Intorno a mezzogiorno del 3 febbraio del 2018, l’allora sindaco di Macerata Romano Carancini aveva pubblicato sui social un drammatico audiomessaggio: “Chiedo a tutti di restare dentro le proprie case e dentro le proprie scuole perché gira in città un uomo che spara.”
L’uomo in questione era Luca Traini, un neofascista che nel 2017 si era candidato con la Lega alle amministrative di Corridonia, sempre in provincia di Macerata. Quella mattina era partito armato da Tolentino—il suo comune di residenza—per “fare una strage” e “vendicare” l’orribile morte di Pamela Mastropietro, uccisa qualche giorno prima da Innocent Oseghale (condannato definitivamente all’ergastolo nel 2020).
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Una volta giunto a Macerata a bordo di un’Alfa 147 nera, Traini aveva sparato quasi venti colpi ferendo Wilson Kofi, Omar Fadera, Jennifer Otiotio, Gideon Azeke, Mahamadou Toure e Festus Omagbon.
A mezz’ora di distanza dal messaggio di Carancini Traini si era consegnato ai carabinieri di fronte al Monumento dei Caduti, dopo aver fatto il saluto romano ed essersi avvolto in una bandiera tricolore. Volendo “dare un messaggio contro l’immigrazione,” come dirà in seguito agli inquirenti, aveva preso di mira anche locali e discoteche frequentati a suo dire da migranti e “spacciatori,” nonché la sede del Partito Democratico locale.
In sostanza, l’attacco era stato pianificato meticolosamente e aveva una matrice politica davvero inequivocabile—a partire dal Wolfsangel tatuato sul volto, fino ad arrivare al cero votivo di Mussolini portato da Traini sul luogo in cui era stato ritrovato il corpo di Mastropietro.
Eppure, fin dall’inizio, quella matrice è stata sistematicamente depotenziata e rimossa. E la tentata strage razzista (come l’ha definita la Corte di Cassazione, che ha condannato Traini in via definitiva a 12 anni di reclusione) è di conseguenza finita nel dimenticatoio.
Il punto, scrivono i docenti di media e comunicazione Marcello Maneri e Fabio Quassoli nel recente saggio Un attentato “quasi terroristico”, è che non c’è stata alcuna “reazione collettiva unitaria”. Ancora adesso non c’è una visione univoca neppure sulla definizione dell’accaduto. Non a caso, i curatori del volume parlano di “quasi terrorismo”: ossia di un evento che meriterebbe la qualificazione di terrorismo, ma “non guadagna l’egemonia nel dibattito pubblico.”
In altre parole, proseguono, “un attentato di matrice razzista e fascista nella Repubblica che, per dettato costituzionale, ripudia il fascismo e le discriminazioni di razza, non è stato evidentemente vissuto come un attacco ai suoi stessi valori.”
Ma che eredità ha lasciato quell’evento? Che impatto ha avuto all’interno dell’estrema destra italiana e internazionale? Per cercare di rispondere mi sono fatto aiutare da due persone esperte nel campo degli studi sull’estremismo: Pietro Castelli Gattinara, ricercatore Marie Sklodowska-Curie a Sciences Po; e Barbara Lucini, ricercatrice presso Itstime (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies) dell’Università Cattolica di Milano.
Anzitutto, secondo Lucini, il più grande errore prospettico è stato (ed è tutt’ora) quello di descrivere Traini come un “lupo solitario”—una figura oltremodo abusata che, nel caso di specie, ha permesso di derubricare il tutto come il gesto isolato di un ‘folle’.
In realtà si può parlare di “lupi solitari” soltanto nel momento in cui hanno commesso l’azione, ma non quando si vanno a sondare le cause. “Non si diventa lupi solitari da soli. Traini aveva un percorso importante che non ha fatto da solo,” spiega la ricercatrice, “visto che frequentava determinati contesti [neofascisti].”
A tal proposito, sottolinea Gattinara, se a livello pubblico Traini non è stato trattato come un terrorista di estrema destra, “ha avuto molto più successo all’interno del proprio milieu, dove la sua volontà e il suo messaggio sono stati recepiti.”
Il suo gesto, infatti, è stato subito glorificato in diversi modi. Oltre agli striscioni con la scritta “Onore a Traini” apparsi in diverse città e gli elogi di Forza Nuova, Traini è diventato un “guerriero della Resistenza” per i razzisti italiani sul social russo VKontakte, nonché un vero e proprio meme dell’alt-right su 4chan e altre imageboard.
