Quando lo scorso ottobre Ovidio Guzmán López—figlio del più famoso boss del traffico di droga internazionale, El Chapo, in carcere dal 2016—è stato sorpreso da una pattuglia durante un controllo di routine, la polizia messicana ha subito pensato di aver fatto un colpaccio.
In realtà, l’arresto di López è stato la scintilla per una delle più audaci dimostrazioni di forza da parte dei narcos. I sicari del cartello di Sinaloa hanno infatti scatenato il caos sulle strade di Culiacán, battendo le forze dell’ordine in una feroce battaglia che ha causato otto morti e venti feriti. L’operazione ha paralizzato la città: cecchini che sparavano proiettili calibro 50, e veicoli in fiamme crivellati di pallottole. Le autorità, umiliate, sono state costrette a rilasciare il prigioniero.
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Un’azione del genere è possibile anche grazie all’inesauribile mercato nero delle armi che entrano illegalmente dagli Stati Uniti. Ma quella delle armi americane che scorrono verso sud per alimentare le guerre tra i cartelli, che l’anno scorso hanno totalizzato 33mila omicidi, è soltanto una tessera del puzzle.
Analizzando le armi usate in quell’occasione a Culiacán, l’istituto di ricerca Armament Research Services ha identificato AK prodotti in Romania, una mitragliatrice leggera FN Herstal MINIMI belga, pistole italiane della Beretta e Glock austriache. Gli armatori europei, insomma, raccolgono i frutti insanguinati di una catastrofica guerra alla droga—armando senza alcuna distinzione soldati messicani, polizia e criminalità organizzata.
La Segreteria della Difesa Nazionale (SEDENA) del Messico stima che quasi un terzo dei due milioni di armi da fuoco importate illegalmente nel paese nell’ultimo decennio provengano dall’Europa. Alcune iniziano il loro viaggio con una licenza di esportazione dall’UE agli USA dove, con l’aiuto di prestanome che comprano le armi legalmente e le cedono ai trafficanti, ingrossano il fiume da 200mila armi all’anno che oltrepassa il confine tra Stati Uniti e Messico.
Ecco come funziona. Nel corso di otto mesi, comprando in vari negozi e banchi dei pegni di Tucson (Arizona), Michael Huynh e la sua fidanzata Katie O’Brien hanno accumulato un materiale sufficiente ad armare un piccolo esercito.
Il bottino comprendeva 16 fucili tipo AK e due calibro 50, nonché una mitragliatrice pesante, per un costo di oltre 30mila dollari. I due hanno poi dato il tutto allo spacciatore di Huynh in cambio di soldi e droga, e lo spacciatore a sua volta ha rivenduto le armi a una gang messicana.
Nell’arsenale c’erano tre fucili d’assalto WASR 10 costruiti dalla fabbrica di armi statale della Romania, Romarm. Si tratta di fucili che—con i loro tipici copricanna e cassa in legno di acero—figurano tra i preferiti dei cartelli da tempo, e vengono regolarmente importati negli Stati Uniti da Century Arms, uno dei maggiori e più controversi distributori di armi. Century ha ripetutamente ignorato le richieste di commento da parte di VICE.
L’iniziativa di Huynh e O’Brien è costata loro cinque anni di carcere: il traffico di armi negli Stati Uniti non è un reato federale; mentre l’acquisto per conto terzi lo è, ma tende a essere punito con sentenze più leggere. Per quanto non ci sia modo di sapere dove sia finito il frutto di quel traffico, la battaglia di Culiacán dimostra inequivocabilmente il ruolo delle armi europee nella guerra della droga del Messico.
Secondo l’Ong inglese Campaign Against Arms Trade (CAAT), soltanto nel 2018 gli stati membri dell’UE hanno esportato legalmente 105 milioni di euro di armi verso il Messico. Nel Regno Unito è stata autorizzata l’esportazione di armi per 4,6 milioni di sterline, incluse licenze per piccole armi da fuoco per 2,8 milioni. L’Italia, come riporta la relazione parlamentare del 2018 sugli armamenti, ha esportato in Messico armi per oltre 13 milioni di euro. Anche se le esportazioni con licenza sono del tutto legali, la mancanza di controlli sugli utilizzatori finali rende impossibile stabilire quante di queste finiscano ai cartelli.
“L’Unione Europea può anche fare la voce grossa sulle vendite di armi, ma i suoi stati membri hanno regolarmente messo i profitti degli armatori prima dei diritti umani,” ha detto Andrew Smith di CAAT. “Bisognerebbe introdurre dei controlli dopo la consegna. Se si prova che un’istituzione perde traccia delle armi che acquista, dovrebbe esserle impedito di acquistarne di nuove.”
