Oggi jihadisti, domani innocenti: cosa sta succedendo nell’antiterrorismo italiano

Quando gli agenti si presentano al centro di accoglienza di Bari per arrestarlo, Hakim Nasiri cade dalle nuvole. Il reato che gli viene notificato è tra i più pesanti: associazione finalizzata al terrorismo internazionale di matrice islamica.

Il 23enne di origine afghana viene accusato, insieme a tre connazionali e un pachistano, di aver formato una cellula estremista legata allo Stato Islamico nel capoluogo pugliese.

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Documenti di propaganda, immagini di armi, e video “particolarmente inquietanti” che ritraggono luoghi pubblici e importanti monumenti, tra cui il Colosseo. Gli inquirenti non hanno dubbi: il materiale ritrovato nei cellulari degli indagati svela la volontà del gruppo di compiere attentati in Italia e in Inghilterra.

Nel giro di poche ore lo scatto di Nasiri con un mitragliatore tra le mani (a detta sua, si tratterebbe invece di un’arma giocattolo) campeggia su quotidiani e notiziari.

Tre giorni più tardi, però, la situazione viene completamente ribaltata. Da pericoloso ‘terrorista’, Nasiri diventa vittima di un abbaglio. La temibile cellula jihadista di Bari, in realtà, non esisterebbe.

Nel decreto che rimette in libertà Nasiri e fa cadere qualsiasi ipotesi di terrorismo, il gip di Bari, Francesco Agnino, smonta pezzo dopo pezzo la versione dei magistrati. Gli indizi di colpevolezza riguardo al reato di terrorismo internazionale vengono giudicati “insussistenti”.

“L’attività di indagini ha evidenziato al più l’appartenenza del Nasiri al mondo dell’integralismo islamico,” scrive il gip. “Mentre non è provata la sua aspirazione e disponibilità… a dare concreto contributo al terrorismo di matrice islamica.”

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Arrivato in Italia nel 2011 dopo un lungo viaggio attraverso Iran, Turchia e Grecia, Hakim Nasiri aveva fatto domanda per il riconoscimento del suo status da rifugiato. Pochi giorni prima dell’arresto gli era stata garantita una protezione sussidiaria, un permesso speciale della durata di cinque anni.

“In tutta questa vicenda, ho un’unica certezza,” dice a VICE News Adriano Pallesca, legale di Nasiri. “Nasiri non è un terrorista nè una persona vicina a ideologie integralista. Si tratta di una persona molto semplice, con degli evidenti limiti culturali. Molte cose sono state fatte per pura ingenuità.”

Dopo la scarcerazione Nasiri è tornato al CARA di Bari dove risiede in attesa di ricevere il permesso di soggiorno permanente.

Il 23enne afghano è solo l’ultimo dei tanti presunti ‘jihadisti’ che negli ultimi mesi sono finiti nella rete dell’antiterrorismo italiana.

All’indomani dell’attacco brutale contro la redazione paragina di Charlie Hebdo di gennaio 2015, il governo italiano ha dichiarato tolleranza zero nei confronti di chiunque sia sospetto di simpatizzare per l’islamismo radicale. Un giro di vite inasprito ulteriormente dopo i più recenti attentati di Parigi e Bruxelles.

In occasione della conferenza di fine anno dello scorso dicembre il Ministro dell’Interno Angelino Alfano ha reso noto che nel 2015 ci sono stati 259 arresti legati all’integralismo islamico.

Nei primi mesi del 2016 le attività dell’anti terrorismo non si sono fermate. A fine aprile sono scattate le manette per sei presunti estremisti operativi in Lombardia, per citare solo uno degli ultimi episodi. Indagini che vengono puntualmente salutate con toni celebratori da giornali e leader politici.

Peccato che, in diversi casi come quello di Bari, in breve tempo tutte le accuse cadono e i presunti jihadisti risultano essere innocenti.

Secondo i dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria pubblicati da Repubblica, il 20 per cento degli arrestati per terrorismo l’anno scorso sono già stati scarcerati.

