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Macro

Quella delle startup è una bolla sul punto di esplodere?

Tra il 1997 e il 2000 si è consumato uno dei fenomeni più tragici e divertenti della storia economica moderna: lo scoppio della bolla del dot-com. Ora la cosa sembrerebbe sul punto di ripetersi con le startup.

Come funziona una startup? Si mettono tante persone dietro tante scrivanie e si spera che salti fuori l'idea del secolo. Foto via Flickr/

Heisenberg Media _Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con [Hello bank! ](http://hellobank.it/it/home)_

Tra il 1997 e il 2000 si è consumato uno dei fenomeni più tragicamente divertenti dell'economia moderna. Erano gli anni in cui internet era un gigantesco astro spendente che stava cominciando a illuminare con i suoi raggi ogni essere umano sul pianeta, in modo capillare: le aziende ne andavano pazze e gli investitori si erano innamorati di queste aziende. Bello, no? C'erano un sacco di soldi e venivano investiti tutti in un settore in forte crescita dal punto di vista tecnologico.

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La parte divertente è che più si avvicinava il 2000 più gli investitori perdevano lucidità. Per riuscire a mangiarsi ogni cosa possibile in questo settore in forte crescita tutte le misure di sicurezza erano state sistematicamente ignorate. Poi, il 10 marzo 2000, l'indice NASDAQ aveva sfiorato i 5132 punti, per chiudere il giorno stesso a 5048 punti. Ecco servita la bolla speculativa del dot-com. All'improvviso, tutti si erano accorti che i guadagni promessi dalle innovative aziende del settore semplicemente non c'erano, e il castello era crollato. L'esplosione della bolla speculativa aveva bruciato una quantità incalcolabile di denaro. Oggi forse sta succedendo una cosa simile, anche se più che di bolla economica si potrebbe parlare di bolla sociale.

Il crollo del NASDAQ nei giorni dello scoppio della bolla del dot-com. Immagine

via Wikimedia Commons

Secondo uno studio, solo in Italia ogni giorno vengono registrate 4 o 5 nuove startup. Nel mondo gli ordini di grandezza sono cambiati: quando si parla di startup i "bei soldi" non sono più i milioni, ma i miliardi. E penare che anche ai tempi, attorno al 2000, alcune transazioni potevano sfondare il muro dei miliardi: è il caso di GeoCities, acquistato da Yahoo per 3,5 miliardi di dollari; di Broadcast.com, acquistato per 5,7 miliardi; di Webvan, un servizio di consegna di cibo a domicilio con 5 milioni di ricavi all'anno e bilanci in perdita che quando si era buttato sul mercato il suo valore era schizzato a 8 miliardi di dollari e che due anni dopo sarebbe andato in bancarotta.

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In generale, quando le cifre assumono dimensioni così titaniche c'è qualcosa che non va. Adesso Andrew Wilkinson, fondatore di GetFlow e MetaLab (guarda caso, due startup) ha parlato, in un post su Medium, di una possibile replica della bolla del dot-com ma stavolta relativa alle startup.

Per fare un esempio, quest'anno il Super Bowl—evento noto per le cifre stellari del mercato pubblicitario che vi ruota attorno—ha ospitato il maggior numero di nuove pubblicità dal periodo della bolla del dot-com. E tra l'altro, per la maggior parte si trattava di pubblicità di startup del settore tecnologico. Inoltre, nel 2015 ci sono oltre 114 startup valutate sopra il miliardo dagli investitori, mentre solo l'anno scorso erano appena 40. E alla lista dei miliardari di Forbes si sono aggiunti quest'anno 23 nuovi nomi, tutti di personaggi provenienti dal mondo della tecnologia. In più, il mercato dei programmatori è fuori controllo: solo a San Francisco un programmatore riesce a guadagnare fino a 130 mila dollari all'anno, e molti sono così richiesti da aver bisogno di un agente.

