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La depressione del Milano Sex Festival

Il Sex Festival vi farà passare per sempre la voglia di masturbarvi.

Del porno negli anni sono cambiate le dinamiche del fare e di chi lo fa. Chi fino a ieri ci dedicava tempo e soldi è stato sconfitto dall’evidenza che il sesso riguarda tutti e che questi tutti, in un modo o nell’altro, sono in grado di farlo, e di riprendersi facendolo. Poi c’è chi, come quelli del Sex Festival, ha provato a inseguire i gusti del pubblico e si è ritrovato costretto ad affrontare le contraddizioni di una città come Milano che non fa altro che consumare YouPorn ma che dal vivo preferisce non sporcarsi e restare a casa dove il mensile di Fastweb gli consente di fare quello che gli pare.

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Nell'anno della scomparsa di uno dei simboli dell'industria, sono andato a vedere dov'è arrivata quella che una volta era la fiera del sesso più importante d'Italia, e ho avuto una conferma schiacciante del perché gli italiani, quando si tratta di porno, preferiscono restare a casa

Il Sex Festival è il Mi-Sex caduto in disgrazia, all’ingresso la fila non c’è, anzi, non c’è proprio nessuno. Alla cassa ci sono un signore anziano e due ragazze per gli accrediti. Da lì si entra. Il Sex Festival è la metà del Mi-Sex sia in termini di palinsesto che di pubblico pagante; l’unica cosa a unirli, oltre agli organizzatori, è il principio di fondo: chi ha il pallino della pippa dia libero sfogo ai suoi occhi lucidi. Sulla carta la proposta è allettante, ma nella realtà non è così, e a quanto pare il mondo degli amatori del porno in Italia è composto da 17 uomini over 50, sei ragazzini di 21 anni e da Maddalena e Sambuca—regolarmente registrato all’anagrafe.

La stanza che lo ospita è una sola, grande appena a contenere qualcosa come un palco, un bar e 17 stand dedicati perlopiù al mondo dei club e degli spogliarelli. Di porno c’è poco. Si gira tutto in 7 minuti netti, l’offerta è una sola e l’unico elemento che intervalla le locandine delle serate è il bancone delle sigarette elettroniche, segno evidente che la sigaretta post-coito resta al passo con i tempi. In giro è pieno di ragazze mezze nude montate ad arte su apparati di tette sotto contratto, i locali pagano e loro passeggiano. Il profumo, le gambe, e le braccia sono le stesse che ho trovato durante una mia recente visita in Svizzera, e la varietà è quella di una casa di riposo di Palermo vecchia, con solo donne dell’Est o italiane, per un totale di stima etnica Europa 1 resto del mondo 0. A conti fatti l’unica differenza tra il Sex Festival e un bordello di Lugano è l’attitudine mentale di chi sa di essere lì per fare quello che va fatto. Per il resto il Sex Festival vince tutto in quantità di facce sudate. In fondo alla stanza c’è lo stand più grosso, è rosso e si occupa di fetish. La ragazza incaricata di gestire l’accoglienza dei clienti è in piedi e aspetta che qualcuno la interpelli, ma non succede. Prima di vedere qualcosa dobbiamo tornare un po' di volte, e alla terza un uomo mascherato prima si spoglia e poi comincia a leccarle il piede. La scena mi entusiasma, ma fino a un certo punto. A destra c’è il primo privé, all’ingresso ci sono salatini e patatine, lo stand è quello del Club Les Folies, ex casa di produzione oggi agenzia di spettacoli costretta dai tempi a fare un po' quello che vuole il mercato. Lo spettacolo in programma è il lesbo show. L'unica volta che ho provato a entrare in uno strip club avevo 16 anni e il buttafuori ha riso di me e dei miei amici (uno era in tuta). La stanza è piccola ed è ricavata da due teli neri. Ci sono otto sedie e in fondo c'è un palchetto rosso illuminato da una fila di luci molto poco in regola. Ci saranno 40 gradi, sudiamo noi e sudano le ragazze. Perfetto. Lo spettacolo inizia. I nostri compagni di privé sembrano divertirsi e infilano dita come fossero piccoli avventurieri curiosi. D’altra parte il privé si paga, e se non ti lecchi le dita te lo godi è meglio che te ne stai a casa. Per quanto ci riguarda c'è qualcosa che non va. Ogni due minuti le ragazze pestano qualcosa e si chiedono scusa, poi ridono, e poi ricominciano. La scalata erotica dura una decina di minuti, e alla fine finisce lì, con un applauso. Una delle due mi ha chiesto di darle un bacio, io ho rifiutato e lei ci è rimasta male. Non so se sia stato il caldo o le sedie appiccicose, ma dal privé sono uscito ancora più convinto che il porno sia pensato per restare a distanza di schermo, e che la realtà è uno schifo proprio come in Matrix. Tra i tantissimi presenti ci sono anche gli organizzatori dell'evento. Massimo è uno di questi e nei suoi occhi vedo tanta tristezza. Mi spiega che il tempo del Mi-Sex è finito e che è ora di andare avanti. Il Sex Festival è la risposta. L’idea è quella di offrire alle nuove generazioni quello che vogliono, che è ben diverso da quello che volevano una volta. Di cosa si tratti esattamente non lo capisco. Lui insiste parlandomi dei privé, del contatto fisico e delle perversioni. Io resto dubbioso. Poi capisco di cosa parla: nostalgia. Il problema di Massimo è il passato, i giorni d’oro, i trionfi, i soldi e Riccardo Schicchi. “Senza di lui non è più lo stesso,” e come lui nessuno mai. Quando Massimo parla di Riccardo gli trema la voce e a quel punto capisco che l’escamotage dei prive è l’esca con cui ha convinto gli sponsor a pagare quello che gli sta veramente a cuore, una retrospettiva dedicata a Riccardo e a 16 dei suoi migliori film come Banane al cioccolato, L'uccello del piacere ovvero l'uccello della felicità, Il vizio di Baby, L'ingordigia di Ramba e Gli esami orali delle collegiali.

