Il 17 gennaio 2015 sono tornato a Milano dopo anni che non ci venivo perché ero incuriosito da un concerto. La città non la conoscevo per niente, c’ero stato tipo una volta in gita scolastica alle elementari, altre due volte da adolescente a bighellonare per il centro e un paio di volte a suonare: non sapevo distinguere il nord dal sud e non sarei stato capace di trovare i Navigli neanche con un bastone da rabdomante. Il concerto era in una palazzina occupata, i gruppi che suonavano erano fichissimi e l’atmosfera era incredibile: si aveva l’impressione di essere in una zona veramente anarchica, con gente di ogni provenienza e ogni identità libera di prendere spazio, fuori dalla stanzetta del centro sociale, attraverso la strada e dentro il parchetto di fronte (oggi tristemente delimitato da una recinzione).
Quando, sei mesi dopo, ho iniziato a lavorare per VICE e a venire a Milano tutte le settimane, la mia prima preoccupazione è stata di ritrovare quel posto. Così ho scoperto che si trovava lungo viale Monza, nella parte Nord-Est di Milano, in una zona in cui tanto per cominciare sembravano abitare tutte le persone interessanti che conoscevo e si tenevano concerti e attività varie sempre con il mio metodo preferito dell’informalità e dell’autogestione—ma su cui allo stesso tempo giravano storielle dell’orrore di criminalità e violenza.
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Poco tempo dopo una mia amica mi raccontò che lei e altre due o tre persone avevano creato la pagina Facebook Yolo in NoLo perché volevano qualcosa per tenere aggiornati gli amici sulle attività del quartiere per il quale avevano inventato questo buffo nome, ironicamente ispirato a SoHo. Solo che NoLo gli è sfuggito di mano. Il seguito della pagina crebbe esponenzialmente e velocissimamente. Poche settimane dopo il post che, in modo innocente, celebrava “già 108 like!”, NoLo era su Google Maps e su Internet ne parlavano tutti.
Da quel momento North Of Loreto è diventato una certezza della Milano post-Expo, un quartiere visto come esempio di una riqualificazione virtuosa in cui la città hipster incontra quella reale, dove su via Termopili, che il martedì puzza di pesce, puoi farti uno spritz nel bar storico con i vecchietti del quartiere o una birra artigianale nella nuova taproom, oppure puoi prendere una Moretti al bangla e portartela nella galleria d’arte dove c’è una mostra di fanzine fotocopiate.
Tra i sociologi c’è già chi individua i segni della gentrificazione. È facile immaginare che cosa succederà a un’area di Milano così richiesta e così di moda: mentre gran parte della sua popolazione si gode i suoi aspetti più vitali e ruvidi, sporcandosi le mani nei suoi luoghi e vivendo in maniera attiva l’aggregazione e la creatività che ci si respira, sempre più persone vogliono consumare NoLo, colorarsi dei toni caldi della sua luce riflessa, comprarsi l’illusione della vita creativa senza creare un bel niente.
Chi invece qua ci vive e ci crea è Davide Bassi, conosciuto ai più come Bassi Maestro, che insieme a pochi altri eletti ha dato il via alla lunga e travagliata stagione dell’hip-hop italiano, trascinandolo attraverso la sua esistenza underground e accompagnandolo fino all’emersione nella cultura popolare del nostro paese. In trent’anni di carriera, il DJ, producer e rapper ha fatto tutto: dischi epocali, collaborazioni con i migliori della scena, programmi di culto in radio e su internet, ha addirittura partecipato al Festival di Sanremo. Era giunto il momento di una svolta.
A maggio 2019 è uscito il suo ultimo progetto, una cosa completamente nuova che a partire dal nome si lascia alle spalle la storia di Bassi Maestro e prende una strada nuova: North Of Loreto. Se a un primo impatto può sembrare una virata netta dal suono-Bassi, anche semplicemente per la totale assenza di rap sulle basi, in realtà si tratta di un ritorno alle origini: funk, Detroit-sound, boogie—in pratica il suono anni Ottanta che, campionato, scratchato e rimiscelato, ha fatto da fondamenta per la musica hip-hop per come la conosciamo.
Ho incontrato Bassi sulle strade di NoLo dietro la promessa di una gita turistica nella sua zona accompagnata da un DJ set itinerante, fatto con un piccolo giradischi portatile giocattolo. Siamo partiti dai muri pieni di graffiti dietro il mercato di via Zuretti: “Supa MC della Cricca dei Balordi viveva proprio qua, alla fine di via Venini, già negli anni Novanta. Ci beccavamo tutti a casa sua, andavamo nella pizzeria sotto casa, al bar Tender che ai tempi si chiamava Los Hermanos… insomma, nel corso di vent’anni abbiamo davvero visto la zona cambiare”. Il suo studio Press Rewind è lì dal 2008, quando nessuno pensava a nomi esotici e hip.