Il problema più grosso, però, riguarda i numeri del mercato azionario che gira attorno alle startup e che è di nuovo ai limiti dell'assurdo. Le aziende decidono di lanciarsi subito nel mercato pubblico, e soprattutto lo fanno prima di generare profitti: in sostanza si tratta di vendere promesse o ancora peggio debiti assicurati. Nel 1999, alla vigilia dello scoppio della bolla, l'80 percento delle aziende del settore dot-com non generavano utili; l'anno scorso, per quanto riguarda le startup, quelle nelle stesse condizioni erano il 71 percento del totale, con un aumento del 46 percento rispetto all'anno precedente. Infine—ciliegina sulla torta—nel mondo delle startup sta nascendo un nuovo settore, quello delle meta-startup: aziende come ProductHunt, che offrono servizi di gestione, trageting e informazione riguardanti altre startup. Una bolla nella bolla, praticamente, che solo nel caso di ProductHunt vale 22 milioni di dollari.

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Anche in Italia la situazione è in forte crescita, e il primo sintomo di questa crescita sta in quanto se ne parla. Ci sono blog appositi, intere sezioni di grandi quotidiani dedicate alle startup, pagine Facebook che prendono per il culo la moda delle startup e verticali dedicati interamente al marketing.

Un esempio più concreto è la quantità di incubatoi e acceleratori per startup presenti nel nostro paese: ogni grande azienda mette a disposizione dei fondi per finanziare piccole aziende, e vengono annunciati continuamente nuovi esempi e nuove competizioni per favore la crescita delle startup. Ma quante di queste poi riescono effettivamente a sfondare?

Un intervento di Mark Zuckerberg

a Startup School nel 2013

"Secondo l'ultimo report di Infocamere aggiornato al primo trimestre 2015, quasi due terzi delle attività innovative si concentra nell'area dei servizi alle imprese, principalmente nel software, nella consulenza informatica e nella ricerca e sviluppo," ha scritto lo scorso maggio Enrico Netti in un articolo su Sole 24 Ore.

"Negli ultimi mesi si è assistito a un rafforzamento del capitale sociale, che complessivamente è passato a 192 milioni, dai 153 di fine 2014, ha aggiunto." È difficile recuperare dati chiari e ufficiali vista la velocità con la quale questo settore si sta espandendo, ma alcune stime parlano di un mercato da due miliardi di euro e 5000 addetti—altre, di volumi ancora più importanti.

Per fortuna, il settore si è rivelato abbastanza importante da meritarsi, anche in Italia, un dettagliato report in merito. "A fine marzo 2015 il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese è pari a 3711, in aumento di 532 unità rispetto alla fine di dicembre (+16,7 percento). Le startup rappresentano lo 0,25 percento del quasi milione e mezzo di società di capitali italiane. Il capitale sociale delle startup è complessivamente di 192 milioni di euro, che corrisponde in media a 52mila euro a testa. Il capitale medio è aumentato del 7,5 percento rispetto al quarto trimestre 2014," si legge nel report del primo trimestre 2015 della Camera di Commercio.

Insomma, per quanto in Italia il fenomeno non abbia ancora raggiunto i livelli critici che ha raggiunto altrove, i segnali ci sono tutti: da StartupOver—un blog che raccoglie le storie di tutte le startup fallimentari—al recente Shark Tank, reality show andando in onda su Italia 1 in cui una serie di startup proponevano i loro progetti a cinque grossi investitori italiani. Tutte cose che fanno capire come quello delle startup oggi sia un fenomeno decisamente pop, anche se in parallelo all'entusiasmo sta incominciando a montare anche il panico.

In conclusione, quando arriverà l'apocalisse? Mentre la aspettiamo all'estero il settore ha già superato il punto di non ritorno trasformandosi in un'area dove non c'è spazio per risultati nella media ma solo per l'eccellenza. In Italia, invece, il settore è ancora in forte espansione, e benché i numeri non facciano ancora pensare a una bolla speculativa il rischio è quello di ritrovarci in pochi anni a dover convivere con il sogno della startup: una piccola azienda capace di vendere promesse a prezzi esorbitanti.

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