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Tutte le copertine di Andrea Pazienza, rockstar del fumetto italiano

Questa è l’estate di Andrea Pazienza. Sono passati esattamente trent’anni dalla sua morte prematura e il fumettista di San Benedetto del Tronto è sulla bocca di tutti. A Roma si tiene una retrospettiva. In edicola escono in allegato a Repubblica quattro volumi di una nuova raccolta, “Ancora più Paz”, nella quale sono riuniti materiali sia storici sia inediti. Fioccano articoli su di lui, stella del momento. Pazienza è ancora un punto di riferimento per i fumettisti di oggi, ma riesce a stregare anche chi non si interessa di fumetto grazie alla personalità del suo tratto, alla sua inventiva che mescolava espressionismo, futurismo, maestri come Moebius e Jacovitti.

Pazienza fu uno dei padri della dirompente, innovativa e indigesta (ed incredibilmente popolare) rivista Frigidaire. Nonostante non partecipasse ad assemblee e forse pensasse più alle ragazze che alla politica, la sua capacità di sovvertire i canoni espressivi lo rese simbolo del Movimento del ’77. Individualista armato di qualsiasi cosa servisse per colorare e disegnare, riversava nel fumetto tutto quello che assorbiva dall’esterno, fosse la vita quotidiana degli studelinquenti di tamburiniana memoria o l’arte, il cinema, le cazzate. Ma anche le sue contraddizioni: era di ultrasinistra ma amava espressioni all’epoca considerate di destra, come il kendo e l’opera di Pound e Marinetti.

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Tutto quello che ispirava Pazienza entrava nel suo disegno, che era forte di un’innata capacità di passare dal classico all’avanguardia senza disdegnare la caricatura comica del presente (Pertini, Perché Pippo sembra uno sballato) e il dramma a fumetti autobiografico (Pentothal, Pompeo e Zanardi). Il fatto che potesse fare tutto e il contrario di tutto ha portato molti a definirlo l’unica rockstar del fumetto che l’Italia abbia mai generato.

In realtà forse le cose non stanno proprio così. Il suo rapporto con la musica e, appunto, col rock è un argomento poco esplorato, così come quello legato alle sue frequentazioni con l’eroina. Il nostro bazzicò spesso le sette note, ma il suo contributo più visibile restano “solo” le copertine che confezionò di suo pugno per alcuni blasonati nomi della musica italiana. In realtà la musica entrò nel mondo di Pazienza in un modo particolare, segnato da una certa debolezza di fondo – proprio come quella che lo portò a morire nell’eremo di Montepulciano.

1977: I GAZNEVADA E GLI SKIANTOS

Gli Skiantos in una foto d’epoca.

Negli anni Settanta, a Bologna, Pazienza stava al fumetto come i Gaznevada stavano alla musica. Entrambi passarono dall’estetica punk/new wave al grottesco, alle atmosfere oscure e contorte della no wave e soprattutto al pop. Entrambi furono pirotecnici, istintivi, inarrestabili e privi di peli sulla lingua ma nello stesso tempo rigorosi nelle strutture. Dipinsero così il periodo storico e le contraddizioni proprie della città in cui condividevano una casa occupata, la cosiddetta “Traumfabrik”, i Gaznevada al piano superiore a vivere la loro vita disordinata e Scozzari e Pazienza sotto a perfezionare quella che sarà l’era di Frigidaire.

Vivendo in simbiosi, non potevano non influenzarsi a vicenda. Stranamente però, a parte alcune citazioni nei suoi fumetti e poco altro, Pazienza non firmerà nessuna copertina dei loro dischi. È una bizzarria che prosegue anche nel rapporto di Pazienza con gli Skiantos: il loro cantante, Freak Antoni, era amico intimo di Pazienza e frequentatore assiduo di quella “comitiva di smandrappati” che era la “fabbrica del sogno”. Antoni lo definiva “un uomo con un eterno spirito da bambino”. I loro mondi artistici rimasero separati, dandosi comunque linfa vitale l’un l’altro. Ma perché questi binari non si incrociarono mai?

