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Il V-Day non è più quello di una volta

Siamo stati a Genova al terzo V Day, sei anni dopo la sua prima edizione. Ecco cosa abbiamo visto.

È l'8 settembre 2007 e a Bologna Grillo capisce che la gente non vuole solo comprare biglietti dei suoi spettacoli. Non bastano più le campagne per acquistare il latte direttamente dagli allevatori, o quelle per rivoluzionare il mondo dei detersivi con le biopalle. Vogliono di più, vogliono le stanze del potere, che prenda il comando di tutto il paese.

Sono passati sei anni da quel primo V-Day, e otto mesi dalle elezioni che hanno portano il M5S a essere la terza forza del Paese. E dopo gli ultimi tempi caratterizzati dalle pesanti sconfitte alle regionali in Friuli, Trentino e Basilicata, le polemiche settimanali sulla direzione politica del partito da parte di diversi parlamentari e il nuovo confronto elettorale che si avvicina, Grillo ha deciso bene di riproporre il format per serrare le fila e ridare direzione al proprio Movimento.

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E deciso è il giusto modo di descrivere il controllo granulare che viene calato dall'alto da parte di Casaleggio & Grillo. Tutto ciò che accade in piazza passa da loro due, spesso le uniche persone a conoscenza di quello che sarà il programma della giornata. Entro infatti nei gazebo posizionati all'ingresso della piazza per permettere ai parlamentari e senatori di confrontarsi con l'elettorato e chiedo a diversi di loro informazioni sulla giornata, ma nessuno mi sa rispondere. Non sanno perché qui, perché oggi, nessuno di loro ha organizzato niente. Hanno ricevuto solo una mail con un giorno e un orario in cui presentarsi, e sono arrivati.

Nessuno di loro, inoltre, sale sul palco per proferire parola, o esprimere la propria opinione su possibili sviluppi del Movimento. Gli unici autorizzati sono Casaleggio, che rivendica il proprio essere "populista" con lo stesso carisma e la presenza scenica del discorso del festeggiato a un pranzo di prima comunione, gli amici intellettuali—Dario Fo, emozionato all'idea che Dario Fo sia presente—gli amici cantanti, una selezione definita senza alcuna ironia "il meglio che la Liguria abbia offerto alla musica," con Francesco Baccini, Cristiano De Andrè e i Meganoidi—e ovviamente Grillo stesso.

Il suo ingresso è differente rispetto alle altre occasioni in cui l'ho sentito parlare. Ci sono gli applausi e le urla dei fedelissimi in prima fila, ma non c'è l'ovazione che ho sentito a Piazza Duomo lo scorso 19 febbraio. Quando un cordone di decine di persone l'ha dovuto separare al suo arrivo dalla folla che acclamava il suo nome da ore e desiderava soltanto osservarlo da vicino, stringergli la mano, ringraziarlo di esistere.

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Qui a Genova preferiscono zittirsi in fretta per sentire cos'ha di nuovo da dire. "Guardate lì c'è uno spazio vuoto di 3mq," è la prima cosa che urla. "Sicuro il TG1 farà un servizio affermando che non c'è nessuno!" Applausi. Risate. Il vittimizzarsi è uno stile comune e condiviso fra tutti i membri del M5S: dai leader ai parlamentari fino ai militanti. Permette loro di sentirsi persone importanti e quindi temute e perseguitate perché portatrici di una "verità scomoda". E il fatto di credere di avere tutti contro automaticamente convalida ogni tipo di teoria uscita dal movimento.

Queste sono le persone che hanno riempito la piazza in cui sto. Sono per la maggior parte quaranta-cinquantenni, vestiti come ultras in trasferta con i colori della squadra ben in vista ovunque e accompagnati dagli amici della birretta del venerdì sera. Spillette, bandieroni a sottolineare le città di provenienza, cappelli, tshirt. Sono tutti brandizzati. E quando non si complimentano a vicenda per il merchandising rimangono fissi sul proprie tablet e smartphone. Non riescono a vivere il momento, preferiscono invece collegarsi alle dozzine di dirette streaming sperando di ritrovarsi e riconoscersi. In ogni singolo momento del V-Day puoi vedere qualcuno far partire l'app fotografica del cellulare e poi roteare di 360° per registrare tutto ciò che li circonda.

C'è anche una signora sui sessanta che taglia la folla con un cartello tenuto in alto. Lancia un allarme incomprensibile fatto solo di cifre e vaffanculo, a proposito di una non meglio precisata situazione economica a Venezia. Un signore sui quaranta con un cappuccio di Valentino Rossi la ferma per farle una foto. "La posterò su Twitter," le dice prima di vederla andare via soddisfatta. E poi fa lo stesso con tutte le altre persone e i loro cartelli che annunciano la fine dell'umanità.

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Grillo dal palco urla contro la semantica che ha spogliato le persone dal riconoscere il significato delle parole. Pungola in particolare "discarica", diventato "termovalorizzatori", quindi agenti di morte. Nel 2007, proprio nel periodo del primo V-Day, l'ex capogruppo M5S al Senato Vito Crimi aveva invece una visione più bucolica dei termovalorizzatori.