I dati del Comtrade [il database dell’ONU che raccoglie tutti i dati sul commercio globale] evidenziano che l’Italia esporta più pistole degli Stati Uniti in Messico—addirittura il triplo nel 2018. E i dati SEDENA raccolti da John Lindsay-Poland di Stop U.S. Arms to Mexico mostrano che di 116.560 armi da fuoco sequestrate tra il 2010 e il 2018, cinque marche europee compaiono tra i 20 produttori più identificabili. La più diffusa tra queste è proprio Beretta.
Indifferentemente dalla strada che percorrono per arrivare in Messico—che, ironicamente, ha una delle legislazioni più restrittive del mondo in fatto di armi—possiamo stare certi che queste aziende europee traggono profitto dal massacro.
L’attivista Carlo Tombola di Opal Brescia ha collaborato con Lindsay-Poland per rivelare la portata degli accordi tra Italia e Messico, e spiegato che il clima sociale in Val Trompia—dove ha sede il quartier generale della Beretta—è condizionato da una “arrogante dimostrazione di potere e ricchezza.”
“La famiglia ha interessi nelle banche e si nasconde dietro una facciata di benevolenza, finanziando eventi artistici e per la lotta ai tumori,” ha detto. “Allo stesso tempo, le esportazioni di armi dall’Italia e la mancanza di controlli sugli utilizzatori finali gettano benzina sul fuoco della violenza in Messico.”
VICE ha cercato senza successo di contattare Beretta per discutere di questi argomenti, e lo stesso è successo con altri armatori—il responsabile della comunicazione di Beretta ha promesso di rispondere alle nostre domande ma poi non ci ha più ricontattati. Abbiamo telefonato a Century Arms diverse volte, lasciando messaggi indirizzati al capo del marketing e scrivendo due email. Abbiamo anche scritto alla ditta via Facebook. A Romarm abbiamo inviato mail a due indirizzi diversi consigliati dallo staff, ma nessuno ha risposto.
In Belgio, il telefono del quartier generale di FN Herstal squillava a vuoto. Lo staff della sede inglese sosteneva di non avere un ufficio stampa né alcuna informazione su come contattare il dipartimento comunicazione della casa madre. Ci hanno detto di chiamare il Belgio, dove non rispondeva nessuno. Abbiamo rintracciato il capo del marketing su LinkedIn. Ci ha detto di chiamare l’ufficio inglese.
Per finire: l’ufficio stampa di Glock è stato contattato due volte, ma si è rifiutato di parlare. L’addetto stampa della sede statunitense di Sig Sauer ha ignorato sia la nostra email, che il nostro sollecito su Twitter.
Né il Trattato sul commercio delle armi—l’accordo internazionale ripudiato l’anno scorso dal presidente Trump—né l’inefficace Posizione Comune redatta dall’UE sembrano avere alcun impatto sulla volontà dell’Europa di trarre profitto dalla guerra. E questo nonostante le richieste di valutare l’opportunità di esportazione in base alla probabilità di violazioni dei diritti umani, ai contributi all’instabilità degli stati e alla possibilità che finiscano nelle mani sbagliate.
“Non parliamo solo del rischio che un container pieno di armi venga rubato, ma soprattutto della permeabilità delle forze di sicurezza,” dice lo specialista in intelligence dell’ARES N.R. Jenzen-Jones. “Abbiamo visto armi europee sottratte alle forze dell’ordine messicane. Questo perché hanno una struttura molto intricata su più livelli, in cui è possibile farsi sfuggire armi di piccolo calibro. Se tu esporti in un paese dove ti aspetti che una certa percentuale di armi venga persa, o venduta dai servizi armati, ovviamente è un problema.”
Nel 2018 SEDENA ha ammesso che quasi 5000 armi sono andate perse o sono state rubate alla polizia messicana nei cinque anni precedenti. Bram Vranken, un attivista anti-armi dell’associazione belga Vredesactie, ha messo sotto accusa la FN Herstal, di proprietà del governo regionale della Vallonia in Belgio. Il gruppo Herstal ha fornito alle forze speciali messicane e alla guardia presidenziale i suoi mitra FN P90, ed esportato la sua famosa pistola FN Five-Seven—soprannominata “ammazza-sbirri” per la capacità di sparare proiettili perforanti. Il gruppo di attivisti EU Arms ha detto che entrambe sono state trovate in arsenali confiscati ai cartelli.
Qualcosa però sembra che stia per cambiare, e in positivo.
Dopo il massacro di Culiacán il ministro degli esteri messicano Marcelo Ebrard ha annunciato una nuova iniziativa in collaborazione con gli USA, chiamata Operation Frozen, “per bloccare il traffico di armi che sta uccidendo il popolo messicano.” Una fonte del governo messicano ha detto a VICE che “in futuro un accordo simile sarà stipulato con l’Unione Europea.”
