“La cucina è insensibile al razzismo più o meno quanto lo è al sessismo.”
Basta questa sola frase per capire quanto Appunti di un giovane chef nero (250 pagine, NR edizioni; traduzione di Gabriele Rosso) sia un libro a dir poco atipico in un panorama letterario, quello su gastronomia e ristorazione, saturo di volumi auto-celebrativi e biografie agiografiche. Scritto dallo chef Kwame Onwuachi, insieme al co-autore Joshua David Stein, è un unicum non solo perché affronta tematiche scomode, su cui mass media e mondo editoriale soprassiedono spesso e volentieri, ma perché essenzialmente segue il percorso di una carriera fino ad arrivare… a un fallimento.
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Le migliaia di chef neri e dalla pelle scura —definiti come cuochi, domestici, personale di servizio, garzoni e bambinaie, costretti a rimanere fuori dalle cucine dei ristoranti o ignorati una volta al loro interno— non sono mai stati presi in considerazione. Il loro lavoro era invisibile.”
Il volume inizia e si conclude parlando dello Shaw Bijou, il ristorante che Onwuachi ha aperto a Washington a novembre 2016 e che è stato costretto a chiudere a gennaio 2017. L’autore non risparmia al lettore nulla: l’umiliazione, la vergogna, le speranze disilluse e le ambizioni frustrate. Appunti di un giovane chef nero è arrivato in Italia solo adesso ma negli Stati Uniti è stato pubblicato nel 2019, quando Onwuachi aveva 29 anni.
Se vi sembra ambizioso scrivere un memoir a soli 29 anni è perché non conoscete il resto della (sua) storia. Nato e cresciuto nel Bronx, ha vissuto due anni in Nigeria con suo nonno, per poi tornare a New York, farsi espellere da diverse scuole per il suo comportamento, venire cacciato dall’università per spaccio e uso di droghe e solo a quel punto entrare nel mondo della cucina. A renderlo un nome noto è stata la partecipazione a Top Chef nel 2015.
La parte autobiografica di Onwuachi è indubbiamente appassionante —sempre che l’aggettivo sia appropriato per definire una storia personale— ma non è la più interessante. Ad avermi arpionato alle pagine sono le riflessioni che lo chef fa su concetti come l’appropriazione culturale, l’identità di una “cucina nera negli Stati Uniti”, il razzismo quotidiano che si subisce lavorando nelle cucine di alto livello.
A un certo punto scrive degli “uomini bianchi con alti cappelli. E come hanno fatto a entrare nel club? Saldando il loro debito verso uomini bianchi più vecchi e con cappelli ancora più alti. Le migliaia di chef neri e dalla pelle scura —definiti come cuochi, domestici, personale di servizio, garzoni e bambinaie, costretti a rimanere fuori dalle cucine dei ristoranti o ignorati una volta al loro interno— non sono mai stati presi in considerazione. Il loro lavoro era invisibile.”
I capitoli in cui l’autore racconta, senza aver paura di fare nomi e cognomi, di tirocini infernali in ristoranti come Eleven Madison Park e Per Se, hanno fatto paragonare il libro a Kitchen Confidential di Anthony Bourdain. La brutalità della quotidianità nelle cucine è indubbiamente simile, ma trovo che la schiettezza, che a tratti sfocia senza remore nell’arroganza, di Appunti di un giovane chef nero sia del tutto particolare.
Certo, ci sono le urla, gli insulti, le scazzottate, la stanchezza estrema, gli orari assurdi. Ma c’è una forma ben più subdola di maltrattamento per un giovane chef nero nelle brigate di cucina: l’essere ignorato, il vedere la propria esperienza invalidata. A un certo punto Onwuachi, all’Eleven Madison Park, suggerisce allo chef de cuisine di cambiare il nome con cui chiamano un attrezzo che si usa in sala, una grattugia cilindrica, perché razzista. La risposta dello chef è “Tanto i neri non vengono a mangiare qui.”
Nonostante sapessi cos’era successo dopo l’ultima pagina, mi era rimasta comunque la voglia di parlare con l’Onwuachi di oggi, ma le nostre richieste di interviste non sono andate a buon fine.
Una cosa, però, posso dirla anche senza averlo sentito: anche se non vi interessa molto il mondo di ristoranti stellati e chef, se nel 2022 c’è un libro di cucina che è utile leggere, per capire un po’ di cose su passato, presente e futuro, è proprio questo.
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