Música

Mollare le chitarre ha fatto bene agli Arctic Monkeys

Nel 1957 Nikita Khrushchev manda una cagnolina, Laika, a morire con una vista incredibile sul pianeta su cui era nata. Nel 1958 Dwight D. Eisenhower, deciso a impedire a quegli sporchi sovietici di mandare un uomo sulla Luna prima degli statunitensi, supervisiona la fondazione NASA. L’umanità comincia a considerare lo spazio non solo una figata, ma una figata raggiungibile. Le stelle non sono più lucine da contemplare ma luoghi fiammeggianti di vita, i pianeti smettono di essere sfericciole colorate e diventano bitorzolute e gelide rocce che fluttuano nel nulla. Bitorzolute, gelide e affascinanti.

Nel 1957 Juan García Esquivel, pianista messicano con un passato da bambino prodigio, viene spedito dalla RCA Records a Hollywood a registrare un album per il mercato americano. Gli danno cinque ore, lui ce ne mette tre e mezza. Il risultato si intitola Other Worlds, Other Sounds e ha in copertina una dama roja in posa sulla superficie verdognola di un pianeta lontano. La musica è composta da fiati tradizionali messicani, percussioni esotiche, chitarrine pop, vocalizzi usati come colore, pianoforti jazz. L’improvvisazione è poca, se non quasi assente: Esquivel è un compositore meticoloso e decide ogni singola componente della sua musica, compreso l’immaginario che vuole evocare. E a Juan lo spazio piace un sacco.

Videos by VICE

La copertina di Other Worlds, Other Sounds di Esquivel.

Nel 2018 Vladimir Putin vince le elezioni in Russia con un folgorante 77% delle preferenze dopo aver fatto arrestare uno dei suoi principali oppositori e aver tentato di avvelenare una spia e sua figlia su suolo inglese. Donald Trump è nel pieno della sua presidenza guadagnata a forza di sensazionalismi, proto-razzismi e belle soffiate sul fuoco di insensata paura che arde sotto al sedere di buona parte degli Stati Uniti. Lo spazio è sempre una figata ed è più raggiungibile che mai, ma invece che nelle mani di agenzie statali è diventato il parco giochi di un imprenditore estremamente ricco convinto che l’universo sia una simulazione e sta con una popstar visionaria.

Sempre nel 2018 Mark Zuckerberg, CEO e fondatore di Facebook, affronta i più grandi problemi di immagina dalla fondazione del suo social network. Un’indagine sembra poter dimostrare che la sua piattaforma è stata usata per diffondere falsità e promuovere violenza, un’altra fa presente all’intera utenza di Facebook che i suoi dati sono stati probabilmente usati per gli scopi di cui sopra. E ancora in questo fantastico 2018 Alex Turner, principale forza creativa dietro agli Arctic Monkeys, si siede al pianoforte bianco che splende nella lounge di un immaginario hotel con casinò sulla luna, dice addio alle chitarre e si mette a cantare di ciò che vede, e non più di ciò che ha dentro. Lo spazio gli piace un sacco, ma non gli da pace. Anzi, è il teatro in cui recitano le sue più grandi preoccupazioni.

“Buon pomeriggio, è il Tranquility Base Hotel & Casino / Sono Mark, mi dica, con chi posso metterla in contatto?”, canta Alex sulla titletrack. Quel Mark. “Ti ricordi come e quando è andato tutto a puttane?”, aggiunge. “I progressi tecnologici mi danno proprio sui nervi / Tirami a te in una fresca vigilia, baby / E baciami sotto il sottotetta della Luna”. Ha sempre cantato quasi solo d’amore e sentimenti, Alex, fin da quando era un pischello zazzeruto umido di pioggia che vagava di club in club nelle notti di Sheffield. E lo ha fatto con una chitarra in mano. Le stradine dello Yorkshire sono diventate i boulevard di Los Angeles, c’è stata un po’ di psichedelia e un po’ di cantautorato, ma almeno era una sicurezza. Ma adesso basta.

L’Alex Turner del 2018 ha cominciato a suonare il pianoforte, non ne può più di cantare solo di sentimenti ed è decisamente preoccupato per il modo in cui stiamo gestendo la Terra. Quindi, assieme ai suoi compagni di band, ha fatto un album sospeso nello spazio più buio, ambientato in un freddo futuro prossimo, pieno di meraviglia e nostalgia come quelli che aleggiano nell’occhio dell’astronauta che osserva il pianeta dal finestrino della sua navicella. La band che lo suona prende il la da quella di Esquivel, padre dello space age pop e predecessore di quella creatura tanto suadente quanto trascurabile che chiamiamo lounge music.

Fotografia di Zackery Michael.

