Una donna australiana è accusata di avere ingaggiato una squadra di rapitori per sottrarre al padre i due figli, residenti con lui in Libano.
L’episodio è avvenuto lo scorso 6 aprile, quando i due bambini – che si trovavano in compagnia della tata e della nonna – sono stati prelevati mentre aspettavano lo scuolabus in una strada della periferia meridionale di Beirut.
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Mentre il gruppo attendeva l’arrivo dell’autobus, quattro uomini sono usciti da un’auto parcheggiata, hanno afferrato i bambini, li hanno legati e caricati a forza sul veicolo. La nonna, che ha cercato di impedire il sequestro, è stata spintonata ed è caduta a terra.
I rapitori, due libanesi e due britannici, sono membri del Child Abduction Recovery International, un gruppo fondato dal veterano di guerra australiano Adam Whittington. Uno di loro è un ex agente di polizia con precedenti penali.
Il rapimento è stato filmato dalle videocamere di sorveglianza, e successivamente trasmesso da un telegiornale libanese.
La donna – che si chiama Sally Faulkner e vive a Brisbane – avrebbe ingaggiato un gruppo di agenti per recuperare i due bambini che, secondo lei, le sarebbero stati sottratti nel 2015 dal padre, il libanese Ali al-Amin.
I rapitori si sarebbero dovuti recare sulla costa insieme ai bambini, per poi salpare verso Cipro. Nel giro di 24 ore, tuttavia, la polizia è riuscita a intercettare l’intera banda — per poi restituire i bambini al padre e alla nonna.
La vicenda ha dato vita a un intrigo internazionale tra Libano e Australia: il Ministro libanese degli Esteri, Gebran Bassil, ha formato un comitato internazionale tra i due paesi per cercare di risolvere il problema della custodia e risolvere la faccenda.
Il giudice delle indagini preliminari Rami Abdullah, tuttavia, ha spiegato che si è trattato di una violazione della legge libanese, e specificato che “non esiste la possibilità” che le accuse cadano.
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Ma la faccenda in realtà è ancora più complicata. Al rapimento ha partecipato anche una troupe televisiva del programma australiano 60 Minutes, che secondo alcune ricostruzioni avrebbe pagato a Faulkner i diritti della storia.
La troupe, d’accordo con la madre, era a Beirut per riprendere la scena del rapimento. Non è chiaro se 60 Minutes abbia anche pagato i membri del Child Abduction Recovery International per l’operazione di riscatto dei bambini.
Il gruppo che ha messo in atto il rapimento al momento è in carcere in Libano. La troupe di 60 Minutes – composta dalla famosa reporter Tara Brown, dal produttore, da un fonico e da un cameraman – è accusata di occultamento di informazioni, associazione a delinquere, rapimento e assalto fisico.
I colpevoli del rapimento potrebbero dover scontare fino a 20 anni di carcere.
La situazione potrebbe migliorare solo se Amin e Faulkner, che si trova nella prigione femminile di Baabda, riuscissero a raggiungere un accordo in privato. Se Faulkner accettasse che Amin fosse l’unico affidatario dei figli, lei e i membri della troupe di 60 Minutes a breve potrebbero essere scarcerati.
La vicenda, secondo quanto dichiarato da Sally Faulkner – la madre dei bambini – sarebbe iniziata nell’agosto 2013. Allora la famiglia risiedeva a Beirut e, spaventata da un attacco kamikaze avvenuto nella capitale libanese, decide di spostarsi in Australia.
Intanto il marito Amin, che in Libano gestisce una scuola di surf, continua a fare avanti e indietro. Nel gennaio 2014, la rottura: Faulkner chiede a Amin la separazione – che non diventa mai, o almeno non ancora, un divorzio ufficiale – e l’uomo continua a visitare moglie e figli con regolarità. Secondo la donna, anche in quel frangente le relazioni tra i due rimangono amichevoli.
La svolta avviene nel maggio del 2015, quando Amin chiede a Faulkner di poter portare i figli in Libano, così che possano incontrare la nonna. Pochi giorni dopo però, via Skype, l’uomo dice alla moglie che i figli non sarebbero rientrati in Australia.
Faulkner ha sempre considerato la mossa di Amin alla stregua di un rapimento. Nei mesi successivi, la donna ha lanciato una petizione su Change.org per chiedere aiuto nel riavere i figli con sé.
Nell’appello, la donna ha scritto: “Il governo [australiano] afferma che ‘il sequestro di bambini da parte dei genitori’ non è tecnicamente ritenuto un’azione criminale in Australia,” e per questa ragione le autorità “non si sono preoccupate di aiutarmi a trovare [i bambini].”
Amin non ha voluto commentare le accuse nei suoi confronti. Al Guardian, tuttavia, ha spiegato che avrebbe voluto che i figli crescessero con la sua famiglia, unita, in Libano.
Contattato da VICE News, Amin ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni — spiegando che i suoi avvocati gli hanno intimato di non fare ulteriori commenti sulla vicenda. “I bambini stanno bene e se la cavano,” è stata l’unica cosa che ha detto.
La disputa tra Faulkner e Amin non è un problema isolato: secondo il governo australiano, tra i due e i tre bambini vengono rapiti ogni settimana dal Paese. Il caso ha gettato luce sulla difficoltà di risolvere dispute sulla custodia a livello internazionale, soprattutto quando coinvolgono un paese come il Libano, il quale non ha sottoscritto la Convenzione dell’Aia sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale.
La legge libanese è decisamente a favore del padre nei casi di custodia e, nonostante la situazione continui a migliorare, le donne libanesi sono ancora cittadine di seconda classe.
Secondo un report di Human Rights Watch, le leggi libanesi “erigono barriere più solide per le donne piuttosto che per gli uomini che vogliono mettere fine a matrimoni infelici o violenti, iniziare procedure per il divorzio, garantirsi i loro diritti sui figli dopo il divorzio o assicurarsi i diritti finanziari dall’ex marito. Le leggi inoltre violano i diritti dei bambini, in modo più significativo il bisogno di considerare i loro migliori interessi in tutte le decisioni legali che riguardano il loro benessere”.
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