Il problema dell’inquinamento della plastica può sembrare davvero lontano dalla vita di tutti i giorni — almeno finché non ci rendiamo conto che stiamo letteralmente salando il nostro cibo con la plastica. Un nuovo studio ha esaminato 39 marche di sale diverse provenienti da tutto il mondo e ha identificato tracce di microplastiche in 36 di queste, ovvero il 92%. Questo ci ricorda come la nostra dipendenza dalla plastica monouso sta danneggiando i nostri ecosistemi.
Tre dei campioni di sale esaminati provengono dall’Italia — due di tipo marino e uno di miniera — e sono risultati contaminati dalle microplastiche. Il numero di particelle registrato è compreso tra 4 e 30 unità per chilogrammo. Inoltre, in base al dato italiano peggiore, considerando l’assunzione media giornaliera di 10 grammi di sale, un adulto italiano potrebbe ingerire, solo attraverso il sale da cucina, fino a 110 pezzi di microplastiche all’anno.
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”Gli studi più recenti hanno trovato la plastica nel pesce, nella fauna selvatica, nell’acqua del rubinetto e ora nel sale,” ha spiegato in un comunicato stampa Mikyoung Kim, un sostenitore di Greenpeace East Asia, che ha collaborato allo studio. ”È chiaro che non c’è via di scampo da questa crisi della plastica, perché continua a riversarsi nelle nostre acque e nei nostri oceani.”
La quantità di plastica rilevata nel sale varia ampiamente a seconda della marca, secondo lo studio che è stato pubblicato questa settimana su Environmental Science & Technology. Tre marche non avevano tracce di plastica, altre un minimo di 28 pezzi di microplastica per chilogrammo di sale, mentre i casi peggiori avevano fino a 13.000 pezzi di microplastica in un chilogrammo di sale.
La concentrazione è risultata maggiore nel sale marino rispetto al sale di lago e di miniera. I livelli più alti sono stati riscontrati nei marchi asiatici. L’Indonesia ha registrato la più alta concentrazione di microplastica in assoluto. Sulla base di questi risultati, i ricercatori stimano che l’adulto medio consuma ogni anno 2.000 pezzi di microplastica semplicemente attraverso il sale da cucina.
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Quando la plastica viene introdotta nell’ambiente, inizia a scomporsi in pezzi sempre più piccoli. Quando quei frammenti diventano talmente piccoli da risultare appena visibili — con dimensioni inferiori ai 5 millimetri — vengono considerati microplastiche, e spesso vanno a finire nel cibo che mangiamo, nell’acqua che beviamo e nel sale che usiamo per condire i nostri piatti.
Al momento non conosciamo gli effetti del consumo di microplastica sul nostro corpo, ma è ragionevole supporre che probabilmente non ci convenga ingerirla. Con la maggiore diffusione della plastica monouso come quella usata per le bottigliette d’acqua e nei contenitori per comuni dei prodotti industriali abbiamo abbiamo creato milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno—il 91 per cento delle quali non viene riciclata. Se non vogliamo vedere la quantità di microplastica presente nella nostra dieta continuare a salire, la cosa migliore che possiamo fare è limitare la nostra dipendenza dalla plastica.
Questo articolo è apparso originariamente su Motherboard US.