1978: PFM – PASSPARTÙ

La risposta ce la dà un altro amico intimo di Pazienza: Maurizio Marsico, in arte Monofonic Orchestra. Marsico era la parte musicale di Frigidaire, braccio destro di Tamburini, uno dei pochi a essere sopravvissuto a un periodo storico micidiale che portò suoi amici più cari a cadere sotto i colpi dell’eroina. Assieme a Pazienza, mi racconta Marsico al telefono, fece alcune delle cose più folli mai immaginate in quel di Montepulciano. I due tentarono improbabili e fallimentari cacce ai cinghiali armati di balestre, si cibarono di fegato d’Istrice tentando una specie di prova di forza medioevale. Assurdità che ricordano un po’ il personaggio di Paz, quando nel fumetto su Pertini ne combina di cotte e di crude.

“Dal punto di vista musicale Andrea era il più mainstream di tutti”, ricorda Maurizio di Pazienza. Mentre Tamburini o Massimo Mattioli erano sempre sul pezzo quando si trattava di underground, che fossero i Joy Division o la No Wave più fuori, Pazienza amava Celentano. In particolare adorava “Mondo in Mi 7”, che conosceva a memoria. Allo stesso tempo però “recitava perfettamente e sempre a memoria la Lectura Dantis di Carmelo Bene. E infatti non a caso legava con Freak. Anche lui non si teneva aggiornato dal punto di vista musicale e si preoccupava piuttosto dei testi, del discorso poetico. Allo stesso modo Pazienza era affascinato e rapito dalla musicalità dei testi, non tanto dalla musica in sé, che per lui era essenzialmente intrattenimento di qualità. Per questo seguiva molto i cantautori. Quando nel fumetto su Pertini viene inseguito dal mostro Guccino, in effetti era un po’ così. Il cantautorato lo inseguiva, volente o nolente”.

Dunque non è un caso che la prima prova grafica in assoluto commissionatagli per illustrare un disco si riferisca a un’opera tutto sommato “cantautoriale”. Metto le virgolette perché si parla del controverso Passpartù della PFM, grosso strappo nella produzione dello storico gruppo progressive rock italiano, avvicinamento a un cantautorato macchiato di folk acustico e Weather Report. I testi vennero affidati a Gianfranco Manfredi, giornalista cantautore, che però cercò con intelligenza di stare al passo con i tempi. All’epoca il punk in Italia era roba da pionieri demenziali e assurdisti, tra i quali appunto Gaznevada e Skiantos; Manfredi imbastì quindi un surreale concept su Re Artù ispirandosi a loro, risultando anche più pesante della musica che doveva accompagnare.

Pazienza scelse di ritrarre sulla copertina la band nell’atto di svaligiare un appartamento in una maniera figurativa tanto classica quanto ipermoderna nell’uso smodato e virtuoso dei pennarelli. Il retrocopertina esprimeva invece il suo gusto comico/antisistema, con la band che corre inseguita dai poliziotti che li sgamano. La parte più surreale e settantasettina stava all’interno del disco, con strane figure mitologiche ispirate dai testi e l’immancabile studelinquente in passamontagna a siglare l’immaginario implacabile di un’era. Per la PFM fu il primo disco di rottura con i suoi vecchi fan, una prova coraggiosa anche se riuscita solo in parte. Per Pazienza fu invece l’inizio di una serie di collaborazioni in cui avrebbe tentato di fare sua la poetica musicale dell’artista di turno invece che subirla.