Ai tempi era un quartiere molto crudo, mi racconta Bassi. In piazza Morbegno di sera gli spacciatori bloccavano la strada, e d’estate non c’era nessuno in giro. “Il vero cambiamento non è arrivato con le aiuole rifatte o la rotonda, ma quando la gente ha iniziato a investire sull’aspetto sociale. Lì s’è creato un senso di comunità e di appartenenza per il quartiere”. È stato questo che lo ha spinto a creare una serata di musica senza impegno, un giovedì sera al bar sotto casa, non calcolato, con il DJ “non sul palco, ma tra i tavolini del bar, come succede a Berlino”. È la serie The Mixtape, che si svolge al GhePensiMI, uno dei locali-simbolo della “nuova” NoLo.
Attraversiamo il tunnel sotto i binari della stazione Centrale, passiamo davanti allo studio di Bassi e arriviamo in via Venini. Portiamo il giradischi dentro l’enoteca Lu Mieru. Mentre gira il nuovo singolo di North Of Loreto “Cruel Summer“, Bassi mi spiega che la genesi del progetto ha a che fare proprio con quei DJ set. “Avevamo voglia di tornare a fare le serate che piacevano a noi, non quelle che ci venivano richieste. Sarà stato circa sei anni fa in altri piccoli locali in giro per Milano, poi ci siamo spostati al GhePensiMI. Lo spirito era quello di liberarsi dagli schemi, di non sentirsi legati a suonare determinate cose.” La questione della libertà in musica torna spesso nei suoi discorsi. “Per quindici anni ho fatto DJ set in discoteca, ma ho dovuto smettere perché non ce la facevo più. Non riuscivo più a divertirmi, perché l’idea di serata hip-hop in discoteca è cambiata. A me non è mai interessato, per dire, il reggaeton, ma oggi se a una serata hip-hop non suoni il reggaeton è un flop. La mia concezione di rap è quella legata alla black music, non alla musica latina—non so nemmeno come suonarla quella roba, non la conosco”.
Grazie a queste performance settimanali totalmente libere e informali, invece, Bassi ha ritrovato il piacere di suonare la musica che pareva a lui, di rovistare tra le sue migliaia di 45 giri funk, soul, boogie e disco. Non è difficile capire che la musica di North Of Loreto viene proprio da qua. Mandiamo giù “Henny & Gingerale” di Mayer Hawthorne con un bicchiere di vino rosato, e ci spostiamo verso viale Monza.
È la mia parte preferita di questa zona: all’altezza della metro Pasteur ci sono le case occupate di via dei Transiti (e il centro sociale galeotto di cui parlavo a inizio articolo) e lungo il marciapiedi si incontrano in pochi passi pezzi di Cina, India, Perù, Turchia. Più che in qualunque altro luogo del quartiere, qui è evidente la trasformazione in atto: tra i ferramenta e i minimarket, spiccano nuovi ristoranti alla moda mentre i bar strillano sulle lavagne le birre artigianali del mese.
Entriamo nel mercato coperto di via Crespi, un monumento alla tradizione popolare della zona in cui resistono i banchi di frutta, verdura, carne e formaggi vicino a bar frequentati dagli studenti e dai giovani creativi della zona. Ci sediamo a tavola alla Taverna dei Terroni, e ordiniamo porzioni giganti di mozzarella e verdure fresche, che fuori ci sono 40 gradi.
“Questa è una cosa che faccio da tanti anni: nel periodo del primo Crookers Mixtape avevo un progetto parallelo chiamato Mister Cocky, con cui facevo set di roba elettronica. È roba che ho sempre ascoltato, perché la house music di Chicago va a braccetto con l’hip-hop in America, mentre da noi sono sempre state viste come cose separate.”
In effetti il mondo della discoteca, del ballo, e il mondo hip-hop sono rimasti separati a lungo. Tra metà e fine anni Novanta, la scena era un ambiente in cui la gente si immergeva totalmente, da cui non si usciva mai. Bassi ci tiene a ricordare che la cultura personale e la musica che fai sono due cose diverse: “Molti mi criticano dicendo che ho rotto le palle per anni con ‘solo hip-hop’, ed è vero. Io vivevo di quello e ho fatto solo quello per anni. Farlo era come una religione per me, poi a casa mi ascoltavo anche i Nirvana, ma la musica su cui lavoravo era solamente hip-hop, negli anni della sua massima creatività.”
E del resto qualunque fenomeno culturale non ha basi su cui appoggiarsi se le persone che lo alimentano si riferiscono soltanto al suo interno. È come una bolla di risonanza, fenomeno che ha distrutto la consapevolezza e il dibattito politico nell’era dei social media: bisogna allargare la propria base culturale il più possibile perché sia solida. “Per uno come me, con gusti così eclettici, è difficile dare un’identità forte a un progetto. Con North Of Loreto ce l’ho fatta: al di là di alcune influenze italodisco, è un disco inequivocabilmente black, però non voglio darmi limiti. Potrebbe evolversi in una vera e propria band, potrei far uscire un pezzo house puro in stile Chicago 1985. Chissà. Questo è un inizio.”