Il suo volto è stato messo sul corpo di Kratos del videogioco God of War, accompagnato da scritte come “il difensore d’Italia”, “l’ultimo legionario” e “la vendetta del popolo.”
Nel 2019—e questo è uno degli aspetti più inquietanti dell’intera vicenda—il suo nome è apparso sia sui caricatori usati dall’attentatore di Christchurch che nel manifesto di quest’ultimo, acquisendo così una rilevanza globale.
E non solo: riferimenti a Trani sono continuati a emergere nell’ambito di inchieste su aspiranti terroristi di estrema destra. Andrea Cavalleri, il 22enne di Savona arrestato all’inizio del 2021, sosteneva in una conversazione intercettata che “io la strage la faccio davvero, ho le armi, penso che farò Traini 2.0.”
Nel dicembre dello stesso anno la procura di Roma ha chiesto l’arresto del fondatore dell’Unione Forze Identitarie, definita una “struttura sovversiva di ultima generazione, operativa sul web attraverso un’intensa opera di propaganda.” Anche in questo caso—affermano gli inquirenti—l’indottrinamento avveniva mediante “l’esaltazione delle azioni terroristiche,” tra cui ovviamente quella di Luca Traini.
Come sostiene Barbara Lucini, insomma, l’attentatore di Macerata “è figlio del suo tempo—un tempo malato, ma comunque figlio del suo tempo. Ed è espressione di un estremismo di destra diverso dal passato.”
Secondo l’analisi del ricercatore Milo Comerford del think tank britannico Institute for Strategic Dialogue, questo nuovo tipo di estremismo ha una struttura “post-organizzativa” e completamente orizzontale: non c’è più un leader che dirige dall’alto, ma tante piccole cellule e singoli individui che condividono un’ideologia comune e si radicalizzano al di fuori di ogni organizzazione strutturata.
È una forma di estremismo, ovviamente, che riguarda anche l’Italia. Ciò che emerge da varie inchieste è una specie di fusione tra il neofascismo italiano e il suprematismo bianco anglosassone, condita da varie teorie del complotto razziste.
Nel luglio del 2021 le forze dell’ordine hanno arrestato a Milano quattro giovani esponenti di un’associazione clandestina chiamata Avanguardia Rivoluzionaria. I giovani erano totalmente imbevuti della propaganda neonazista americana, e si rifacevano in particolare all’accelerazionismo di destra—una teoria che punta a favorire il collasso violento della civiltà contemporanea, per poi instaurare un “etno-stato” bianco e “purificato.”
Anche la già citata Unione Forze Identitarie voleva replicare in Italia l’esperienza dei gruppi dell’estrema destra accelerazionista, su tutti la Atomwaffen Division. Si tratta di una formazione fondata negli Stati Uniti nel 2015 (ed entrata in piena clandestinità nel 2020) ispirata agli scritti del neonazista americano James Mason, che propugna la destabilizzazione della società attraverso atti di violenza individuali, casuali e imprevedibili.
Mentre negli Stati Uniti e in altri paesi europei (come la Germania) questo modello di estremismo è affermato da diversi anni, in Italia siamo ancora in uno “stato embrionale”—come ha detto in un’intervista all’Adnkronos Eugenio Spina, responsabile del servizio antiterrorismo interno della Direzione centrale della polizia di prevenzione. Ma indubbiamente esiste, ribolle sottotraccia e ha individuato in Luca Traini un potente simbolo di riferimento.
Ad avviso di Lucini, è un segnale oltremodo allarmante: “Traini ha espresso quello che diverse persone vorrebbero fare, e che in realtà non riescono a fare per vari motivi. Inoltre, si tratta di un fenomeno perdurante; sono passati quattro anni, e ancora assistiamo a questa magnificazione della persona.”
Gattinara, dal canto suo, pone l’attenzione su un altro tema cruciale. “Fatti come quelli di Macerata sono la punta di un iceberg molto più grande,” spiega, “che comprende anche delle forze politiche che in Italia ormai sono considerate come perfettamente legittime.” C’è quindi una sconvolgente “continuità tra le frange più estreme” e i partiti che “sono parte integrante del sistema politico.”
Per tutti questi motivi, conclude Lucini, l’attentato di Macerata è “il risultato di un cambiamento importante nell’assetto della società italiana, ed è stato molto sottostimato—anche e soprattutto per la portata futura che può ancora avere.”