Música

Altre band italiane che spaccavano negli anni ’00 e che forse avete dimenticato

Qualche settimana fa vi abbiamo offerto un articolo che conteneva un po’ di nomi tosti dell’underground italiano anni Duemila, roba che spaccò molto e a cui non tutti ora continuano a tributare i giusti onori. Del resto è anche comprensibile: non siamo neanche a metà del decennio successivo, e i tempi fisiologici di dimenticanza/revival portano tanti a mantenere una specie di distacco verso quanto si è concluso da poco. Chi è stato autore di sommovimenti sub-culturali all’epoca e ha continuato a darsi da fare (artisticamente o in altro modo) preferisce forse concentrarsi sul presente e fare tesoro di quella storia per alimentare ciò che sta facendo ora, senza farsi prendere da troppe nostalgie. Ma, appunto, lo scopo di riportare a galla quello che fu non è assolutamente starsi a crogiolare in quanto era bella l’Italia alternativa di dieci anni fa, anche perché abbiamo sottolineato più volte quanto le contraddizioni e le complicazioni sorte in quel periodo siano ancora per lo più da dipanare (e nel frattempo ne sono sorte di nuove).

Lo scopo è anzi cercare di mantenere in piedi la coscienza di un continuum tra quello che c’è ora e quello che c’è stato, per offrire magari un po’ di spunti a chi non c’era e certa roba l’ha veramente mancata di striscio. Per cui ecco a voi una seconda infornata di band che dal 2000 al 2010 sono state tra i protagonisti del’italia che faceva bordello nelle cantine, negli squat, nei locali che non ti pagavano, ai festival DIY e nelle situazioni più improvvisate. Gente che si è sgolata e spellata le mani per anni, più per necessità che per interesse, al servizio della propria arte e di un underground che, tra mille casini, viveva e pulsava di energia.

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Blown Paper Bags

Questa è una band che tecnicamente avrebbe pure sforato il decennio che ci siamo imposti come riferimento: questo perché l’ultimo lavoro dei genovesi Blown Paper Bags è uscito nel 2011, ma da quanto ne sappiamo era stato registrato nel 2007 e con una formazione e ridotta all’osso, un terzetto rispetto al quintetto che nel 2005 aveva registrato (con rico dei Uochi Toki al fiscerprais studio) e pubblicato il fichissimo Arm Your Cameras (il titolo era dedicato al tizio che aveva tirato il treppiede in testa a Berlusconi). Devo ammettere di non avere troppe informazioni su di loro, se non che prima dei BPB avevano militato negli altri progetti come Lo-Fi Sucks!, Cary Quant, A New Angel Fades, Tupatipe e Protected By The Local Mafia… Tutta roba che fu forse oltre la mia apertura alare o prima del mio tempo. Ad ogni modo, i nostri eroi suonavano un misto indiavolato del funk-punk e dell’electroclash che dominavano ai tempi, e di una certa tendenza ad allungare e inacidire con contorno di krauti: un po’ Erase Errata, per capirci, ma più storti e rumorosi. A me ai tempi piacevano molto di più di qualsiasi cosa fosse uscita su DFA e mi ricordo che la loro “Panda Gang” mi faceva decisamente scapocciare. All’album seguì uno split con gli americani Experimental Dental School nel 2007 e, appunto, il secondo LP Back To Square Three, sempre funkoso ma meno rumoroso e più psichedelico. Hanno un bandcamp attivo, ma per qualche motivo il loro grandissimo primo album non c’è. Però su MySpace c’è ancora “Panda Gang”! Se solo funzionasse…

HiroshimaRocksAround

Ok, qui forse stiamo un tantino barando, nel senso che l’ultima parola sulla band non è per forza detta. Oltretutto parliamo di una band nella quale ha militato per tantissimo tempo anche il nostro Demented Burrocacao al sax e che effettivamente, nonostante non pubblichi dischi dal 2010, ha mantenuto l’attività live ancora per parecchio tempo (tipo fino a un paio d’anni fa), e non è escluso che si rifaccia viva presto. Ma non accusatelo di conflitto d’interessi perché non sa nulla di questo articolo. In realtà mi interessa decantare le lodi della primissima formazione della band, quella che la fondò intorno al Duemila a Crotone (per poi spostarsi a Roma: Toni “Ovunque” Cutrone alla batteria e qualche strillo, Ndriu Marziano a voce e chitarra (in questo momento stanno purtroppo lottando contro le istituzioni per riprendersi il DalVerme) e Vincent Filosa ad altrettanta chitarra e parecchia più voce. Facevano bordello, tanto e in maniera piuttosto “scorretta”. Avevano incorporato sia il blues marcio degli U.S. Maple che la mongoviolenza degli Arab On Radar con pure il “grasso” dei primi Melvins. Se siulla carta vi pare una bomba, è perché lo erano anche live e su disco. I loro primi live che mi capitò di vedere me li ricordo proprio come una cannonata assordante, mentre i primi ascolti dei loro due album Isolation Bus Blues del 2001 (registrato da Angelo Bonanni, allora nei Buzzer P) e HRA666 del 2005 erano già stati parecchio disorientanti: pezzi brevissimi e produzione caotica; voci che parevano litigare tra loro, campionamenti a caso e stortissima batteria in primo piano. Su Bandcamp c’è tutta la loro discografia: dategli tutti i vostri soldi.

