Tutto è cominciato a inizio maggio, quando la birraia Brienne Allan del birrificio statunitense Notch Brewing ha condiviso sul suo account Instagram uno sfogo sull’ennesima situazione in cui un uomo aveva messo in dubbio la sua professionalità, invitando altre donne a condividere altri episodi di sessismo nel mondo della birra artigianale. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo: decine di migliaia di messaggi (alcuni provenienti da account anonimi, altri no) di donne da tutto il mondo, che scoperchiavano il vaso di Pandora di un’industria in cui la stragrande maggioranza dei lavoratori sono uomini. Alcuni di questi messaggi facevano nomi e cognomi e denunciavano episodi di molestie gravi.
La storia viene ben riassunta in questo pezzo di Vinpair e ha avuto un impatto pesante sul settore brassicolo. Per fare un esempio su tutti Søren Wagner, fondatore e mastro birraio della Copenhagen’s Dry & Bitter Brewing Company, è stato costretto dall’azienda a prendersi una “leave of absence” viste le numerose accuse lanciate contro di lui. Quello che sembra emergere dalle testimonianze è un ambiente intriso di misoginia tossica, in cui il sessismo è un problema sistemico e le donne che vi lavorano subiscono episodi quotidiani di discriminazione, fino ad arrivare a vere e proprie violenze. Con la partecipazione attiva di alcuni uomini e la connivenza passiva di altri perché boys will be boys.
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Avevo vent’anni quando ho iniziato ad appassionarmi al mondo della birra artigianale. Con il senno del poi credo che ciò che mi interessava di più della birra era il fatto che fossero pochissime, le donne a interessarsi di birra. Mi piaceva essere l’unica donna alle degustazioni, mi piacevano gli sguardi stupiti degli uomini quando mostravo una qualche competenza, mi piacevano le attenzioni lusinghiere che ricevevo: mi piacevano probabilmente più della birra stessa, che infatti è diventata un interesse secondario e soprattutto una bevuta secondaria, soppiantata dal vino e mai rimpianta.
Ho poi finito per fidanzarmi con un birraio. Nei suoi racconti in dieci anni le cose sono cambiate: nel mondo della birra artigianale ci sono più donne, anche in posti di comando, a capo di birrifici o alla guida di pub, professioniste ed esperte stimate che, seppur ancora numericamente in minoranza, fanno implacabilmente carriera. Allo stesso tempo ho avuto modo di sentire tra i suoi colleghi le stesse battute che sento anche nell’ambiente del giornalismo gastronomico: quella donna è una prezzemolina dei festival, quella “mostra sempre le tette”, quella è “brava solo a farsi le foto Instagram”.
Mi è venuto spontaneo chiedermi cosa pensassero davvero quelle donne — dei recenti avvenimenti ma soprattutto del settore in cui lavorano.
Uomini che rimanevano lì fino alla fine, in modo da trovarmi da sola, e mi mettevano in situazioni terrorizzanti, facendomi sentire totalmente indifesa, al punto che ho smesso di chiudere il pub da sola
Uno dei miei pub preferiti a Bologna è Il Punto. L’ha aperto sette anni fa Camilla Rodella insieme al socio Alberto Panero. “Mi ricordo i primi tempi: eravamo in due al bancone, ma tutti facevano riferimento ad Alberto,” ricorda. “Ovviamente ormai non accade più. La parte peggiore però non era quella. Mi sono capitati episodi davvero spaventosi quando chiudevo il locale intorno all’una di notte. Uomini che rimanevano lì fino alla fine, in modo da trovarmi da sola, e mi mettevano in situazioni terrorizzanti, facendomi sentire totalmente indifesa, al punto che ho smesso di chiudere il pub da sola.”
Rodella riconosce che la situazione nel settore brassicolo è cambiata ma che il margine di miglioramento è ancora ampio: “Le professioniste del settore si contano ancora sulle dita di una mano. Ed è ancora chiaro come l’uomo venga trattato in modo differente dalla donna. Ad esempio nei concorsi di birra: ormai quasi tutti hanno istituito una sorta di ‘quota rosa’ che però viene gestita in modo secondo me degradante. Ho sentito giudici uomini chiedere consigli per ‘giudici donne che possibilmente fossero influencer’. Insomma chiamiamo la donna sì, ma per fare scena, sperando che ci condivida sui social. Delle sue competenze non ci interessa nulla.”
La birra come immagine è legata all’uomo. Hanno trasmesso l’idea che la donna beve solo birre leggere, facendo promozione con luoghi comuni e immagini obsolete, da cui anche il movimento artigianale non riesce a svincolarsi.
Monica Di Loxley si occupa di marketing, comunicazione e formazione in ambito birraio dal 2015. Anche lei ha cominciato dietro al bancone: “A diciotto anni lavoravo in un bar carino non lontano da casa. Una sera scesi nel piano seminterrato per prendere una cassa d’acqua, un ragazzo mi raggiunse e mi baciò con prepotenza: io rimasi di ghiaccio, con la cassa tra le mani e un ronzio nella testa. Anni dopo il titolare di un altro locale dove lavoravo, mi inviò un messaggio audio di qualche secondo: la registrazione di un film porno. E verso la fine dell’audio, una domanda, sussurrata con voce untuosa: ‘Hai capito?’.”