"Come sapete sto a Brescia e qui c'è un termovalorizzatore; soppesando i pro e i contro, io sono a favore, e vi dico come funziona qui. Il Termovalorizzatore è una mega struttura di colore celeste che ben si armonizza sullo sfondo del cielo della bassa bresciana, i rifuti vengono bruciati lì dentro e si vede un piccolo filo di fumo che esce dall'alto comignolo. Con il calore generato dal termovalorizzatore viene alimentata una centrale termoelettrica che rende Brescia autonoma dall'enel. Secondo me è un'ottima forma di ottimizzazione delle emissioni nocive."

Questo ovviamente lo puoi pensare prima, anche se è completamente all'opposto di ciò per cui ti sei fatto eleggere ora, perché quando CasaGrillo detta la linea puoi solo allinearti o aspettare la votazione per la tua espulsione. Ma alle persone che si sono strette in piazza questo importa poco. Anche le tirate contro i parcheggi o le banche non riscuotono molto successo. Solo quando Grillo parla di morti, di fare fuori questo o quello e di dare l'estrema unzione ai partiti si registra un sussulto fra il pubblico. Ogni tanto partono dei "vaffanculo" dalla folla per punteggiare il discorso. Provo anche io per vedere l'effetto che fa, urlo "Fanculo i parcheggi! W Beppe!"; e un tizio dietro mi appoggia la mano sulla spalla e annuisce. Non mi accadrà mai più nella vita.

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Ma è alla richiesta di impeachment per il Presidente Napolitano che la piazza esplode. Fischi e urla, ululati. "Mandate via il massone di merda!" si sente. Diventano rossi e saltano su e giù. Sono esasperati. L'unica cosa che li fa più incazzare del nominare un ottantottenne che mantiene un incarico di rappresentanza è quando Beppe dice "Germania".

E dire che, nonostante tutte le prove del contrario, queste sono persone comuni. Ero in fila con loro prima, mentre ordinavano la farinata troppo unta, come tutto a Genova, come anche l'acqua gassata, la copia dell'Espresso e le piante. Nessuno di loro ha cominciato a battersi il petto e a tirare le proprie feci alla cassiera. Hanno mangiato in silenzio, hanno borbottato "quanto olio" e poi sono andati avanti con la loro vita. A volte sembra quasi che Grillo e il M5S siano una scusa per l'annoiatissima medio-bassa borghesia italiana di spezzare la routine della loro piatta esistenza. Come impiegati di banca che la domenica inforcano 40.000 euro di Harley e un giubbotto Hell's Angels per sentirsi "selvaggi e liberi".

Quanto può andare avanti un movimento così? Cosa inventarsi per mantenere il livello di attenzione necessario a sostenere le incazzature di cui hanno bisogno queste persone per non commettere quotidianamente omicidi-suicidi?

Grillo è un performer eccezionale, ma è incapace di creare qualcosa di suo. Di avere una idea, di portarla avanti; deve appoggiarsi sempre a persone più brillanti e illuminate per eccellere e veicolare l'immagine di showman che vuole mostrare agli italiani. È una modalità che si è ripetuta per tutta la sua carriera. Nel 1976 venne scoperto da Pippo Baudo in un locale di cabaret in Sempione a Milano, il Bullona, impegnato a esibirsi ogni sera di fronte a un pubblico a cifra singola che si sentiva respirare. Baudo intercettò il carisma, e la povertà di contenuti, e gli mise subito accanto in RAI i due autori comici più influenti degli ultimi trent'anni in Italia: Antonio Ricci e Michele Serra. Così Beppe Grillo è diventato Beppe Grillo.

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Casaleggio è solo uno dei tanti autori che gli hanno permesso di reiventarsi ogni decina di anni per rimanere rilevante. Prima battutista da cabaret, quindi comico impegnato nella satira softcore che fa inturgidire dallo shock gli spettatori sposati in matrimoni senza sesso di RAI 1, poi stoico profeta viandante che annuncia l'arrivo delle piaghe divine se non ti penti e infine attivista digitale e fanculizzatore di ottantottenni.

È normale per i comici rinnovare il proprio repertorio per sopravvivere. Richard Pryor e Bill Hicks lo facevano ogni due anni mentre George Carlin e Louis CK ogni anno. Beppe Grillo ne impiega dieci.

Il problema è che siamo nella fase calante di questa decade dedicata a internet iniziata con l'apertura del blog nel 2005. I discorsi si ripetono, come anche gli argomenti e gli uomini da attaccare e incolpare per tutto. Con la frustrazione palpabile che ben poco è cambiato, e gli uomini e i luoghi che prima si portavano a bandiera ora ridimensionati o cancellati del tutto, come Pizzarotti e la città di Parma, o la Sicilia. O l'idea di prendersi il Friuli e l'Alto Adige—o quella provincia e regione—fermati al cinque, sei o sette percento.

Anche il corpo di Grillo è ora pesante. Durante i suoi discorsi spesso inciampa e deve ricominciare. Prende tempo per cercare il filo. Si scusa per l'età. È stanco di ritrovarsi nell'ennesima città del suo Reunion Tour a dover ripetere ancora le hit più famose, solo quelle.

Segui Matteo su Twitter: @bknsty. Foto di Davide Pambianchi.

Com'è iniziato:

Beppe Grillo, il comico

Come Grilo e Casaleggio hanno trasformato internet in Rete 4