Música

Ma perché stiamo ancora a sentire Red Ronnie?

Se in questi giorni avete frequentato il salotto di Internet, vi sarete resi conto che circola un video in cui Red Ronnie se la prende coi Talent Show, che, secondo le sue parole, “distruggono la musica”.
Ancora una volta, si prendono di mira format pensati per la televisione e non per la musica (distinzione necessaria, che non viene sottolineata a sufficienza), per risalire alle origini della crisi che l’Italia sta attraversando quanto a vendite discografiche e assenza di autori in grado di alzare l’asticella del mercato italiano. Ancora una volta, si dà ascolto alla crociata di Gabriele Ansaloni, 65 anni, nei confronti degli show televisivi che, a suo parere, “creano il karaoke ma distruggono la musica”.

Lasciando per un attimo da parte le considerazioni sull’utilità di identificare il male (della musica) con format televisivi di successo, mi ha stupito come in tanti, tantissimi, troppi, abbiano visto nelle parole di Red Ronnie ciò che “da tanti anni volevamo esprimere e non siamo mai riusciti a fare.” Del contributo di Red Ronnie alla musica ho un ricordo vago, che coincide più che altro con le sue trasmissioni sulla fu Videomusic/TMC, e finisce in bellezza nell’amaro souvenir che il rosso mi ha lasciato quando, servo della giunta Moratti, si era riproposto di condurre una campagna di video-restyling dell’ex sindaco di Milano (operazione che ha visto il climax nel periodo precedente alle elezioni—da cui Letizia uscì fortunatamente sconfitta).

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Ma chi sono io per parlare delle gesta di Red Ronnie, lasciamo la parola a Wikipedia:

Quale consulente per l’immagine video del sindaco di Milano, nel 2008 e 2009 realizza i reportage delle visite di Letizia Moratti in Africa e in Sudamerica. Nel 2009 è consulente di internet e nuove tecnologie per il Comune di Milano e apre su YouTube due canali con filmati-reportage e interviste per il sindaco di Milano e commissario Expo 2015 Letizia Moratti. Nel 2009 organizza e presenta al Teatro dal Verme di Milano il concerto “Alliance for Africa”. Il 30 maggio 2009 inizia a Guastalla la rassegna “Un Po di Musica”, per la Regione Emilia-Romagna, di cui Red Ronnie è direttore artistico e presentatore. In estate allestisce la mostra Riccione-Woodstock nella Villa Mussolini di Riccione.

Ora, per fare un discorso attuale sulla musica, sui mali della musica e, direi, sul male in generale, si è giustamente scelto di dare la parola, anzi, di affidarsi alle parole di uno la cui iniziativa più attuale negli ultimi anni è stata una mostra Riccione-Woodstock alla Villa Mussolini. Probabilmente Ansaloni è fuori dai giochi anche grazie ad alcuni di questi passi falsi e, anziché rimediare con iniziative che possano realmente risultare alternative alla dissoluzione culturale contro cui puntano il dito, rigira quel dito nella piaga intonando un canto funebre che si potrebbe riassumere nelle costanti litanie dei vecchi: “era meglio prima” / “te l’avevo detto” / “le cose non sono più come erano un tempo” / sputo su marciapiede / “ah quando c’era lui”.

Come ho scritto in precedenza, delegare a un programma televisivo pensato per la massa il compito di modellare il gusto della massa è come chiedere a McDonalds di tirare fuori un piatto raw-vegan-gourmet. Va proprio contro ogni presupposto socioeconomico con cui il prodotto è stato pensato. Se riusciste a immaginarvi un mondo in cui nei talent show vengono riproposti brani, band e cantautori di qualità “alta”, oltre alla noia la vostra immaginazione potrebbe mostrarvi già le miriadi di polemiche e accuse di “espropriazione culturale” dell’alto nei confronti della nicchia (un po’ come è successo l’anno scorso a X Factor, quando Fedez ha assegnato “Rape Me” dei Nirvana al suo duo di ragazzini nati che Kurt probabilmente già era freddo). Ma dato che ancora se ne parla, mi sta a cuore commentare il ragionamento di Red Ronnie punto per punto.