Il buyer, dopo avermi guardato le tette per tutto il tempo, ha detto che avrebbe inserito le mie birre a scaffale se gli facevo un servizietto
Monica mi riferisce anche di episodi che quotidianamente le vengono riferite dalle colleghe su un gruppo privato di Facebook. Le fonti delle testimonianze, per volontà delle interessate, sono qui trascritte in forma anonima: “Il buyer, dopo avermi guardato le tette per tutto il tempo, ha detto che avrebbe inserito le mie birre a scaffale se gli facevo un servizietto”; “Non mi hanno preso perché han detto che una ragazza in birrificio distrae”; “Al colloquio mi ha chiesto se voglio figli”; “Non sarei mai diventata head brewer se fossi rimasta in Italia”; “Ha detto che anche se sono beer judge non sono degna di giudicare le sue birre’.”
A dispetto dei numeri in crescita sembra che una donna che si occupa di birra sia ancora un’anomalia del sistema o tutt’al più una comprimaria — la donna con il boccale di birra tra le tette dell’Oktoberfest, per intenderci. Secondo Dorothea Licandro, proprietaria del pub Mosaik di Catania, è un problema di immaginario comune per cui “la birra è ancora legata all’uomo. Ci è stata trasmessa l’idea che la donna beve solo birre leggere, anche attraverso una promozione della birra con luoghi comuni e immagini obsolete, da cui anche il movimento artigianale non riesce a svincolarsi.”
“Nel Regno Unito la diversità sul lavoro è molto importante e generalmente viene incoraggiata”
Se anche ci stiamo abituando a una donna che serve birra, forse perché appunto non così lontano dall’immaginario della cameriera sexy, ci risulta ancora difficile pensare a una donna che produce la birra. Virginia Casadio è birraia nel Regno Unito: “Ho iniziato a lavorare da Moor nel Regno Unito, prima e come assistente e poi dopo un anno come birraia, ma era un ambiente molto tossico. Ora sono mastro birraio in un nuovo birrificio aperto qui a Bristol dove ho completa libertà sulla produzione e tutte le birre prodotte sono mie ricette. Nel giro di 3 anni posso dire di aver fatto carriera, partendo da zero, con la passione e l’impegno posso dire di aver raggiunto risultati.”
Secondo lei in Italia il problema del mondo della birra è in parte il funzionamento stesso del mondo del lavoro, con tirocini gratuiti borderline con lo sfruttamento, ma “la nostra industria è sicuramente maschilista, sia in Italia che in Inghilterra. Sai quante volte i corrieri mi portano le materie prime in birrificio e, anche dopo che gli ho detto che sono il mastro birraio, mi chiedono stupiti se la birra io la bevo? La birra artigianale sta cambiando un po’ la mentalità dei produttori e consumatori, ma in produzione il lavoro è per la maggior parte portato avanti da uomini. Lo stesso vale per i gruppi di homebrewers: di donne sia qui che in Italia ne ho viste davvero poche. Veniamo sempre viste come un’eccezione. La differenza principale tra Regno Unito e Italia è che qui la diversità sul lavoro è molto importante e generalmente viene incoraggiata — sesso, colore della pelle, orientamento sessuale. Nel settore in Italia mi sono sentita sminuita: non presa seriamente, non ascoltata, snobbata. Non avrei avuto la forza di continuare nel mio paese e di superare quegli ostacoli. Tante birraie in Italia lo fanno tutti i giorni e hanno il mio rispetto, appoggio e stima, portano avanti un lavoro che io non sarei riuscita a fare.”
Non arrivavano mai CV di donne, allora le cerchiamo noi, ad esempio nel mondo scientifico. Loro stesse dubitano di essere forti abbastanza.
Amalie Knage ha creato il birrificio Slowburn vicino a Copenaghen. Ha cominciato anche lei lavorando in pub e sopportando l’incredulità, ma soprattutto i comportamenti inappropriati, di alcuni clienti che la facevano sentire in trappola dietro il bancone: “Gli uomini non riuscivano a capire il mio disagio. Mi dicevano: ‘Beh cambia lavoro’. E questo mi ha fatto sentire davvero poco supportata. Poi sono riuscita ad aprire Slowburn e adesso sono la persona più visibile del birrificio. Non devo più lottare, ma proprio per questo voglio essere parte del cambiamento. Al birrificio vogliamo promuovere la diversità in termini di genere ed etnia. Non arrivavano mai CV di donne allora le cerchiamo noi, ad esempio nel mondo scientifico. Loro stesse dubitano di essere forti abbastanza: beh, guardate me. Sono alta 1,58 m e ce la faccio, ma se non ce la faccio chiedo aiuto. Qualsiasi mestiere può essere adatto alle donne, se facciamo loro una formazione appropriata e creiamo un ambiente adatto. Un esempio simile può essere fatto ad esempio nel mondo della mixology: ci sono shaker troppo grandi e uniformi scomode per buona parte delle donne. Perché non cambiamo prima di dire che ‘non è un mondo per donne’?”.
