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I Neet italiani non stanno facendo niente della loro vita

In Italia i Neet, ossia i giovani che non studiano né lavorano, sono sempre di più—talmente tanti che il termine sta smettendo di indicare una classe sociale e iniziando a identificare una condizione psicologica.

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Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Può capitare, nella vita, di trovarsi in periodi in cui si è momentaneamente a corto di cose da fare. Senza scuola, senza università, senza lavoro. Per me, come credo per molte altre persone, quello è stato il periodo subito dopo l'università, ed è stato bello solo per la prima settimana.

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Passati quei sette giorni, la mia reazione è stata quella di mandare compulsivamente CV promettendo ad amici e famiglia di essere disposta a fare qualsiasi cosa, pur di non rimanere a casa. Eppure per tante persone della mia età, non avere alcun impegno di tipo formativo, educativo o lavorativo non è un periodo passeggero ma una condizione di vita. Sono coloro a cui ci si riferisce con il termine Neet—acronimo di Not in Education, Employment or Training: giovani che, in pratica, non fanno niente, e di cui per questo si parla molto poco.

Nonostante quello dei Neet sia un tema di cui si è cominciato a parlare con consistenza solo recentemente—del resto l'acronimo risale solo al 1999—il fenomeno è in costante aumento, e dal 2007 ad oggi in Italia è cresciuto di un punto percentuale all'anno.

Dai dati Istat del 2014 emerge che, in Italia, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non si formano sono il 21 percento, ovvero due milioni e mezzo—di cui poco più della metà sono donne. Questa percentuale è la media di numeri in cui l'aspetto territoriale ha una forte rilevanza, come indicato anche dalle recenti indagini che mostrano un'Italia sempre più divisa in due macro-aree. Anche nel caso dei Neet, infatti, si può parlare di un paese che viaggia a due velocità diverse: se al nord non superano il 20 percento, al sud e nelle isole sono più del 35 percento.

In conformità con un tasso di disoccupazione giovanile ben al di sopra della media europea, i due milioni e mezzo di Neet presenti in Italia portano il nostro paese in fondo alla classifica, con una percentuale al di sopra della media e nettamente superiore a quella di paesi come la Fracia, il Regno Unito e la Germania.

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Ma quello dei Neet non è un problema che riguarda solo il nostro paese: proprio ieri, la Banca Mondiale ha diffuso un rapporto in cui si parla dell'urgenza di un'azione globale per far fronte alla disoccupazione giovanile, puntando l'attenzione proprio sul numero dei Neet. In Europa, l'Unione Europea si è decisa ad affrontare il problema, ponendosi l'obiettivo di arginare la dispersione scolastica, riconosciuta come la causa principale dietro la condizione di Neet.

Negli ultimi giorni, in Italia si è tornati a parlare del fenomeno per via di un'indagine—la prima a livello nazionale—che ha tentato di individuarne profili e cause, e di analizzare le politiche a riguardo. La cosa più interessante che emerge da questo studio è che per molti i Neet sono una categoria psicologica più che una classe sociale: molti ragazzi si definiscono Neet nonostante siano impegnati in qualche tipo di tirocinio o occupazione che però non riflette le loro qualifiche o aspirazioni; altri invece si auto-escludono dalla categoria perché impegnati in qualche tipo di attività di volontariato o sportiva, oppure perché non sono ancora rassegnati.

La rassegnazione sembra infatti essere la caratteristica principale che accomuna i Neet. Dalle interviste emerge che le caratteristiche principali dei giovani italiani sono il senso di precarietà e l'esclusione sociale, giovani che sono "né dentro le cose, né fuori di esse, ma che stanno aspettando."

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Il senso di precarietà e marginalità accomuna tutti i giovani, ma dalle testimonianze raccolte dallo studio emergono tre diverse categorie: quella dei giovani di successo, composta da ragazzi con famiglie abbienti su cui possono contare e percorsi formativi privilegiati, spesso con esperienze all'estero; quella di coloro—la maggioranza—che occupano l'area grigia, ragazzi che provano ad entrare nel mondo del lavoro ma che per diversi motivi, economici o di esperienze, fanno fatica; e infine quella dei marginali, che appunto si trovano al di fuori del mondo formativo e lavorativo e si rassegnano alla loro condizione, smettono di mandare curricula e si chiudono nell'isolamento.

Sono questi ultimi i Neet propriamente detti. Nonostante si tratti di giovani che, diversamente dalla media dei loro coetanei, sono iper-informati e iper-connessi, il loro isolamento dalla società si riflette nel fatto che siano al di fuori dal mondo dei social. Inoltre, sembrano essere accomunati e caratterizzati dall'assenza di figure guida: se infatti le interviste confermano l'assodata morte di pubbliche istituzioni come la scuola e la politica—in particolare, quest'ultima è quasi completamente assente dalla vita dei giovani—la famiglia rimane un punto fisso importante ma incapace di guidarli.

Secondo la ricerca, la causa fondamentale della condizione dei Neet sarebbe la dispersione scolastica, ovvero l'abbandono del percorso di studi prima di raggiungere un titolo o una formazione professionale. Secondo i dati dell'Unione Europea, in Italia gli early school leaver sono il 15 percento dei giovani, una persona su quattro tra gli intervistati—mentre l'obiettivo della comunità europea era quello di arrivare al 10 percento entro il 2020.

Quando non interviene la dispersione scolastica, a incrementare le possibilità di finire tra i Neet sono esperienze di formazione scolastica negative, come bocciature o cambi di indirizzo, ma anche titoli di studio deboli. A dimostrazione di come l'ascensore sociale italiano sia bloccato, i soggetti più a rischio sono proprio quelli i cui genitori possiedono titoli di studio bassi o, a loro volta, percorsi formativi inconclusi. Insomma, in Italia la scuola sembra essere incapace di offrire una formazione professionale e psicologica adeguata al mondo del lavoro, e viene quindi vissuta dai Neet—così come dal resto dei giovani—in modo passivi, come un'esperienza del tutto slegata dalla vita al di fuori delle aule scolastiche.

Nonostante quello dei Neet sia un problema sempre più noto e non privo di conseguenze economiche—si calcola che i due milioni e mezzo di Neet italiani gravino sul PIL, in termini di mancata produttività in reddito permanente, per una forbice che va all'1,4 al 6,8 percento—mancano ancora interventi concreti per arginare il problema. Negli ultimi anni si è assistito alla nascita di diversi progetti che offrivano percorsi formativi, incentivi per l'innovazione e per i giovani impiegati in ambiti artistici e creativi, ma a quanto pare tutte queste iniziative non hanno avuto alcun successo nell'arginare il fenomeno.

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