1979-1984: LE COPERTINE PER ROBERTO VECCHIONI

“Mi diceva sempre ‘Andiamo insieme al Club Tenco, devi conoscere Vecchioni, è SIMPATICISSIMO!’ E io, ‘Andrea ma che dici… non me ne fotte un cazzo, dai!’ Invece insisteva. Per noi frequentare Vecchioni era impensabile, per lui invece era naturalissimo farlo”.
(Maurizio Marsico)

La relazione artistica tra Pazienza e Vecchioni, in effetti, rivela una certa intesa fra i due. Paz illustrò quattro album di Vecchioni, forse non a caso quelli in cui si convertì progressivamente alla new wave. Nelle storie di Roberto Pazienza vide se stesso e il proprio spirito, soprattutto in Robinson, la cui cover fu probabilmente ispirata dal testo dell’omonima canzone: sognante, fanciullesca, ma allo stesso tempo isolazionista e insofferente.

I due ebbero in comune anche la droga e la persecuzione. Nel 1977 Vecchioni fu infatti fermato e arrestato per aver passato una canna a un quattordicenne, accusa poi rivelatasi infondata. Robinson parlava proprio di questa disavventura e di tutto quello che ne conseguì. Sulla copertina Pazienza gettò il dramma di un uomo braccato col fucile in mano, ma lo piazzò in una situazione alla Peter Pan, su un’isola del tesoro sgargiante, con un mare talmente blu da colorare anche il protagonista ormai mimetizzato nella sua stessa fuga. È il manifestarsi di quell’eterno spirito da bambino di cui parla Freak Antoni.

In Montecristo, disco sfortunatissimo in quanto ritirato dal commercio per problemi contrattuali, si raddoppiò la dose. Pazienza raffigurò Vecchioni all’interno di un castello, la famosa prigione dell’omonimo conte di Dumas, mentre cerca di evadere completamente nudo in un’atmosfera dalle tinte acide. La sua figura è circondata da figure fantastiche che rappresentano l’incubo della legge e della repressione, ma anche le paure e le difficoltà che la libertà gli porterà.

Nel disco, illustratore e musicista si mescolarono l’uno con l’altro. Vecchioni si espresse in maniera più machista con un rock mezzo sintetizzato, ma mantenne sempre un sottofondo romantico. Andrea caricò moltissimo la mano, ma ottenendo un ritorno emotivo non indifferente; basti pensare all’illustrazione all’interno dell’album, nella quale le nuvole intorno al castello incombono maestose, quasi fossero i capelli di Dio. Nuvole la cui versione acustica è tra l’altro udibile nel rumore bianco dell’introduzione del disco.

A spazzare via qualsiasi critica arrivò la copertina di Hollywood Hollywood, che rappresentò la svolta wave di Vecchioni. La cover raffigurava un enorme pavone con indosso degli occhiali da sole che, come un colosso di Rodi, giganteggiava su una highway americana. L’immaginario hollywoodiano, reso in vena satirico-fumettistica, risultava ridimensionato.

Sul retro, caricature di Bogart, della Monroe e di ballerini di tip tap contribuivano a raffigurare un mondo luccicante che però nascondeva la sofferenza della Babilonia di Anger. Vecchioni diceva di Pazienza: “Andrea disattendeva ogni volta le mie indicazioni ma alla fine esprimeva esattamente ciò che intendevo. Disegnava le copertine dei miei album come solo lui sapeva fare. Era un riferimento essenziale della rassegna Tenco, come Crepax e Moebius”.

E in effetti ne Il Grande Sogno, cofanetto autobiografico che mischia inediti e pezzi ripescati di Vecchioni, Paz si trova proprio in compagnia di Moebius, Pratt e Manara. L’album è una specie di best of che sembra un concept album, ma anche il capolinea creativo di Vecchioni.

Pazienza venne cristallizzato nel mondo di Vecchioni come l’uomo della copertina de Il Grande Sogno, addormentato (o forse fatto, a giudicare come cade il collo) su di un’isola post-nucleare su cui si intravedono televisori vuoti, un cellulare ante litteram, palme, albi a fumetti, animali allucinati – come la gigantesca pantera che fa da contraltare a una ragazza di colore completamente nuda. La conclusione del capitolo vecchioni fu marcata quindi da una fuga dalla realtà, dalla voglia di lasciarsi dietro illustrazioni troppo potenti perché possano librarsi in aria come il gabbiano sul retro di Robinson.