Tra un boccone e l’altro, traccio un parallelo con Liberato: un altro progetto che prende un suono elettronico che viene da lontano e lo innesta in un contesto specifico e locale. Lui aggiusta il mio tiro su un altro orgoglio napoletano: i Nu Guinea. “Anche loro venivano da un ambiente diverso, quello della minimal berlinese, ma hanno creato un progetto per onorare le loro radici, un po’ per passione e un po’ per gioco, senza calcoli. E hanno trovato un filone d’oro in maniera del tutto indipendente. Liberato invece mi sembra un progetto più calcolato.”
I due progetti hanno in comune il fatto di essere portati avanti da digger che amano scavare a fondo nella storia della musica che amano. “Loro sono più focalizzati con la roba anni Settanta e io con quella più Ottanta, ma ovviamente andiamo molto d’accordo. Il lavoro che loro, insieme al loro collettivo, hanno portato avanti con Napoli Segreta, io l’ho fatto per trovare i sample più originali da mettere nei miei vecchi album. Sono stato in Est Europa, in America a pescare cose gospel mai sentite…” Eppure su North Of Loreto c’è zero sampling. “È stata una sfida, ho voluto fare proprio l’opposto di quello che avevo fatto fino a quel momento. Mi sono detto: suono tutto—e deve suonare tutto coerente con quell’immaginario. Se avessi usato dei sample sarebbe stato troppo facile.”
In un’epoca in cui abbiamo a disposizione più o meno tutta la storia della musica senza dover fare alcuno sforzo, mi sono spesso chiesto che senso abbia fare musica dichiaratamente retrò come questa. Voglio davvero ascoltare un clone di una cosa fatta negli anni Ottanta quando ho accesso diretto alla musica anni Ottanta? Secondo Bassi, è una questione di specificità. Da come ne parla, in North Of Loreto ha sicuramente inserito un livello di lettura “per esperti”, gente che come lui ha una conoscenza enciclopedica di certa black music e fra i solchi potrà trovare esattamente quella sfumatura di suono che ha amato in quei particolari album. È un disco quadrato, solido, che non si perde in deviazioni particolari, ma resta sui binari di un sound ben definito.
E del resto in questo modo si stabilisce un contatto più profondo con il proprio pubblico, cosa importante in un momento in cui il rap è il genere più ascoltato—e quindi il più corrotto. “Io vengo da un mondo dove stai sempre a pensare alle visualizzazioni. È pieno di gente che fa musica che non le piace, lavora con gente che non le piace, partecipa a eventi che non le piacciono. Piuttosto che fare musica così, vado a lavorare in banca e suono nel tempo libero.”
La conversazione prosegue, aspettando il conto, parlando dell’importanza della genuinità nella musica. Secondo Bassi è fondamentale ed è anche il segreto del successo: “Guarda Max Pezzali,” mi dice. “Fa musica di merda, ma non c’è un briciolo di artificio in lui. Per quello funziona così bene. Se ti riascolti ‘Come mai’, ti rendi conto che sta roba un grande autore che decide di fare una marchetta non sarebbe mai capace di scriverla. E la forza del rap è che è ignorante, ignorante ma genuino.”
Prima di andarcene ognuno per la nostra strada, ci fermiamo per un caffè a Bici & Radici, in piazza Morbegno. C’è il tempo per un ultimo disco e per soddisfare la mia curiosità sulle playlist lo-fi house che imperversano su YouTube. C’è un punto di contatto tra di loro e North Of Loreto? “L’ho sentita quella roba,” dice Bassi, “ma preferisco cose prodotte con più consapevolezza, con un senso. La grande differenza è che chi fa queste cose non va alla fonte, quindi cerca di dare un sapore anni Ottanta ma con i suoni sbagliati. Per me è più facile perché ci sono cresciuto, ma credo che sia importante fare uno sforzo di ricerca. Queste cose hanno più o meno la stessa funzione di ascoltare i suoni della natura.”
Ci lasciamo con un amaro al GhePensiMI, tornando a dove North Of Loreto ha in un certo senso avuto inizio. Parliamo della risposta del pubblico: è stata dura per i fan di Bassi accettare una svolta in cui il rap è soltanto un vago retrogusto? “All’inizio avevo paura che non avrebbero capito, ma suonando in giro mi sono reso conto che il pubblico ha capito bene questa storia. Nessuno mi chiede di suonare le mie vecchie hit, ballano e basta.” Interviene Matteo, uno dei gestori del bar: “Al MI AMI ha suonato subito dopo Ensi, quindi era davanti a un pubblico prettamente hip-hop. Eppure ho visto tutti ballare come pazzi, senza farsi troppe domande.” È la forza di una musica che si lascia alle spalle la struggle e il messaggio e punta all’esaltazione, alla gioia e anche, perché no, a un piacevole senso di nostalgia—più o meno le stesse sensazioni che ti dà passeggiare per il tuo quartiere quando è pieno di vita. È l’altra faccia della strada.
Tutte le foto sono di Giuseppe Romano. Seguilo su Instagram.
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