Merano, Genova, Palermo: le indagini antiterrorismo finite nel nulla

Lo scorso novembre aveva fatto scalpore la scelta di scarcerare sette presunti terroristi fermati pochi giorni prima a Merano in quella che era stata definita l’inchiesta “più importante degli ultimi vent’anni.” Allora come oggi, nel giro di pochi giorni si è passati da parlare di una “centrale operativa della jihad” in Alto Adige all’assenza di “indizi gravi”.

“Un contatto informatico non significa automaticamente aver partecipato a un’associazione terroristica,” aveva commentato il procuratore di Trento Giuseppe Amato. “Non processiamo manifestazioni verbali o ideologie… ma il concreto pericolo di commissione di atti di terrorismo.”

Il copione si ripete nuovamente all’inizio dell’anno, questa volta a Genova. Il 5 gennaio tre libici vengono arrestati con l’accusa di essere fiancheggiatori dello Stato Islamico, per cui avrebbero procurato e riciclato denaro. Un mese più tardi, però, l’accusa di terrorismo viene meno e i tre sospetti vengono scarcerati dato che gli accertamenti “non hanno portato elementi a riscontro del quadro indiziario iniziale.”

Sbagliano le procure ad arrestare persone innocenti con prove scarse o c’è un problema nei tribunali chiamati a tenerli dietro le sbarre?

“Non devono stupire le scarcerazioni. Nell’ambito del terrorismo la possibilità che a un elemento possano essere date interpretazioni diverse tra inquirenti e magistrati è molto forte,” spiega a VICE News l’avvocato Alfio Valsecchi, esperto di legislazione penale in materia di terrorismo.

“Il fenomeno ha assunto caratteristiche molto particolari che hanno reso complicato il lavoro di chi fa le indagini e di chi poi deve valutare se il materiale raccolto sia sufficiente a provare le accuse.”

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Una difficoltà data sia dalla natura del terrorismo di matrice islamica sia dalla continua estensione dell’applicazione delle norme antiterrorismo.

In Italia la legge chiave nella lotta al terrorismo è l’articolo 270bis del codice penale, il quale punisce “chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo.”

Da quando è stata introdotta nel 1980, la portata della norma è stata ampliata enormemente, a detta dell’avvocato Valsecchi, per tenere il passo con i cambiamenti del fenomeno terroristico.

“Si è visto che spesso in Italia i gruppi terroristici non operano con lo scopo di realizzare attentati ma come strutture di supporto per cellule operative in altri paesi,” sostiene Valsecchi. “I fatti che vengono puniti essenzialmente sono il reclutamento di potenziali terroristi, la propaganda e la formazione di documenti falsi.”

“Per poter applicare il 270bis in questi casi è stato necessario creare una giurisprudenza che cerca indizi in fatti e comportamenti che non sono tipicamente terroristici, ma sono strumentali alla realizzazione di questo reato.”

La nuova arma preferita dell’antiterrorismo sono le espulsioni

La conseguenza dell’allargamento delle maglie della legge, però, è che a volte nel mirino dell’antiterrorismo finiscono persone che, stando alle valutazioni dei giudici, con la jihad c’entrano poco o niente.

Di questo sembra essersene accorto anche il ministero dell’interno, che ora sta sempre più seguendo una via alternativa per colpire chi sospetta di attività terroristiche.

È l’espulsione il provvedimento che si sta ritagliando un ruolo sempre più importante nella lotta al terrorismo. Sbrigativa e con poche possibilità di appello, questa misura sta diventando l’arma di prima scelta da quando, nell’aprile dell’anno scorso, è stata introdotta dal pacchetto antiterrorismo voluto da Alfano.

I dati resi noti dall’Interno dicono che nel 2015 le espulsioni per motivi di terrorismo sono state 63, mentre nei primi cinque mesi dell’anno si è arrivati a quota 19.

Se nell’iter penale, però, ci sono tutte le tutele individuali, con l’espulsione i diritti degli accusati vengono meno.

“Non è per nulla garantista come provvedimento,” commenta l’avvocato Guido Savio dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI). “Se ci fossero degli indizi veri li metterebbero in galera. Non si riesce a imputare una persona perché non si hanno elementi gravi sufficienti è si ricorre all’espulsione.”

“Il diritto di difesa è praticamente inesistente. Intanto loro ti prendono e ti deportano e, poi, dall’estero puoi fare ricorso.”


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