“Per chi come me ha superato i 35 anni è praticamente impossibile accedere ai bandi pubblici”
Non è un segreto il fatto che aprire un nuovo ristorante o locale in Italia sia impegnativo da molti punti di vista: c’è il fattore economico, ovviamente; c’è poi quello degli stipendi precedenti che spesso, se si è giovani, non bastano per avviare un’attività; poi c’è l’immancabile e insormontabile burocrazia italiana e, per finire, tutte le spese di gestione di un locale—che, se non lo sapete, impiega almeno due anni per tornare in pari con i conti di un investimento.
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Intendiamoci: non è che negli ultimi anni si siano aperti meno ristoranti e locali, eh. Il rapporto della FIPE del 2019 parla di 332.861 tra bar e ristoranti aperti, mentre nel 2021 siamo a quota 336.244. Ad oggi, invece, secondo un aggiornamento Istat, le imprese che fanno ristorazione sono scese a 326.315. Dato comunque positivo, considerando la pandemia.
Ora, aldilà della pandemia e del rincaro dei prezzi evidente (fare articoli e servizi sulle bollette da migliaia di euro è il trend del momento), alcuni problemi di fondo per aprire—e una volta aperto—il proprio locale ci sono e chi si appresta a questo grande passo, forse non li conosce fino in fondo.
Così ho contattato tre nuove realtà ristorative e ho chiesto loro, col senno di poi, cosa gli sarebbe piaciuto sapere prima di buttarsi e aprire i loro ristoranti.
A parte Luna che veniva da un’esperienza di gastronomia e da cuoca, io e Tine in realtà facevamo un lavoro d’ufficio. Non immaginavamo fosse così fisicamente faticoso.
Le ragazze di Fòla a Milano venivano tutte e tre e dal mondo della ristorazione. Ma tutte e tre, o quasi, lavoravano per delle grandi aziende nei loro uffici. Una di loro, Luna Ferrari, ha prima lavorato in ufficio e poi ha deciso che la sua vera vocazione era la cucina. Una sera si sono incontrate e, tra un bicchiere e un altro, hanno capito di voler cambiare vita. Così hanno aperto Fòla nel settembre 2021, in piena ripresa dalla pandemia. Un locale tra bakery, pasticceria e gastronomia che strizza l’occhio al vegetale.
“Sicuramente,” mi dice Claudia Gerini, una delle tre socie, “mi sarebbe piaciuto fare prima una preparazione fisica. A parte Luna che veniva da un’esperienza di gastronomia e da cuoca, io e Tine in realtà facevamo un lavoro d’ufficio. Non immaginavamo fosse così fisicamente faticoso.”
Il focus principale è quello della sostenibilità, degli ingredienti al personale. “I costi della materia non sono stati una sorpresa,” mi dice Luna Ferrari. “Sapevamo cosa avremmo fatto, cosa ci sarebbe servito e i costi. Certo, non potevamo prevedere che il prezzo del pomodoro negli ultimi mesi quadruplicasse. E c’è stato, nonostante la nostra politica di scarto zero, appena abbiamo aperto. È normale: dovevamo prendere ancora le misure. Ma per il resto se devo dire cosa avrei voluto sapere prima sarebbe sicuramente quanto spazio di stoccaggio ci sarebbe servito.”
Un’altra cosa da sapere prima è il non sottovalutare la quantità di personale che serve: “I primi mesi,” mi dice Tine Devriese, “abbiamo fatto tutto da sole tranne qualche aiuto di amici. Poi abbiamo provato a prendere delle persone in stage da scuole professionali e finalmente abbiamo trovato una persona che ci aiuta fissa, fondamentale. Ah, e abbiamo capito che non è normale farsi le pulizie del locale da sole dopo aver passato la giornata a impastare, cucinare e servire.”
Quello che avrei voluto sapere è che lo Stato e le istituzioni non avrebbero fatto nulla per aiutarmi
Un mio amico, che è passato da cucine importanti, ha deciso l’anno scorso di andare via da Roma per tornare nei suoi Castelli Romani per aprire un locale, DLR a Frascati (La sigla sta per DopoLavoroRicreativo), un’osteria dal sapore vecchia scuola, ma con abbinamenti di ingredienti un po’ più fighetti e, ovviamente, vini naturali. E la sua intransigenza lo ha portato a usare esclusivamente ingredienti di piccoli e piccolissimi produttori.
