Bernie Sanders è più a sinistra di te

Sostenitori di Bernie Sanders a New York, gennaio 2016. Foto di Jackson Krule

La lista dei motivi per cui Bernie Sanders non potrebbe in nessun ragionevole modo diventare presidente degli Stati Uniti è piuttosto lunga, e comprende elementi vissuti dall’elettorato americano con la serenità con cui io ho vissuto la gastroscopia. Due su tutti, la vecchiaia e il socialismo.

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Quest’ultima cosa, in particolare, è abbastanza disorientante per il pubblico americano. Soprattutto perché la parola “socialista” non è stata usata da qualche commentatore per insultare Sanders, ma è stata proprio pronunciata da lui in persona per definire se stesso. In effetti Sanders è il primo politico americano eletto dal dopoguerra a usare ad alta voce la parola “socialismo”, oltre che a rinunciare all’uso dei SuperPAC (soldi provenienti dalle corporation) per finanziare la sua campagna elettorale e ad avere un evidente problema di natura tricologica.

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Se ne parliamo ora, è perché dopo il primo turno di votazioni in Iowa la sua faccia rugosa e vetero-stalinista è più o meno ovunque: Bernie non ha vinto (ha pareggiato), ma la stampa ha autonomamente deciso che si tratta di un trionfo. Se ne parliamo qui, su VICE Italia, invece, è perché il suo caso potrebbe insegnarci qualcosa, o quantomeno ricordarci che ci sono paesi in cui quell’evento lontano e naturalmente imprevedibile chiamato “elezioni” può ancora verificarsi.

La prima cosa da dire di Sanders è che parte della sua immagine—a cominciare da l’accento molto marcato, la postura gobba da burocrate e lo sguardo invasato—non corrisponde alla perfezione da fustino Dash robotizzato che in genere avvolge i candidati alle presidenziali.

Quando lo scorso aprile ha annunciato la sua candidatura, Sanders ha causato la più grande risata collettiva mai registrata sulla crosta terrestre. Ad esempio, partiva da uno svantaggio di 40 punti (quaranta) su Hillary Clinton. E questo non solo per una questione di popolarità della sua figura: Clinton è l’erede designata del mandato di Obama, cioè di un centrismo abbastanza innocuo se paragonato alle piaghe bibliche evocate da Sanders come sanità e iscrizione gratis alle università pubbliche per tutti.

Tuttavia proprio il fatto che Sanders fosse così disperatamente pazzo ha causato una sorta di interesse morboso nei media, spaventati ma allo stesso tempo ipnotizzati dal suo personaggio; un po’ come quello che qui è successo quando sono cominciate a uscire le dirette streaming del Family Day.

Nel suo caso però, e similmente a quanto era successo a Obama nel 2008, è stato un pachidermico star system a decidere che era proprio il caso di dare un po’ di visibilità a questo buffo vecchietto. Così è cominciato un periodo di copertine su Rolling Stone, imitazioni al Saturday Night Live, pranzi e discussioni con Killer Mike, concerti insieme ai Vampire Weekend, lettere collettive in suo supporto che hanno Thurston Moore fra i firmatari, e un tifo più o meno generalista da parte di tutto il Twitter immaginabile e oltre.

Il successo di Sanders su Internet non è assolutamente un elemento secondario— specie in una nazione come gli Stati Uniti, dove spingere a un qualsiasi coinvolgimento politico la fascia più giovane di elettori è una specie di pazzo sogno. Internet, da parte sua, ha reagito con rapidità ed efficacia non solo nel solito senso di rimasticazione ironica e immediata di contenuti più ampi, ma mettendo in moto un meccanismo di restyling al contrario, applicando cioè un’estetica più veloce e amichevole a categorie ideologiche abbastanza estranee all’elettore americano medio. Diciamo dei piccoli tutorial di socialismo applicato.

Certo, magari non tutti i risultati del popolo di internet sono così riusciti.

In qualche modo, comunque, l’aver creato un vero movimento giovane e popolare negli Stati Uniti è già un risultato abbastanza storico per il Partito Democratico, visto anche il significativo impegno economico che questo movimento ha generato. Per Bernie le corporation sono l’incarnazione del male, e di conseguenza la sua campagna non ha accettato da subito finanziamenti provenienti da grandi aziende. Nonostante questo, nelle prime 24 ore dalla candidatura ha raccolto un milione e mezzo di dollari, e ora ha raggiunto circa 28 milioni.