“Non è che uccidono, è che soffocano la musica e impediscono ai talenti veri di andare avanti, quindi fanno cambiare mestiere ai talenti veri.”

Quest’affermazione, dice RR, gli è stata confermata da Mogol della celebre boyband Mogol&Battisti, anche noto per il successone “SIAE, ovvero come fottere dalle tasche dei giovani musicisti per mettere nelle tasche dei vecchi”. In pratica Red Ronnie, per teorizzare queste teorie estetiche innovative sulla TV che uccide l’arte, sta completamente muto di fronte agli scempi operati dalla SIAE in anni e anni di multe e mal-distribuzione delle rendite. E anzi, oltre a silenziare quel lato, usa il paggetto della SIAE come testimonial. Qualcun altro qui si sente preso per il culo?

Ansaloni continua dicendo che un De Andrè non avrebbe spazio nella televisione di oggi, nella musica di oggi. E che lo vogliamo un altro De Andrè? Mi spiego: senza nulla togliere a lui, alla moglie, alla figlia e al Criber, la dinastia De Andrè, artisticamente parlando, si è tramandata eccome, il problema è che il cantautorato di stampo Faber è quello che, nel 2016, ha la data di scadenza più breve, quello a maggior rischio di contrarre pretenziosità e saccenza, che sono, per farla breve, alcuni dei mali più eminenti del cantautorato italiano. De Andrè poteva essere De Andrè, perché di lui ce n’è uno (scusa Criber), e se qualcuno mi dicesse papale papale che oggi è impossibile che nasca un nuovo De Andrè gli risponderei pure E MENO MALE, cazzo, meno male, perché non se ne può più dei cantautori che cercano di emularne le gesta uscendosene con testi e brani che non hanno nemmeno un centesimo dell’intensità culturale dei suoi.

“Tu prendi dei ragazzi, non li paghi, gli fai un contratto capestro”
Adesso vi spiego questa cosa del capitalismo che in pochi sanno: ad ogni livello della scala di successo ci sono degli strozzini. Se ti avvicini ai livelli in cui—oltre alla cultura e all’arte—circolano anche i soldi, più sono i soldi, più sei a rischio di incontrare gente che ti fa firmare contratti-inculata. È successo a tutti quelli che hanno iniziato a guadagnare cifre non irrisorie, si chiama sfruttamento, e non c’è molto da fare. In particolare, un artista che voglia trascendere dai metodi DIY/indie (nel senso di indipendenti) è circondato da una serie di inculate a forma di esseri umani che lavorano per agenzie, booking, discografiche, locali.

La prima cosa che dovrebbe fare un artista che decide di risalire la china percorrendo la “via facile” dei talent è procurarsi un avvocato a cui mostrare i contratti prima di firmarli, per rendersi conto della sorte cui va incontro. A meno che Red Ronnie non sia a conoscenza di stanze segrete nelle cantine dei talent in cui novelli Torquemada in giacca e cravatta torturano questi ragazzini fino a costringerli a firmare col sangue contratti in cui in cambio della voce donano parti del corpo o dell’anima. La realtà è molto meno Fratelli Grimm di così: la realtà è che se decidi di metterti nelle mani di un programma televisivo, paghi l’esposizione con un controllo quasi totale di ciò che sarai, indosserai e canterai, per un periodo che varia in proporzione al successo che ottieni all’interno del programma. Niente di lontanissimo dai consueti meccanismi di sfruttamento cui molti di noi sono sottoposti, indipendentemente dai talent.

