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Con questo bitter puoi bere un Negroni come si faceva una volta

Gagliardo Bitter

“Se ti dicono che una ricetta è originale, spesso non è vero. I metodi e gli ingredienti a disposizione una volta erano diversi da quelli attuali.” In poche parole, una volta si usava molto meno zucchero.

Quando ti ritrovi davanti al bancone di un cocktail bar, difficilmente chiedi che nel tuo drink venga usato un bitter o un vermouth particolare. È più facile chiedere una specifica vodka, magari, un whisky o un rum. Insomma, si gioca con gli spiriti di base. E ancora, se pensi a un cocktail come il Negroni, è facile chiedere al bartender un gin premium, ma raramente ti spingerai a domandare di un determinato bitter.

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Fa riflettere, soprattutto perché bitter e vermouth sono prodotti perlopiù italiani e, a meno che tu non sia un nerd della mixology, ti concentraerai sempre sullo spirito di base. All’estero è spesso l’opposto.

Focalizziamoci un secondo sul bitter. Quando si dice bitter, è implicito che si dica Campari. Tanto che in molti siti, senza dover per forza pensare a marchette oscure, nelle ricette viene spesso indicato l’ingrediente con il suo nome e non con la sua categoria di appartenenza. E questo accade perché non solo è il bitter più storico che ci sia, ma perché per molti, moltissimi anni, è stato anche l’unico. Ed è diventato iconico.

Si capisce che quando mi hanno parlato di un tizio che in Veneto fa un bitter come si faceva una volta, praticamente senza zucchero, ho volato. Marco Schiavo è la testa, l’esperienza e le mani che stanno dietro il bitter Gagliardo. Praticamente il bitter più amaro che possiate trovare sul mercato.

Gli aperitivi e i vermouth, oggi, sono molto più dolci. Quindi fare un bitter veramente amaro era un modo per bilanciare tutta quella dolcezza

Sono andato nella sua distilleria per capire perché, oggi, qualcuno debba essere tanto pazzo da creare un prodotto che potrebbe benissimo avere molti costi e poco mercato.

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La distilleria di Gagliardo. Tutte le foto per gentile concessione di Gagliardo​

“A me piace bere cocktail, nonostante la mia famiglia produca grappa in una delle distillerie più antiche d’Italia,” mi spiega Marco Schiavo. “E trovavo i miei cocktail preferiti come l’Americano o il Negroni, sempre troppo dolci. Quindi ho pensato di capire il perché e di creare un prodotto praticamente a zucchero zero, come è opinione comune si bevesse una volta. E poi i bartender cercavano di mettere l’amaro nei loro drink attraverso mille prodotti. Io gli ho dato un amaro vero.” Nota bene: i bartender sono noti per godere nel provare prodotti che in genere i clienti non berranno mai. Il saluto internazionale di chi lavora dietro al bar è di Fernet, per dire quanto stanno in fissa.

La famiglia di Marco Schiavo produce grappe dal 1887. Distilleria Schiavo è praticamente un piccolo museo dell’alcol pieno di alambicchi di rame (ormai rarissimi) e collezioni di antichi manoscritti nei quali era spiegato come si dovesse distillare. Tra le varie grappe ne fa una anche con uve americane (ricordate la storia del fragolino illegale? Ecco) che chiama la Proibita, perché non può venderla. Questo per dire che non è un novellino: è praticamente nato dentro un alambicco.

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Marco Schiavo. Foto di Aromi Creativi per gentile concessione di Gagliardo​

“Se ti dicono che una ricetta è originale, spesso non è vero. I metodi industriali e gli ingredienti a disposizione una volta erano diversi da quelli attuali,” mi spiega Marco. In poche parole, una volta si usava molto meno zucchero. Lo zucchero in sé lo si conosce da secoli, il suo uso industriale da molto meno. Diciamo dal secondo Dopoguerra, quando viene istituita in Italia l’Associazione Nazionale fra gli Industriali dello zucchero. Nella quale, guarda caso, figurano industriali di zucchero, alcol e lievito.

Prima che gli statunitensi venissero in Italia alla fine della guerra, portando le loro abitudini e un export massiccio sul loro territorio, il nostro palato non era abituato a tanto zucchero

“Gli aperitivi e i vermouth, oggi, sono molto più dolci. Quindi fare un bitter veramente amaro era un modo per bilanciare tutta quella dolcezza.” Fondamentalmente il discorso è pari a quello del caffè: una volta che ti abitui a prenderlo amaro, poi farai fatica a berne uno zuccherato.