1983: CLAUDIO LOLLI – ANTIPATICI ANTIPODI

“Veniva spesso qui a casa a disegnare. Andrea era meraviglioso. Una sera è arrivato e ha iniziato a dire: ‘Un dente. Molto acuminato. Una sfrangiatura di capelli’. Io: ‘Stai bene Andrea?’. ‘Dietro. Dei palazzi. Bruciati. Un sorriso infido’. Mezz’ora così: stava raccontando la copertina di Antipatici antipodi, poi l’ha tirata fuori. Andrea era meraviglioso”.
Claudio Lolli, intervistato dal Venerdì di Repubblica

Paz firmò la copertina del disco più “avant” di Claudio Lolli, un vero e proprio esperimento di cantautorato sintetico. La copertina era una visione: un nazista dai guanti bianchi allucinato e schizzato tiene in scacco omini gialli che indossano cuffie obnubilanti. I colori facevano squagliare gli occhi, a evocare i rischi futuri del pop della Milano da bere. Fu forse la sua copertina più estrema, molto vicina all’estetica dei Gaznevada. Se da una parte eccedette visivamente la svolta musicale di Lolli, comunque moderato nella sperimentazione, Pazienza mantenne una coerenza con la delirante copertina di Disoccupate le strade dai sogni, con quei grattacieli taglienti e il pagliaccio impazzito falce alla mano.

Il disco conteneva un brano inquietante, “L’uomo a fumetti”, praticamente una dedica a Pazienza nel cui testo se ne prevedeva la morte. Lolli assorbì inconsciamente lo spirito poetico e autodistruttivo di Pazienza e ne fece musica, in un caso più unico che raro di telepatia. Sul retro copertina, come un contrappunto, c’erano dei mini-ritratti caricaturali di Lolli che rimandavano alle canzoni del disco, ovviamente nel modo più pupazzoso e pop possibile di Pazienza.

1986: AMEDEO MINGHI – CUORI DI PACE

Sebbene potrebbe sembrare un’accoppiata curiosa, Pazienza non venne scelto da Minghi a caso. Cuori di pace era ispirato a un immaginario fantascientifico alla Blade Runner, che all’epoca andava per la maggiore. Minghi affidò i testi al poeta e paroliere Gaio Chiocchio, una delle menti dei leggendari Pierrot Lunaire, che scelse titoli abbastanza espliciti come “Le verdi cattedrali della memoria” o “Telecomunicazioni sentimentali”, citando astronavi da guerra e altre situazioni poco rassicuranti. Certo, il tutto era filtrato dal pop a presa rapida tipico di Minghi, ma in fondo si trattava di synth pop complesso e di qualità.

Una poetica come quella di Chiocchio aveva bisogno di un contraltare, e Pazienza era la persona giusta. La fantascienza lo accompagnò lungo l’intero corso della sua carriera, e specialmente nelle prime versioni del robot coatto Ranxerox, poi affidato da Tamburini a Tanino Liberatore. Pazienza si vide quasi offrire di nuovo il personaggio, ma la cosa non andò mai in porto. Quell’ibrido tra uomo e macchina, tra pre- e post- nucleare tornò però proprio nella copertina di Cuori di pace, in una moto d’epoca munita di un paio d’ali. Era una creatura mutante portatrice di pace in mezzo a pozze d’acqua piovana radioattiva, una speranza di futuro che poteva andare più lontano perché andava più lentamente.