Il risultato di questa mobilitazione è che Bernie Sanders è più o meno ovunque a sbraitare un discretamente aggressivo anti-capitalismo nella nazione più cicciona del mondo. Lungi dallo spaventare l’elettorato, però, Sanders viene percepito come portatore di un’autenticitàbombarola in grado, forse per la prima volta, di spaccare un sistema dall’interno. In realtà si tratta di un fenomeno generale di questa campagna, visto che questo è un discorso tranquillamente applicabile anche a Donald Trump. Anche nel suo caso, gli elettori di riferimento sono affascinati dal suo essere un elemento esterno all’establishment politico e promotore di istanze politiche parecchio estreme.

Trump viene percepito come un elemento di autenticità e novità assoluta nel panorama politico—caratteristiche che, d’altro canto, sono anche di Sanders. Tutti e due sono partiti da una candidatura che nei primi momenti vantava la credibilità e il rispetto di una docufiction di Rai Uno, e successivamente sono riusciti a costruire una narrativa con un forte senso di rivalsa per chi li segue, incentrata sull’idea di “riprendersi il Paese.”

Una campagna così radicalizzata sul personale rende dunque ancora più credibile una vittoria che affondi i piedi nel “momentum”, in quel clima di hype che si crea attorno a uno dei candidati, come sta succedendo a Sanders.

Il caucus in Iowa è stata la prima vera chiamata alle urne: l’Iowa è importante perché apre il giro delle primarie, seguito dal New Hampshire, e quasi nessun presidente è stato eletto senza aver vinto in uno dei due distretti. Sanders partiva da uno svantaggio iniziale considerevole di venti punti; ciononostante, è approdato a un pareggio virtuale che da un lato è suonato come una scudisciata abbastanza feroce per Clinton, mentre dall’altro ha probabilmente ipotecato la campagna in favore di Bernie.

Ovviamente, questa “personalizzazione” della campagna è una cosa che ha dei risvolti piuttosto inquietanti vista da una prospettiva più tipicamente europea; ma è anche il tipo di competizione politica verso cui l’occidente si sta autonomamente spostando, e suppongo non si possa fare granché per evitarlo.

Questo è anche uno dei motivi per cui il destino crudele si accanisce ancora con Hillary Clinton, che nel 2008 si è vista scippare il gagliardetto della diversità dal cool black guy, e che a questo giro era abbastanza convinta di essere lei il cool black guy. Invece, Clinton si ritrova improvvisamente anacronistica e brutalmente sfottuta per cose che fino a due ore fa erano normalissime—come l’avere uno stuolo di professionisti che si occupa della tua immagine, o il cercare cercare di mantenere un profilo il più possibile mainstream e inclusivo verso gli elettori. Ovviamente anche lei ci mette del suo, come nel caso dello scandalo delle email cancellate; ma, effettivamente, è una posizione in cui non poteva prevedere di trovarsi.

Foto di Jackson Krule.

In conclusione, se mai Bernie Sanders vincesse le elezioni americane, questo non potrebbe che riflettersi positivamente sulla politica economica dell’Unione Europea, sulla gestione della politica internazionale e su mille altri infiniti e disfunzionali aspetti della convivenza umana che ci riguardano collettivamente. Ci sono dei limiti evidenti nel suo discorso politico—come ad esempio la poca chiarezza sul controllo delle armi—ma è innegabile che ci sia una cifra radicale piuttosto pronunciata che, fino al giorno prima della sua candidatura, sarebbe stata considerata fantasiosa nell’ipotesi migliore.

Eppure in qualche modo accade che un fenomeno di rottura sia arrivato ai vertici delle istituzioni statunitensi, qualificandosi come primo, concreto ed evidente avanzamento della “sinistra” verso categorie di pensiero rivolte verso il futuro e non logorate da secoli di fallimenti storici o dialettici. Tutto ciò succede nel luogo in un certo senso più lontano, tradizionalmente e geograficamente, dalla storia e dal pensiero socialista.

Ovviamente ogni tipo di ottimismo ha un limite—cioè (sorpresa!) noi stessi. Mentre una corrente di novità effettiva prova a imporsi all’attenzione mondiale elaborando proposte, discipline economiche, suggestioni, noi ce ne stiamo qui, in Italia. Ci godiamo il ritorno della Democrazia Cristiana dalle tombe, felici di constatare che nel frattempo questa ha comprato numerosi frigoriferi Smeg, ha cominciato a seguire il tennis e House of Cards, e la tartare la mangia solo da Eataly.

Il fatto che sia diventata più gradevole allo sguardo sembra già un risultato abbastanza liberatorio. Rassicurante non ha mai smesso di esserlo.

Quindi, del resto, che ci importa.

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