoluto nella storia USA
Joe Biden ha sconfitto un presidente uscente dopo il primo mandato (impresa riuscita solo a cinque candidati nell’ultimo secolo), è riuscito a mobilitare la base del partito e recuperare voti in zone decisive con una campagna molto equilibrata, e ha ricevuto oltre di 74 milioni di voti—il numero più alto mai raggiunto da un candidato nella storia degli Stati Uniti, anche più di Barack Obama nel 2008.
Naturalmente, ciò non vuol dire con Biden e Harris (che ha un passato da procuratrice piuttosto controverso) gli Stati Uniti diventeranno magicamente un paese “socialista” in cui saranno sanate tutte le ingiustizie. Eppure, come aveva detto l’attivista e scrittrice Angela Davis, bisogna guardare questo risultato in prospettiva: un’amministrazione Biden “può essere efficacemente pressata per far guadagnare più spazio ad un movimento anti-razzista in costante evoluzione,” nonché a molte altre istanze.
Il trumpismo potrebbe sopravvive a Trump
Ora che Trump è stato sconfitto, prendendosi comunque più di 70 milioni di voti, andrà tutto bene? L’incubo è finito per sempre? No.
Il “trumpismo” potrebbe tranquillamente sopravvivere a Trump. La sua presidenza ha portato il partito repubblicano su posizioni estreme, ed energizzato una corrente ideologica di destra radicale che negli Stati Uniti scorre in profondità nella società, mentre nel resto del mondo è tutt’altro che sconfitta.
Per farla semplice: il razzismo, il suprematismo bianco e la brutalità della polizia sono talmente incistati nel sistema che non finiranno certo con un presidente più convenzionale come Biden, che tra l’altro potrebbe non avere il pieno controllo del Congresso.
Comunque vada, c’è una forma di “giustizia poetica” in queste elezioni
Infine, come ha detto la giornalista della CNN Abby Phillip, c’è una sorta di “giustizia poetica” in queste elezioni: “La carriera politica di Trump è iniziata con una teoria del complotto razzista contro Barack Obama, e potrebbe finire con una donna nera alla Casa Bianca.”