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Mi hanno rapinato a Città del Messico, e la polizia ha solo peggiorato le cose

La rapina che ho subito lo scorso settembre è stata solo l'inizio di una discesa agli inferi che mi ha insegnato che, per quanto riguardava la polizia, anche io ero una criminale.

Sei in una strada piuttosto affollata di Città del Messico quando senti qualcosa di affilato che ti preme contro la schiena. Subito dopo, ti mettono un secondo coltello alla gola. Un uomo ti si para davanti, sventolandoti in faccia una lama. La sua espressione dice: "Niente stronzate."

Ti stanno rapinando.

È quello che mi è successo il 16 settembre scorso, la festa dell'indipendenza messicana, nel pieno centro di Città del Messico.

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Uno degli uomini mi ha squarciato lo zaino mentre un altro, un 20enne in jeans e felpa grigia, ha cominciato a tagliare i lacci delle mie Doc Martens. Il terzo uomo ha indicato le cuffie che mi penzolavano dalla tasca, così gli ho fatto il favore di porgergli il mio telefono—un iPhone comprato neanche due mesi prima.

Subito dopo il trio se n'è andato, dimenticandosi di rubarmi le scarpe. Non riuscivo a credere a quello che mi era appena successo e mi sembrava assurdo che i ladri fossero in grado di filarsela nel bel mezzo dell'affollatissimo Correo Mayor, una strada del centro, all'una di pomeriggio di un mercoledì.

"Nessuno vuole fermarli o aiutarmi?" ho chiesto ai passanti mentre ero ancora sdraiata per terra con la testa tra le mani. Fino a pochi istanti prima uno degli uomini mi aveva tenuta per i capelli.

Con lo sguardo stavo ancora seguendo i miei rapinatori.

"Qui va così, m'ija," mi ha risposto una donna scuotendo la testa. "Ya vete—tirati su."

"Nessuno ha visto niente," ha detto un altro dei testimoni. "Alzati."

Mi sono alzata e sono salita sul primo taxi. Almeno non mi avevano tagliato la gola, ho pensato. Il tassista mi ha portato a casa, dove ho recuperato qualche soldo e sono riuscita a pagare la corsa.

"Pensavano che avessi dei soldi nelle scarpe," mi ha detto il tassista. "È lì che li tengo io, di solito."

Stando alle statistiche, le rapine sono un aspetto piuttosto comune della vita nelle grandi città. Ma c'è qualcosa di particolarmente frustrante nel modo in cui il crimine viene percepito a Città del Messico—specie da parte di quelle autorità il cui lavoro consisterebbe proprio nell'aiutare le vittime a recuperare i loro averi e magari ottenere giustizia.

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La rapina che ho subito lo scorso settembre è stata solo l'inizio di una discesa agli inferi che mi ha insegnato che, per quanto riguardava la polizia, anche io ero una criminale.

Dopo essermi lamentata su Twitter, ho passato il resto della giornata a rispondere alle domande dei miei amici che volevano sapere se stavo bene. Ho anche sentito una serie di storie dell'orrore su altre esperienze simili accadute in Messico. Mentre tutte quelle storie terribili—che parlavano di AK-47, pistole, rompighiaccio e coltelli—mi riempivano l'inbox, mi sono ritrovata a chiedere sempre la stessa cosa: "Ma tu hai sporto denuncia?"

"Non mi è mai passato per la testa," mi ha detto Emma Herrera, di 27 anni, che mi ha raccontato di essere stata rapinata due volte nel giro di tre mesi. "In Messico la polizia non è percepita come una forza di protezione, sono le ultime persone da cui vorresti andare."

Avrei lasciato il paese la mattina seguente, e avevo deciso di informare le autorità di quello che mi era accaduto andando al ministerio público—il termine che in Messico indica l'ufficio del procuratore pubblico—dell'aeroporto di Città del Messico. È stato allora che ho scoperto che la "rapina" che avevo subito sarebbe diventata qualcos'altro.