1986: ENZO AVITABILE – SOS BROTHERS

Enzo Avitabile è forse l’unico musicista italiano ad aver fatto proprio il linguaggio del funk sintetico digitale post-James Brown. Prima di approdare alla world music era infatti l’unico in Italia a tenere testa ai vari Rick James, Jesse Johnson e Prince. Le sue collaborazioni storiche con gli Afrika Bambaataa, verso i quali fu indirizzato proprio dal godfather of soul, parlano chiaro: logico che la copertina dovesse evocare un discorso street, sebbene non esattamente “Street Happiness” come recitava il loro omonimo brano. Sulla copertina di SOS Brothers la strada è una trappola da cui salvarsi. Avitabile è braccato da strane creature urbane, da poliziotti mutanti a guisa di lucertoloni, da topi con la rabbia e pterodattili minacciosi. Sullo sfondo, grattacieli fumano in malsane nuvole fucsia.

La situazione è simile a quella raffigurata sulla copertina di Montecristo di Vecchioni, ma in versione riveduta per gli anni Ottanta. Sul retro compaiono però buffe creature Crumbiane che circondano Avitabile. I riferimenti sono Fritz the Cat, i corvi blues di Dumbo, le caricature di Corky McCoy per i dischi di Miles Davis. Sulla busta interna era stampata una storia a fumetti in bianco e nero con protagonista lo stesso Avitabile, creata a partire dai titoli dei pezzi. Paz, come un Keith Haring italiano, venne quindi proiettato al culmine della sua fama nella hip-hop generation che avrebbe influenzato tutta la musica a venire. SOS Brothers fu però anche il suo capolinea, essendo ufficialmente la sua ultima copertina disegnata su quest’amara terra.

1991: DAVID RIONDINO – NON SVEGLIATE L’AMORE

David Riondino è uno dei cantautori più sottovalutati della storia della musica italiana. Autore dell’epocale “Maracaibo”, Riondino viene purtroppo ricordato più per le sue uscite satiriche e provocatorie in programmi televisivi come lo storico Araba Fenice piuttosto che per la sua musica. Emulo fino troppo attento di De André e del cantautorato intellettuale, Riondino riuscì però anche a creare musica abbastanza allucinante. La copertina di Pazienza fu dunque perfetta nel ritrarre quello che era in fondo Riondino, un personaggio alla Bella e la Bestia. Dove inizia la donna stilosa e dove finisce l’iguana?

Riondino era collaboratore e amico di Andrea. Ricorda Luca Raffaelli su XL: “Chi c’è stato non può dimenticarlo. Alla fine degli anni Ottanta, alle feste di Tango, Andrea accompagnava alla lavagna luminosa David che intonava la ‘Canzone del silenzio degli animali’. Lì disegnava, veloce come stesse facendo dal vivo un cartone animato, il grido intermittente del babbuino, oppure lo stramazzare al suolo del dromedario, o ancora il gorgogliare del sarcopedonte”. L’ultima copertina di Paz fu quindi l’omaggio commosso di Riondino al suo geniale amico e compagno di avventure, che sapeva disegnare anche il silenzio.

Uno dei tanti personaggi riusciti di Paz fu il mitico Francesco Stella, in fondo uno dei suoi tanti alter ego. La sua storia era quella di un rocker di un’idolo delle masse che gode di una fama che lo precede. Probabilmente in cuor suo Pazienza avrebbe voluto essere davvero una rockstar, ma era forse di più. Il suo linguaggio fumettistico produceva il “terzo suono” evocato da Carmelo Bene, tanto che non possiamo inserirlo in nessuna categoria se non quella dei fuoriclasse. Ed ecco perché artisti pop in vena di sperimentare si affidavano alle sue sapienti mani per dare valore visivo alle loro innovazioni.

Dice Marsico di lui: “Era un Mozart del fumetto, partiva da una cosa che ti faceva dire ‘Ma che cazzo è ‘sta roba?’ e poi usciva fuori un fumetto formidabile, in due minuti e mezzo. In questo era musicale”. Ed è verissimo: ancora oggi le sue tavole sono musica per i nostri occhi. Una musica così bella che forse nessun orecchio potrebbe mai comporre.

Un enorme grazie al Maestro Marsico per le sue preziose testimonianze di vita.

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