Uncode Duello

Anche in questo caso non mi pare ci sia mai stato un annuncio ufficiale della chiusura di questo progetto, ma non credo ce ne fosse bisogno, dato che i due ploistrumentistici protagonisti sono stati per tutta la loro carriera impegnati ad attraversare assieme progetti dalla vita magari breve ma intensa (tipo A Short Apnea con Fabio magistrali alla batteria, o i pionieristici Six Minute War Madness) e altri dalla vita molto lunga e fondamentale (come i Tasaday). Oggi fa strano pensare che Paolo Cantù e Xabier Iriondo si siano un tempo avvicendati alla chitarra solista degli Afterhours, che il primo aveva co-fondato e che il secondo accompagnò al successo, ma comunque… Delle tante esperienze fatte insieme, Uncode Duello era forse la più “libera” e imprevedibile: di base si trattava di un non-rock completamente improvvisato e furibondo, sospeso tra ricerca tonale ed espressività distruttiva, il cui DNA noise si tiene in piedi grazie a una tecnica improvvisativa molto affilata. Tre dischi (due album e un EP) usciti tra , uno più incasinato dell’altro ma tutti e tre dotati di una lucidità strumentale che li faceva risultare molto più “solidi”. Se ve ne dovete procurare uno, che sia il secondo Ex Æquo, edito ovviamente dalla venerabile Wallace. La band aveva anche una sorta di quartiere generale in Sound Metak, punto di ritrovo e boutique di strumenti bizzarri, pedali artigianali, dischi e stranezze musicali assortite gestito dallo stesso Iriondo, in cui quasi tutti i sabati pomeriggi era possibile godersi bei concerti.

Franklin Delano

Erano di Bologna, ed erano una di quelle band in cui è transitata più gente di quanta abbia spazio (e voglia) per elencare qui. Di fatto il nucleo principale della band era composto dai chitarristi-cantanti Marcella Riccardi e Paolo Iocca, che sulle prime (nel 2004) formavano un trio con Vittoria Burattini alla batteria, fresca dello scioglimento dei Massimo Volume. La loro biografia ufficiale archivia il loro primo lavoro All My Senses Are Senseless Today come un demo. Cosa molto stramba considerato che fu pubblicato dalla label sarda Zahr e che già presentava un suono maturissimo e incisivo. Anzi, l’asprezza di quel primo disco non riuscì a conservarsi nel pur bello secondo album Like A Smoking Gun In Front Of Me (pubblicato da quel Madcap Collective dalle cui ceneri nascerà poi Boring Machines). Suonavano una specie di folk rock, oscuro ma senza fronzoli mortiferi, imparentato sia con certo alt-country sia con l’inquietudine spigolosa degli Slint, dilatato psichedelicamente quanto basta, un po’ alla maniera di quanto contemporaneamente stavano facendo i Jackie-O Motherfucker o i primissimi Akron/Family. Dopo un terzo disco (Come Home, del 2006), registrato a Chicago con Brian Deck dei Red Red Meat, i due fondatori decisero di sciogliere il gruppo e fondare il nuovo progetto Blake/e/e/e. In seguito alla chiusura pure di quest’ultimo, la sola Marcella iniziò a sperimentare da sola a nome BeMyDelay, sfornando gran belle cose. Paolo invece si è dato all’elettronica come Spire e fa parte di Random Numbers Piccola nota autobiografica: ai tempi, adolescente coglione quale ero, non li cagai perché il loro nome mi pareva stupido e mi sapeva di indieschifo. Più tardi ho imparato ad amarli parecchio, ma il nome continua a sembrarmi stupido.

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