Un altro tema su cui RR insiste nel corso dell’intervista è quello del cantautore travisato e trattato come interprete. Mentre mi sforzavo di figurarmi uno show per cantautori, la mia testa ha immaginato un format ibrido tra il MI AMI e il talent per scrittori Masterpiece—e vi assicuro che mi sforzo sempre di pensare positivo. Con tutto il cuore, voto X Factor. Non per cattiveria, Red, ma i cantautori sai benissimo che si dividono in due categorie, quelli che non ce la fanno e quelli che magari ce la fanno ma non hanno assolutamente intenzione di partecipare a un talent, e la loro diffidenza ad avvicinarsi ai riflettori è dovuta in parte all’esistenza di moralisti come te che dicono che quei meccanismi sono inutili, controproducenti e soffocano l’arte. E allora li vogliamo o no sti cantautori in televisione? Se ai talent partecipano solo interpreti, ci lamentiamo, se ci entra anche qualcuno che non è solo carne da macello, ci lamentiamo. Ottima strategia, Red. Oltretutto, degli artisti validi che ci sono in giro non si parla mai in televisione perché non c’è alcuno spazio per farlo, e non è che quello spazio andrebbe creato polverizzando i format televisivi che funzionano: andrebbe creato, guarda tu, uno spazio ALTERNATIVO a quei format. Se nessuno ancora l’ha fatto è perché la televisione è piena di anziani moralisti convinti che parlare di musica sia una cosa che comporta ulteriore moralismo, e tu con questi sermoni non aiuti certo a far cambiare idea ai dirigenti di rete.

Poi Red racconta l’aneddoto di quella volta in cui ha truccato un concorso per far vincere i Negramaro sugli Zeropositivo. Che tornando indietro nel tempo sai quanti danni in meno alla musica italiana avrebbero fatto gli Zeropositivo? Solo io lo penso?

Successivamente, Ansaloni fa riferimento all’industria musicale che sfrutta questi ragazzi, senza andare nello specifico e senza fare nomi ma, vi ricordo, dopo aver nominato nell’intervista Mogol, uno dei principali oligarchi SIAE, e la Caselli, il cui figlio della SIAE è presidente. Elogiare Red Ronnie per la sua coraggiosa filippica contro programmi televisivi senza rendersi conto che i problemi veri dell’industria musicale italiana sono stati sorvolati in maniera omertosa è la versione Internet del vecchio problema del dito e la Luna.

Se molti cantanti/cantautori/band/progetti musicali non hanno spazio di esistere è anche colpa di quelle discografiche e di quelle società per Autori ed Editori con cui Ronnie è stato colluso per decenni, è colpa dei blocchi legali e pseudo-statali con cui si impedisce ai locali di ospitare musica live senza che passino per un torchio di controlli e sanzioni, è colpa di chi impedisce la circolazione della musica nelle forme alternative a quelle istituzionali castrandola sin dai primi passi, quelli banali, elementari. Di quella burocrazia infinita contro cui tutti i comuni mortali, dai proprietari dei locali a chi ci suona dentro, devono armarsi. Questo, Red Ronnie lo sorvola con un’ingenuità che, da parte di chi per tanti anni è stato a contatto con l’industria musicale, risulta quasi colposa.

Certo, ci sono parecchie cose da cambiare all’interno del panorama musicale e artistico italiano. La prima sicuramente è la pigrizia, sia da parte degli ascoltatori che da parte di chi, ad ogni gradino della scala, gestisce i media. L’evidenza più grave che emerge è la totale mancanza di punti di riferimento. Alla musica italiana manca una rappresentazione degna, mancano luoghi, reali e virtuali, di aggregazione. Manca la capacità di discernere, ordinare e raccontare ciò che succede oggi artisticamente in Italia, manca qualcuno che superi finalmente il divario anziano tra “mainstream” (quella roba che i vecchi pensano sia solo merda) e “underground” (quella roba che i vecchi pensano ci fosse soltanto quando Red Ronnie ne parlava in televisione) raccontando i prodotti pop nei loro significati profondi e rendendo meno frammentari e anti-sesso i prodotti confezionati senza lo specifico scopo di far bagnare i discografici.

Che poi è un processo che su Internet è già in atto, ma si sa, Internet è ancora troppo volubile e incontrollato come mezzo, tanto che appena un Ronnie qualsiasi fa un discorso grillino di questo genere ci si anima manco fosse lo stesso Grillo a farlo. La stessa sensibilità dovrebbe arrivare in televisione, ma prima ancora in radio, un altro universo piegato alle logiche parassitarie dei grandi Autori&Editori italiani. A tale proposito Red, la prossima volta sarebbe bello che i tuoi sermoni non contenessero più soltanto acqua calda, ma qualche riflessione sensata che riguardi anche te stesso e i tuoi amici più cari.

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