Lo scorso anno, più di un cittadino messicano su quattro è stato vittima di un crimine violento—e la statistica non tiene conto dei reati legati alla criminalità organizzata, al traffico di droga e di esseri umani—ma secondo un sondaggio governativo appena diffuso, solo il 7,2 percento di questi crimini viene denunciato alle autorità.

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Secondo un rapporto pubblicato il 30 settembre dall'Istituto Nazionale di Statistica e Geografia (INEGI), in Messico le vittime di crimini violenti non li denunciano perché "non si fidano delle autorità" o perché ritengono che le loro denunce verranno considerate "uno spreco di tempo." Il rapporto prosegue affermando che meno di un quarto delle persone intervistate ha affermato di sentirsi "al sicuro" all'interno della propria comunità.

Stando ai dati pubblicati dal Sistema Nazionale di Sicurezza Pubblica (SNSP), nel 2014 solo a Città del Messico sono state rapinate 15.121 persone. I dati mostrano anche che più di 3mila pedoni sono stati rapinati "senza ricorrere alla violenza."

Ma le statistiche sul crimine in Messico, si sa, non sono tanto affidabili. Per fare un esempio, l'anno scorso l'SNSP ha registrato ufficialmente 62 rapimenti a Città del Messico. Eppure la stessa agenzia ha affermato che nello stesso periodo l'ufficio del procuratore di Città del Messico stava indagando su 78 casi di rapimento.

"Giovedì scorso sono stato rapinato da un tassista," mi ha detto Ricardo Enriquez, che è stato aggredito nella Zona Rosa, il quartiere LGBT di Città del Messico. "Non ho sporto denuncia, perché non voglio perdere tempo nell'ufficio del procuratore e volevo evitare che le autorità dessero a me la colpa di quello che mi era capitato, come spesso accade—cose tipo, 'Cosa stavi facendo in quella strada di notte? Eri ubriaco? Ci stavi provando con il tassista?'," mi ha detto Enriquez.

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Stellum Sotelo ha 25 anni e lavora come musicista e fotografo, molto spesso di notte. Mi ha detto di essere stato aggredito sei volte. "Ho fatto denuncia solo in un caso," mi ha detto Sotelo, aggiungendo che quel caso particolare l'aveva fatto finire in ospedale con gli occhi pesti e una costola incrinata.

"Se le vittime non fanno denuncia, non c'è modo di includere i loro casi nelle statistiche," mi ha detto Laura Trejo, direttrice di un gruppo anticrimine chiama Alto al Secuestro (Basta Rapimenti).

Secondo il rapporto dell'INEGI di settimana scorsa, più della metà dei casi di sequestro che avvengono in Messico terminano nel giro di 24 ore. Ho parlato con diverse ragazze che sono state rapite a Città del Messico. Due di loro mi hanno raccontato delle storie praticamente uguali, in cui alcuni uomini armati le avevano minacciate, fatte salire su un taxi e costrette a prelevare tutti i soldi dai loro conti in banca.

"Dopo un viaggio in auto durato un'eternità, mi hanno lasciata in mezzo a una strada buia," mi ha detto Anita Valerio, una giornalista di VICE Messico di 31 anni. "Hanno minacciato la mia famiglia, avevano tutto—compresi il mio indirizzo e i numeri di telefono dei miei familiari, che stupidamente avevo salvato sul telefono come mamma, papà e così via."

Le minacce ricevute l'avevano spaventata a tal punto che aveva deciso di non sporgere denuncia. "Uno di loro mi ha palpata dappertutto, e poi mi hanno fatta camminare per strada mentre mi tenevano sotto tiro, e non sapevo se mi avrebbero sparato o no," mi ha detto Anita.

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Paulina Upalia, una ragazza di 27 anni che lavora nel marketing, mi ha descritto in modo simile la sua esperienza. "Ho tenuto gli occhi chiusi, perché mi avevano detto che se avessi corso, se mi fossi messa a urlare o se mi fossi guardata indietro mi avrebbero 'piazzato una pallottola' in testa. Alla fine mi hanno lasciata poco lontano dal commissariato di polizia." Invece di sporgere denuncia, anche Upalia è andata dritta a casa.