Luana Meola è birraia di Birra Perugia da otto anni. Ma c’è ancora chi fatica a prenderla sul serio: “Di recente un camionista mentre scaricava la merce diceal mio dipendente ‘Guarda la donna come osserva’. Oppure mi chiedono ‘Posso parlare con un maschio?’. Ovviamente alcuni davano per scontato che fossi lesbica o una ‘facile’, a seconda del momento. Capisco che molte ragazze siano restie ad entrare in questo mondo: non nascondo che è molto pesante fisicamente, non è facile trovarti da sola, le battutine si sprecano. Il settore birraio è vittima dei classici retaggi patriacali però ho anche scoperto un microcosmo della birra artigianale molto coeso e in cui credo stiano cambiando molte cose.”
Come fare la differenza nel mondo della birra (e non solo)
Anche Dorothea Licandro ha uno sguardo ottimista e fattivo: “All’inizio mi vedevano dietro il bancone e chiedevano sempre ‘Puoi far venire il proprietario?’. Io mi divertivo sempre a rispondere ‘Ce l’hai davanti’. Mi piace riderne e mi piace affrontare tutti i giorni gli stereotipi di genere sulla birra, tipo che le donne bevono solo birre leggere e beverine. Proporre alle donne di bere qualcosa di diverso dal loro solito, come una Stout, oppure ignorare un uomo quando cerca di ordinare per la compagna. Lo sapevi che in realtà noi donne siamo più portate alla degustazione? Voglio dimostrare con i fatti che non c’è differenza.”
Una molestia non è mai un apprezzamento. È un ridimensionamento. Sono una forma di autoconservazione del sistema, di perpetuazione della norma, di ‘si è sempre fatto così’.
Queste storie mi piacciono. Mi piacciono incredibilmente. Ma non è nemmeno giusto pensare che sia la donna a dover fare tutto. Ne ho parlato con l’attivista e advocate per la rappresentazione sui media Eugenia Laura Raffaella: “Il peso della lotta non è sulle spalle delle donne. Ci sono settori dove sembra quasi parte di un ordine naturale che i posti più importanti siano riservati agli uomini. Ma le donne non devono sentirsi in colpa se non pensano di poterli occupare. Non sono stati disegnati per noi. Veniamo socializzate per altri ruoli e non ci insegnano a volere certe cose. Ma non puoi essere ciò che non vedi. Il cambiamento non deve ricadere tutto su di noi: gli uomini devono intraprendere un percorso simile di autocoscienza maschile in cui rendersi conto che il loro non è il genere di default.”
Un tema che è emerso spesso parlando con le donne è la reductio delle molestie quando si esprimono sotto forma di complimenti pesanti o apprezzamenti pubblici un po’ sguaiati. Ma è davvero giusto ignorarli per ‘concentrarsi sulle cose più importanti’? “Una molestia non è mai un apprezzamento. È un ridimensionamento. Sono una forma di autoconservazione del sistema, di perpetuazione della norma, di ‘si è sempre fatto così’,” continua Raffaella.
Secondo Virginia Casadio il problema della birra artigianale in Italia è particolarmente pesante: “Il punto è che in Italia certi atteggiamenti sono così radicati e normalizzati che molti uomini faticano a riconoscere il problema, non accettano le vittime, si sentono attaccati e quasi vittime loro stessi. Servirebbe un cambiamento della mentalità e che certi uomini non solo capissero, ma fossero anche solidali, scusandosi sinceramente se hanno avuto atteggiamenti discriminatori. Ma al momento sembra ancora un utopia.”
“Mentre scrivevo questo pezzo il mio computer mi segnalava come sbagliata la parola birraia”
Durante la ricerca per questo pezzo ho contattato donne che non volevano parlare con me perché preferivano essere prese in considerazione solo per la loro professionalità e non in quanto donne. Come se esistesse una dicotomia tra il fare e il parlare, il lottare e il lamentarsi. Dice Eugenia Laura Raffaella: “La tua autorevolezza non viene minata se racconti pubblicamente le tue difficoltà. Puoi essere fortissima e allo stesso tempo discriminata. Rivendicare di essere discriminati è un atto di forza. Una presa di controllo della propria narrativa.”
Spero che i recenti avvenimenti aprano una discussione nel mondo della birra artigianale. Conclude Loxley: “Il settore della birra artigianale è giovane, aperto e vedo una crescente attenzione a questi temi, con una visione di società eterogenea e un’interiorizzazione delle pari opportunità. Per portare la propria azienda nel domani a imprenditori e imprenditrici viene chiesta una gestione corretta delle risorse umane. Spero che debbano continuare a rendere conto dei propri comportamenti e delle proprie mancanze.”
E mentre scrivo questo pezzo non posso far altro che notare come il mio computer mi segnali come sbagliata la parola birraia…
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