La lunga storia del caso Apu e gli stereotipi razzisti nei Simpson

È da tempo ormai che si discute della raffigurazione di Apu Nahasepeemapetilon, il gestore indiano del Jet Market dei Simpson. Nel corso delle 29 stagioni della sitcom, Apu è stato costantemente caratterizzato dall’accento molto marcato, dai modi quasi servili nei confronti di clienti cafoni, dalla merce scaduta e sempre invenduta, dai clienti che raggira e dalle divinità multi-braccia di cui si circonda. Incarnando, nella pratica, tutti gli stereotipi razzisti affibbiati dagli americani a persone provenienti dal sud-est asiatico.

A tal proposito, nel novembre del 2017 il comico americano di origini indiane Hari Kondabolu ha pubblicato The Problem with Apu, un documentario in cui, spinto da una questione personale (il nomignolo “Apu” appiccicatogli addosso nell’infanzia), racconta come il personaggio sia riuscito a resistere in quella sua rappresentazione macchiettistica per quasi trent’anni, impermeabile alle critiche nonostante molti degli altri personaggi nati con caratterizzazioni negative abbiano nel frattempo subito cambiamenti anche profondi (Barney non beve più e Edna e Ned hanno finalmente scopato, per esempio).

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Tra le altre cose, Kondabolu si chiede se il personaggio di Apu sia stato studiato così fin dagli inizi, o se a modellarlo come lo conosciamo oggi abbia contribuito Hank Azaria, che storicamente dà la voce al personaggio nella versione in inglese. Secondo l’autore, il fatto che quella voce appartenga poi a una persona bianca, non farebbe che ingigantire il paradosso: “Quando scopri chi è la persona dietro la voce, capisci che l’obiettivo non è ridere con te, ma di te. Le battute sono unidirezionali. Sono tutte pensate per una persona bianca che guarda a un’altra cultura,” aveva dichiarato Kondabolu in un’intervista a VICE poco dopo l’uscita del documentario.

The Problem with Apu ha giustamente sollevato diverse polemiche e aperto un dibattito: poco dopo lo stesso Hank Azaria, interpellato da un giornalista di TMZ, ha commentato la vicenda spiegando che il documentario tocca alcuni punti che hanno dato da riflettere agli sceneggiatori dei Simpson, e che “ci stiamo pensando sul serio”—alludendo al fatto che il problema esiste, e non ha lasciato indifferenti gli autori.

O probabilmente no: ad aprile scorso, durante la puntata No Good Read Goes Unpunished, è poi andata in onda una risposta piuttosto diretta al caso Apu. Nella scena in questione, Marge legge a Lisa un libro che adorava quando era più piccola, ma nel farlo si rende conto degli stereotipi di cui abbonda. A quel punto, per correre ai ripari, modifica il titolo del libro, originariamente [traduzione mia] “La principessa nel giardino”, in “Una ragazza cisgender di nome Clara”, la cui protagonista—Clara appunto—combatte per “salvare i cavalli e la net neutrality.” Lisa non sembra apprezzare, e si lamenta del fatto che la storia, costruita su un personaggio fin troppo “perfetto”, sia priva del benché minimo potere trasformativo.

“Be’, cosa dovrei fare?” chiede allora Marge.

Lisa allora si rivolge direttamente agli spettatori e commenta: “È difficile da dire. Cose che un tempo venivano applaudite, e considerate inoffensive, ora sono politicamente scorrette. Cosa possiamo fare?” Pochi secondi dopo viene inquadrato il comodino di Lisa, su cui troneggia una foto di Apu con scritto “Don’t have a cow” [“non ti scaldare”]. A quel punto Marge commenta: “Di queste cose ci occuperemo più in là.” “Se mai ce ne occuperemo,” aggiunge Lisa.

Com’è facilmente intuibile, le reazioni alla scena non sono state molto positive. Basta fare un giro su Twitter e cercare l’hashtag #apu per scoprire che, se molti appassionati si sono concentrati sul fatto che Lisa non avrebbe mai detto una cosa del genere, la maggior parte degli utenti ha denunciato il modo superficiale con cui gli sceneggiatori hanno trattato la questione.

Lo stesso Hari Kondabolu, in un tweet, ha definito la puntata un “duro colpo al progresso” degli Stati Uniti. E molti altri hanno ricordato che nei Simpson non è solo Apu a vivere attraverso stereotipi razzisti, ma che anche Willie lo scozzese scorbutico, Tony l’italiano mafioso e Cookie Kwan l’agente immobiliare asiatica competitiva rappresentano declinazioni dello stesso problema.

Alla fine, comunque, il polverone ha costretto il creatore della serie animata Matt Groening, che finora non si era mai espresso pubblicamente sul tema, a rispondere a un’intervista di USA Today lo scorso weekend, e a commentare la faccenda.

Quando gli è stato chiesto se avesse qualcosa da dire a riguardo, Groening ha detto “Non proprio,” sottolineando il fatto che gli sceneggiatori dei Simpson sono orgogliosi di quello che mandano in onda, e che forse il punto è che viviamo in un periodo in cui “alle persone piace fare finta di essere offese.” Insomma, si è di fatto scrollato di dosso qualsiasi responsabilità—e ha anche detto che è un po’ colpa nostra.

Kondabolu ha commentato dicendo che Groening si è relazionato alla storia come “un troll qualunque che non ha visto il documentario,” diversamente—tra l’altro—da come ha poi approcciato la cosa lo stesso Hank Azaria di recente, quando al Late Show del 25 aprile ha spiegato che è importante “prestare ascolto agli indiani e alla loro esperienza in merito,” per poi aggiungere di essere disposto a farsi da parte per lasciare il doppiaggio a un attore di origine indiana.

Comunque, a giudicare da quello che si è visto finora, per Groening il capitolo potrebbe dirsi chiuso: il creatore dei Simpson non sembra propenso ad affrontare di nuovo il tema, ed è abbastanza probabile che il personaggio di Apu non cambierà di una virgola. A meno che il produttore cinematografico Adi Shankar non riesca nel suo progetto di “crowdsourcing a cure for The Simpsons”, e a far affidare le parti di sceneggiatura che riguardano Apu a qualcun altro.

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