"La polizia in Messico fa schifo," mi ha detto Max Gaudelli, uno studente di cinema di 21 anni che due mesi fa è stato rapinato da un uomo armato di coltello di fronte al campus della sua università. "Non ho sporto denuncia perché è uno spreco di tempo."

"I criminali sanno che riusciranno a farla franca," ha aggiunto, "e questo li spinge ad aggredire e rapinare la gente."

Delle 40 persono con cui ho parlato, solo cinque hanno denunciato i crimini subiti alle autorità. Ancora peggio, i pochi che l'hanno fatto mi hanno detto di essersene pentiti. Come sarebbe successo a me. Mario Rodriguez mi ha detto di essere stato rapinato a Città del Messico da "un gruppo di ragazzini di 12 anni" armati di coltello. "Ho sporto denuncia," mi ha detto Rodriguez. "Ma l'ufficio del procuratore si è comportato come se il criminale fossi io. Sono stati degli stronzi e mi hanno fatto solo perdere tempo."

Alan Gallart, che vive a Città del Messico, mi ha raccontato di essere stato rapito insieme alla sua fidanzata da due uomini armati nel quartiere di Condesa, a Città del Messico, che gli hanno anche rubato la macchina. Ha fatto denuncia, ma mi ha detto che si è rivelata una scelta senza senso. "Alcuni mesi dopo, un poliziotto si è presentato a casa mia e mi ha detto che se rivolevo la mia macchina avrei dovuto dargli 5000 pesos (circa 300 dollari). Io glieli ho dati e lui mi ha portato a vedere la macchina, a cui mancavano praticamente tutti i pezzi," mi ha detto Gallart. "E a quel punto mi ha detto che avrei dovuto pagarlo per far rimuovere la mia macchina, visto che lì dov'era stava bloccando la strada. La mia esperienza con la polizia è stata forse anche peggiore del rapimento," ha concluso.

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Anche Gio Franzoni, una musicista di Città del Messico, mi ha raccontato di quando le hanno rubato la macchina. "Mi sono saliti in macchina uno di loro si è alzato la maglietta. Ho pesato che volesse farmi vedere il contenuto delle mutande, invece ha tirato fuori una pistola," mi ha detto Franzoni. Le è stata puntata la pistola in testa ed è stata trascinata fuori dalla macchina. Quando ha deciso di denunciare l'avvenuto alle autorità—per questioni di assicurazione, mi ha detto—le è stata posta una lunga serie di domande, a cui ha dovuto rispondere per quattro volte.

"Alla fine la mia assicurazione non ha voluto prendersi la responsabilità," mi ha detto. "Perché l'ufficio del procuratore ha affermato che le versioni che ho raccontato si contraddicevano tra di loro, anche se avevo raccontato ogni volta la stessa storia."

La mattina dopo essere stata aggredita, sono andata all'aeroporto internazionale di Città del Messico per imbarcarmi su un volo per gli Stati Uniti. Prima di farlo, però, sono appunto passata al ministerio público dell'aeroporto per denunciare la rapina e il furto del mio permesso temporaneo di soggiorno. "Non puoi lasciare il paese senza il permesso temporaneo di soggiorno," mi è stato detto. "Se vuoi puoi denunciare il furto, ma ci vogliono settimane per i documenti nuovi. E devi pagare una multa."

"Posso farti un favore e darti un documento per farti passare i controlli," mi ha detto l'agente all'ufficio. "Ma non dire a nessuno della rapina. Digli piuttosto che hai lasciato il portafoglio a casa, non so." Le ho chiesto cosa sarebbe successo se non avessi seguito il suo consiglio. "Be', allora goditi la tua permanenza in Messico," mi ha risposto.

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Il finto rapporto che ho firmato nell'aeroporto di Città del Messico. Foto di Andrea Noel.

Niente di tutto ciò aveva senso, ma avevo un aereo da prendere.