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E a me la presa di posizione critica sull’arte pornografica gasa tantissimo. Mi immergerò in una stanza buia circondato da estranei dalla mano bagnata, staremo lì delle ore, insieme, e proveremo a sfidare l’ignoto e ad andare oltre i tre minuti per cui i film porno sono stati progettati. Sarà bellissimo e non vedo l’ora. Penso a tutto questo mentre Massimo continua a parlare, fino a quando si interrompe e mi dice che “causa problemi tecnici la retrospettiva non verrà trasmessa." E io mi fermo, e una parte di me piange, ma in silenzio. Da lì in poi perdo il senso del restare al Sex Festival e cominciamo a girare a vuoto in uno spazio più profumato della Rinascente. Arriviamo davanti al palco e ha inizio un contest che coinvolge chi guarda (qualcosa tra i sette e i nove avventori) e chi partecipa (in due), che viene invitato sul palco per calarsi i pantaloni e sottomettersi alla madre di tutte le torture: accettare di salire su un palco in cambio di un pompino e ritrovarsi in mutande con una ragazza che non può toglierle per legge. È il contest del chinotto al coperto, le mutande bianche la fanno da padrona e il maschio italiano viene messo alla prova per testarne la prestanza. Pompinella è la regina dello show, ha 22 anni e all’attivo un solo film porno, “ma deve ancora uscire.” Io la guardo e capisco perché il mainstream funziona poco. Oggi c’è Sara Tommasi, il sex tape di Belen e il girato di Paolini e le sue capacità coprofaghe. Le case di produzione italiane una volta erano un cinquantina e adesso si sono ridotte a meno di dieci. In più c’è la pornotax, che è un po' come l'Imu con più sesso e meno sportelli delle poste. E da questa situazione non scappa nessuno, nemmeno il Festival. I DVD sono relegati a un angolo del negozio e sono messi in scatoloni di cartone con offerta 2 X 3. Il resto è nelle mani dei sex toys, un prodotto il cui insuccesso nella vendita online è legato alla formula ‘spedizione in giorni feriali’. Tolta quella i negozi dovranno inventarsi altro. Pausa sigaretta. Prima dell’uscita ci sono Valentina e il Conte Max. Occupano lo stand del massaggio erotico e nella loro offerta c’è il ‘conosci una pornostar’. La pornostar c’è ma io tiro dritto. Purtroppo per il Conte il mercato dei massaggi è decisamente saturo—o quello o la scelta delle sue ‘ragazze’— e la sua unica fortuna è quella di trovarsi dove la gente esce per fumare. All’esterno la magia del Festival diventa silenziosa, e l’ambiente è popolato di sguardi bassi e persone che bisbigliano, da sole. Lì non parla nessuno. La sigaretta funziona come finestra sulla realtà di una moglie a casa che se ti vede ti prende a schiaffi e sull'imbarazzo di chi è rimasto in camera a sognare il sapore del piede della ragazza con il vestito rosso. L'offerta riprende al piano di sopra, pavimento nero e teli neri piazzati un po' qua e là per fare ambiente. Di sopra c'è Valentine Demy. Valentine è qui per i provini, lei è il provino, e per passarlo devi averci a che fare. Valentine è nel settore da 50 film e del passato ha un ricordo malinconico. “Adesso non si guadagna più niente, prima era diverso, per il mio primo film ho preso 50 milioni, adesso le ragazze lavorano per 400 euro a scena.” Verso l'ora di cena il Festival offre una finestra politica e una ragazza sulla trentina ricoperta di piume e paillettes sale sul palco e urla "Viva gli uccelli e viva le passere di tutta Italia." L'effetto è quello di un cucciolo di foca in cerca della mamma, e per un attimo dimentico Schicchi, ma poi ci ripenso.

A conti fatti dal Sex Festival ci sono passati 160 paganti in due giorni, una cosa come 7,2 persone l’ora. Dovevano pure annoiarsi molto, perché alla fine di tutto è arrivata Maurizia Paradiso che è saltata oltre il bancone, ha picchiato il vecchio cassiere e si è presa l’incasso. Io però non c’ero più, ero a casa e guardavo un film di Riccardo Schicchi.

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