Ufficiali messicani e delegati europei, insieme all’Europol, stanno vagliando metodi per scambiarsi informazioni sul traffico di armi. I negoziati non hanno ancora portato dei risultati, ma John Lindsay-Poland crede che i problemi del Messico stiano iniziando a scuotere le coscienze delle autorità nazionali europee e dell’opinione pubblica.
L’anno scorso, in una causa intentata dal pacifista Jürgen Grässlin, Heckler & Koch (H&K) ha dovuto pagare una multa di 3,7 milioni di euro per aver violato la legge tedesca sul controllo delle armi da guerra. 4600 fucili da assalto G36, infatti, erano stati esportati illegalmente in Chiapas, Chihuahua, Jalisco e Guerrero—ossia in stati fortemente colpiti dalla guerra tra cartelli.
Gli attivisti per i diritti umani hanno scoperto che almeno 59 di quei fucili H&K sono arrivati alla polizia di Iguala, e sono stati usati da poliziotti corrotti—armati anche di Beretta—coinvolti nel rapimento di 43 studenti effettuato nel 2014 per conto del cartello Guerreros Unidos nel 2014. I loro corpi, che si teme siano stati bruciati in una discarica, non sono mai stati ritrovati.
H&K si trova in un momento di difficoltà finanziaria e ricorrerà in appello contro la sentenza. Il processo si svolgerà presso la Corte Suprema tedesca.
“Il senso di colpa tedesco c’entra sicuramente,” ha detto Lindsay-Poland. “Il passato genocida della Germania ha lasciato una lezione molto profonda, e questo fa sì che ci sia una particolare sensibilità di cittadini e media sul tema. L’azione dal basso costringe le aziende ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni.”
Il dottor Carlos A. Pérez Ricart, un ricercatore dell’Università di Oxford esperto di traffici di armi e di Messico, ha aggiunto che “è importante concedere più spazio alle vittime. La campagna di sensibilizzazione sulle vittime di mine antiuomo è stata essenziale per ottenere la loro messa al bando in quasi tutto il mondo, ma le testimonianze di vittime di armi più piccole e leggere hanno ricevuto pochissima attenzione.”
Anche Jenzen-Jones sostiene di percepire un cambiamento. “L’implementazione di controlli post-consegna è sempre più comune tra le nazioni esportatrici di armi in Europa,” ha detto. “Alcuni programmi di verifica di questo tipo sono già stati impiegati con successo in Iraq e Siria, in particolare per quanto riguarda la fornitura di armi alle forze curde impegnate nella lotta contro Isis.”
Senza dubbio, gli armatori d’Europa troveranno il modo per continuare a fare affari, senza dover rispondere all’opinione pubblica. Alcuni partono infatti da una posizione avvantaggiata, e grazie alle loro filiali negli Stati Uniti possono sfruttare le leggi molto lasche sulle esportazioni.
La fabbrica Glock di Cobb County, in Georgia, si occupa più che altro di assemblare pistole dai componenti importati dalla casa madre in Austria, che fornisce anche tutti i materiali, gli strumenti e i macchinari. Nel 2016, invece, La Beretta ha trasferito la sua sede americana dal Maryland a una nuova fabbrica in Tennessee. La SEDENA ha confiscato oltre 3000 Glock e Beretta illegali tra il 2010 e il 2018.
Vale la pena sottolineare che mentre la Germania ha vietato l’esportazione di armi in Messico dopo lo scandalo della H&K, la Sig Sauer—ditta di proprietà della holding tedesca Lüke & Ortmeier (L&O) ma con base negli USA—ha una licenza da 256 milioni di dollari per vendere pistole e mitragliatrici alla Marina messicana fino al 2024.
A tale proposito, i Marine corrotti e armati di Sig Sauer sono considerati i responsabili di un alto numero di sparizioni a Nuevo Laredo, roccaforte del cartello dei Los Zetas. Nel 2008 un sicario degli Zetas, armato di una pistola Sig Sauer, ha rapito negli Stati Uniti l’attivista per i diritti umani Marisela Escobedo—poi giustiziata dai criminali in Messico. La stessa pistola è stata collegata ad altri 11 omicidi, anche se la sua provenienza è incerta.
Nel frattempo, tra il 2007 e il 2017, le due marche più vendute dalla SEDENA—l’unico distributore autorizzato di armi in Messico e quindi anche l’ente responsabile della vendita alla polizia e all’esercito—sono state Glock e Beretta. Queste due marche europee da sole hanno fornito oltre 188mila armi da fuoco—quasi il doppio di tutte le marche americane messe insieme.
“Ai produttori di armi non importa dove finiscono le loro armi o come vengono usate, l’importante è che vengano compilati i moduli,” ha detto Lindsay-Poland. “Le storie di persone che ogni giorno perdono famigliari, o restano mutilate o traumatizzate per sempre dalle armi da fuoco, non vengono mai vengono calcolate dall’industria bellica. Ed è proprio per questo che tocca alla società civile farsi sentire.”
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