“Sinceramente,” mi dice Jacopo Ricci, “quello che avrei voluto sapere è che lo Stato e le istituzioni non avrebbero fatto nulla per aiutarmi.”
Se vi ricordate erano stati stanziati diversi milioni per i ristoranti, che potevano fare richiesta e ottenere un bonus per coprire gran parte delle spese di nuovi macchinari, per esempio. Ma si rivolgevano ad attività già aperte da tempo; oltre a questo ci sono dei bandi che, teoricamente, dovrebbero incentivare nuove imprese. Solo che a volte non è così.
“Io non pensavo quando ho deciso di aprire DLR, ma a quanto pare è praticamente impossibile accedere a bandi pubblici per chi, come me, ha superato i 35 anni,” mi dice ancora Jacopo Ricci. “Ci sono anche altre agevolazioni territoriali a cui non ho accesso e che mi fanno ancora più incazzare. Tipo il fatto che hai dei rimborsi se ti rifornisci di prodotti DOP e IGP della Regione Lazio: io che però compro il meglio del meglio aiutando piccoli produttori non mi merito niente, a quanto pare.”
E, a quanto pare, cosa che sinceramente credevo esistere, non ci sono neanche degli incentivi sugli investimenti di energia rinnovabili o macchinari più ecologici. “Ovviamente noi stiamo attentissimi all’aspetto ecologico—il nostro sapone te lo potresti bere—eppure non ho trovato niente a riguardo per aiutarci. E non possiamo nemmeno mettere i pannelli solari perché la soprintendenza ai beni culturali dice che deturpano un luogo storico.”
Non avevo idea di quanto fosse difficile riuscire a trovare qualcuno che ti lascia affittare le proprie mura. Nonostante tu gli dica che hai decine di anni di esperienza nel campo, i proprietari non si fidano
C’è anche un altro ristorante che ha aperto da poco a Milano e si concentra sul trend delle fermentazioni: Spore. Mariasole Cuomo, chef e proprietaria, mi ha raccontato cosa avrebbero voluto sapere lei e il suo socio Giacomo Venturoli prima di aprire, nonostante una carriera nella ristorazione più che navigata. “Diciamo che il grosso sapevamo come affrontarlo dati i molti anni di esperienza in cucina,” mi dice Cuomo. “Però non avevo idea di quanto fosse difficile riuscire a trovare qualcuno che ti lascia affittare le proprie mura. Nonostante tu gli dica che hai decine di anni di esperienza nel campo, i proprietari non si fidano e spesso ti richiedono delle fideiussioni bancarie enormi che, o hai un investitore oppure, come noi—purtroppo—devi chiedere aiuto alla tua famiglia.”
Nonostante avessero previsto quasi tutto a livello logistico, tempistiche dilatate all’italiana comprese, un consiglio che danno a tutti coloro che vogliono aprire il loro locale è di affidarsi a persone esperte del settore. “Devi sempre sapere quando stai aprendo,” mi dice ancora Cuomo, “che non stai costruendo la cucina di casa. Hai diverse priorità e devi farci diverse cose; le misure sono importanti, ma lo sono anche i materiali. Un esempio: la porta della cucina deve essere del giusto materiale, altrimenti fai come noi che l’abbiamo dovuta sostituire perché si era impregnata di acqua e umidità. Quindi quello che avremmo voluto sapere è quanto sia importante avere un architetto che sa bene cosa voglia dire non solo costruire una sala, ma costruire una cucina e soprattutto una ditta di costruzione fidata fatta di esperti seri che ti fanno un ottimo lavoro fin da subito.”
Io non so se dopo queste dichiarazioni avete voglia anche voi di aprirvi il vostro locale oppure abbiamo infranto i vostri sogni da Ratatouille.
Però vi avevo avvertito: è come badare a un bambino.
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