Così, l'agente ha scritto un verbale:

"Ero all'interno dell'aeroporto internazionale di Città del Messico e ho iniziato a cercare il mio permesso temporaneo di soggiorno, di cui al momento non riesco a ricordare il numero ma che so essere ancora valido, e mi sono resa conto che non l'avevo con me. Non so dove posso averlo perso, ma sporgo questa denuncia di smarrimento nel caso venga utilizzato per attività illecite." Ho sbuffato, ma poi ho guardato l'ora e ho firmato il verbale.

Anche se mi aveva detto di essere di fretta, l'agente mi ha dettato con attenzione, una parola alla volta, una frase che dovevo scrivere sul retro della sua copia del rapporto: "Ho ricevuto una copia di questo rapporto gratuitamente, e l'ufficiale che l'ha steso non ha preteso da me soldi in cambio."

Ovviamente ho perso il mio volo, e mi sono pentita subito di aver firmato il falso rapporto. Ho chiesto a un agente dell'ufficio immigrazione come avrei dovuto procedere, e lui mi ha detto che sarei dovuta andare all'ufficio del procuratore centrale—piuttosto lontano dall'aeroporto. Ero in giro da cinque ore ormai e avrei dovuto aspettarne altre cinque prima della partenza del volo successivo, ma non avevo più tanta voglia di avventure. Così ho deciso di aspettare finché non sarei ritornato in Messico.

Al mio ritorno, lunedì scorso sono andata all'ufficio del procuratore, sperando di poter depositare un'altra denuncia, questa volta di furto, e di poter denunciare un agente di polizia che mi aveva spinto a mentire su un documento ufficiale. Quando sono arrivata, l'agente dietro la scrivania mi ha detto che per sporgere denuncia sarei dovuta andare nell'ufficio di un altro distretto. Sono stata anche informata che la procedura avrebbe richiesto 20 giorni, e che probabilmente il fatto di aver firmato un documento falso avrebbe portato ad accuse nei miei confronti. Ho preso un altro taxi e mi sono fatta portare all'ufficio in questione, che si trovava in una zona molto più losca di quella in cui ero stata rapinata.

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Uno degli amichevoli uffici in cui sono stato. Foto di Andrea Noel.

Sono entrata, ma sono subito stata fermata da tre poliziotti che mi hanno accerchiato e chiesto di uscire. Ho camminato all'indietro, fino oltre la porta. Ho risposto alle domande che mi facevano, spiegando che mi trovavo lì per esporre reclamo e fare una deposizione.

"C'è di mezzo un reato," mi ha detto un poliziotto, facendomi cenno di seguirlo verso la strada. "Se fai quel reclamo, poi son guai. E se ti arrestano?" Subito dopo ha abbassato la voce: "Se fossi in te, andrei a casa."

Incredula, ho ripetuto tutto con parole diverse e ho chiesto all'uomo di spiegarsi meglio: "Vuol dire che se mi lasciate entrare nell'edificio e dichiarare che un pubblico ufficiale mi ha mentito e mi ha spinto a firmare una dichiarazione falsa invece che registrare l'aggressione, rischio l'arresto?"

"Giusto. Esatto. È un reato grave, ma congratulazioni—parli bene lo spagnolo," mi ha detto sorridendo. Il poliziotto mi ha consigliato di rivolgermi a un avvocato, e ha detto che se fossi tornata il giorno dopo prima delle tre di pomeriggio mi avrebbero trovato un avvocato d'ufficio, "gratis."

Ho deciso di lasciar perdere. "Sfortunatamente, è così che funziona il sistema giudiziario in Messico," mi ha detto l'avvocato Elizabeth Valdez. "Non penso che ti avrebbero arrestata subito, ma credo che non sarebbe stato facile ritrattare la tua deposizione senza essere accusata tu stessa di aver commesso un reato, e sarebbe stato ancora più difficile fare reclamo."

Dopo aver sentito quello che è successo ai miei amici e dopo quello che è successo a me, non sono più in grado di dire chi sono i veri criminali in Messico—ma secondo la procura, io sono una di loro.

Thumbnail via Flickr.

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