Nonostante lo zucchero nella mixology si conosca dal 1700, è opinione comune, dicevamo, pensare che i cocktail fossero più bitter. Perché, come mi ha spiegato Matteo Zed, esperto di amari, “prima che gli statunitensi venissero in Italia alla fine della guerra, portando le loro abitudini e un export massiccio sul loro territorio, il nostro palato non era abituato a tanto zucchero. Ricordiamo che amari e bitter sono nati a scopo medicinale, erano amari per davvero. Poi è stato aggiunto un po’ di zucchero per renderli bevibili, ma non tantissimo.” La storia del Negroni, poi, è confusa e leggendaria. Si dice che a inventarlo sia stato il conte Camillo Negroni (anche se non ci sono tracce di alcun Camillo nella famiglia Negroni) preferendo il gin alla soda nell’americano. Si pensa anche che la ricetta, come riporta Difford’s Guide, non fosse in parti uguali, ma sbilanciata sul vermouth.

L’unica piccola testimonianza ce l’abbiamo con un’intervista a Fosco Scarselli, che ha di fatto miscelato per la prima volta il Negroni per il conte. Riportata da Luca Picchi, bartender vecchio stampo fiorentino che ha scritto un intero libro sul Negroni, si dice che: “Il conte Camillo Negroni lo voleva un po’ più robusto (l’Americano, ndt). Io gli aggiungevo qualche goccia di amaro. La sua abitudine di aggiungere qualche goccia di amaro all’Americano a poco a poco contagiò gli altri clienti.” Quindi, insomma, se oltre al bitter ci metteva pure l’amaro è ragionevole pensare che il Negroni fosse più amaro di come lo conosciamo oggi.

Ma torniamo al nostro bitter; di categorie ce ne sono due: gli aperitivi bitter e i bitter aromatici. I primi hanno una gradazione, sui 25 gradi che ti permettono di berli, volendo, anche lisci o con un po’ di soda. I bitter che vedete lanciare in piccole gocce nei vostri drink – l’Angostura, per capirci -, sono invece concentrati e stanno sui 40 gradi. Nel caso di Gagliardo parliamo di un aperitivo, quella categoria capace di aprirti una voragine nello stomaco da sopperire con dozzine di olive e manciate di patatine pregando di arrivare a cena il prima possibile. L’effetto voragine è colpa delle spezie.

“Prima di mettermi a produrlo, ho pensato che questo bitter dovesse essere composto come un grande chef fa un suo piatto,” mi racconta marco in distilleria. “La prima cosa, la partenza di tutto, è l’ingrediente. Quindi ho scelto la mia base di genziana, liquirizia, rabarbaro e cascarilla messicana (che gli da una nota bella balsamica) e ho cominciato a cercare il top di qualsiasi cosa. Alcol compreso.” L’alcol che usa per la base viene dalla frutta e non dal grano. Costa parecchio di più ed è pure biologico, anche se quando si parla di distillazione poco conta, se non l’aspetto non trascurabile della sostenibilità. Le spezie sono super selezionate, così come il colorante, che è naturale. “Per il colore rosso uso la cocciniglia, un colorante che viene dagli insetti e che si usava nelle vecchie ricette di vermouth e bitter.” Solo la cocciniglia costa, al kg, sui 100 euro. Quindi il prodotto finale non può essere economico, ma soprattutto rispecchia il fattore artigianale di una realtà che produce 15.000 bottiglie circa l’anno.

“Il nome, così come l’etichetta, hanno richiami futuristi. Volevo rappresentare la netta differenza con la distilleria di grappa e la rottura con i bitter che trovi sul mercato. Un ritorno anche grafico al passato per spiegare qualcosa di nuovo.” Insomma, il futurismo.

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Il Negroni ready to drink di Gagliardo. Bello amaro.

Una volta visto che bitter Gagliardo Radicale non solo ha avuto successo (un successo che gli ha fatto vincere il premio di miglior bitter al mondo del 2019), Marco Schiavo ha deciso che c’erano ancora un paio di cosette da cambiare. E quindi si è messo a fare anche un Triple Sec (il Cointreau per farla facile) con mandarini tardivi di Ciaculli presidio Slow food e un amaro tipo Fernet che, incredibilmente, è il prodotto meno amaro di quelli che ha fatto. E durante la pandemia ha lanciato pure bottiglioni di Negroni, Hanky Panky e Americano già fatti, solo da diluire e bere. “Tutti fanno i ready to drink formato monoporzione, ma secondo me è molto meglio se ti prendi un bottiglione e ci fai serata con gli amici.” Non fa una piega.

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L’Americano ready to drink by Gagliardo.

Usciamo dalla distilleria mezza sperduta nel vicentino dopo aver assaggiato di tutto. La pioggia inizia a scendere e pioggia significa solo una cosa: mettiti in un bar e fatti un Negroni. Un Negroni dalle proporzioni sproporzionate per bilanciare quel bitter veramente bitter.

25ml di dry gin, 30ml di bitter e 45ml di vermouth rosso. Amaro, forte, gagliardo. Una volta che lo bevi non torni indietro.

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