Ascoltare Tranquility Base Hotel & Casino è spiazzante per un fan innamoratosi degli Arctic Monkeys per i loro riffoni, il loro indie rock. Ascoltalo distrattamente e non ti resterà in testa quasi nulla, ma è solo naturale dato che le sue radici affondano in un genere nato per svolgere una funzione di sottofondo. I momenti in cui succede qualcosa di memorabile, a livello strumentale, sono brevissimi: la fulminea alternanza tra superdistorsione e pianoforte da honky-tonk bar in Batphone, la pausa che puntella il ritornello di Star Treatment, l’arpeggio di sintetizzatore alla Goblin che apre Golden Trunks, i coretti nel finale di Four Out of Five. Per il resto, per la prima volta nella loro carriera, gli Arctic Monkeys non suonano canzoni ma creano atmosfere.

I riflettori sono quindi tutti su Turner, sulla sua voce e sui suoi testi. Farci attenzione e capirli è quindi fondamentale per farsi un’idea di quest’album e, dato che siamo in un paese non propriamente sgamato con l’inglese, la cosa non è così scontata. Turner, come dicevamo, ha rimosso le relazioni dal podio delle sue tematiche preferite e ci ha messo il mondo in cui vive, visto da un futuro prossimo piuttosto bruttarello. Tanto per metterlo in chiaro, in “Golden Trunks”, quanto di più simile c’è sull’album a una canzone d’amore, un’intera strofa è dedicata a immaginare Donald Trump come un lottatore di wrestling in tutina che si avventa verso il ring.

“Sono un nome famoso nello spazio profondo, chiedilo ai tuoi amici”, dice il narratore in “Star Treatment”, prima di collegare Netflix a un mondo simile a quello raccontato da Orwell in 1984. Si presenta come uno strambone, un viandante, capace sia di romanticate in punta di fioretto (“C’è voluta tutta l’eternità perché la luce arrivasse ai tuoi occhi”) che di boutade assurdiste (“Ballo in mutande / Mi candiderò a presidente / Formerò una cover band e tutto il resto). Parla di fake news come “verità fluida”, di “un montaggio di antiche rovine con un coro che canta, in sottofondo, non sapete cosa state facendo“.

L’artwork di Tranquility Base Hotel & Casino. Sai che questo coso in copertina l’ha fatto Alex Turner a mano con cartone, colla e tanta pazienza? Ora lo sai.

La follia testuale di Turner raggiunge il suo apice in “Four Out of Five”: immagina di aprire una taqueria sulla luna e di chiamarla “Information-Action Ratio”, cioè un concetto preso da un libro di Neil Postman del 1985 in cui si parla di distopie letterarie che va a definire la perdita di importanza dell’informazione. Felice, si esalta in un coro per le splendide recensioni che riceve.

Il punto focale di Tranquility Base Hotel & Casino è però “Science Fiction”, che dice:

Voglio dire qualcosa di semplice sulla pace e sull’amore
Ma in un modo sexy, che non sia ovvio,
Che evidenzi dei pericoli e mandi messaggi nascosti
Proprio come fa un certo tipo di fantascienza.

In queste parole sta il genio dei nuovi Arctic Monkeys, già abbastanza coraggiosi da togliere il tappeto sotto ai piedi dei loro ascoltatori più nostalgici che sperano ancora di sentirli comporre una nuova “Brianstorm”. Sentire Alex Turner che parla di Facebook, realtà virtuale, Trump e fake news è stranissimo, ma sapere che anche lui si sente in soggezione a tirare in mezzo la quasi-realtà nella sua poetica immaginifica da vecchio seduttore è una gioia.

Parlare del mondo nei propri testi è fottutamente complesso. Ci sono un sacco di cose da dire, sulla complessità del tessuto socio-culturale che abbiamo messo assieme, e nelle canzoni c’è pochissimo spazio per esprimerle. Quindi, tendenzialmente, chi parla di politica e società in forma rock se ne esce o con grandi slogan da concertone o con banali concept su tecnologia e controllo. Tranquility Base Hotel & Casino propone una via diversa per parlare dei problemi del mondo in forma-canzone, cosciente della propria buffonaggine (“Good morning! Cheeseburger! Snowboarding!”, canta Alex in “She Looks Like Fun”) ma spinta da un bruciante desiderio di prenderla davvero, quella strada non battuta. Anche se alla fine c’è solo il senso di abbandono alcolico di “The Ultracheese”, ballata di alienazione in cui tutto si conclude.

Le ultime parole sono amare: “Oh, l’alba non smetterà di pesare una tonnellata / E ho fatto un sacco di cose che non avrei dovuto fare / Ma non ho mai smesso di amarti, nemmeno una volta”. Quell’hotel e casinò nello spazio non è un’accogliente rifugio dal dolore del pianeta, è solo un tentativo fallito di lasciarsi dietro ogni dolore terreno. Ma anche un tentativo riuscito per gli Arctic Monkeys, che hanno scelto ancora una volta di non accontentarsi, di non diventare caricature di loro stessi e di non dare per scontata la propria fama.

Ascolta Tranquility Base Hotel & Casino su Spotify:

Elia è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram e Facebook.

Leggi anche: