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Cibo

È più facile essere lesbica che vegana

Il mio stile alimentare interessa più del mio orientamento sessuale?
Tutte le foto sono dell'autrice.

N.d.R: Quest’articolo riflette l’esperienza personale dell’autrice e, pertanto, non è da intendersi come una generalizzazione di quelle dell’intera comunità LGBTQIA.

Le reazioni al mio essere vegana saranno quasi sempre più dure rispetto a quelle dei miei coming out da donna lesbica

Per me era normale mangiare carne e derivati del latte ogni giorno. Sono cresciuta in una regione abbastanza tradizionale della Svizzera orientale da genitori d’origine bosniaca, quindi a colazione preparavamo la Pura (la polenta con il latte), a pranzo la Kvrgusa (una pasta guarnita con pollo e panna acida), e a cena la Punjene Paprike (peperoni ripieni di carne). Sia la panna acida che lo yogurt sono parti fondanti di quasi ogni piatto della cucina balcanica e io, per un sacco di tempo, ho deriso vegetariani e vegani. Chi mai, se sano di mente, potrebbe coscientemente rinunciare ai cheeseburger o ai bratwurst di San Gallo?

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Ho continuato a prenderli in giro fino allo scorso mese, quando finalmente ho capito perché lo facessero. Tutto è partito questo gennaio, dopo la decisione di partecipare al Veganuary, una campagna di sensibilizzazione benefica lanciata originariamente nel Regno Unito nel 2014 per incoraggiare chiunque a provare il veganesimo (almeno) solo per il mese di gennaio. Ecco, io da lì sono rimasta vegana (e lo rimarrò fino a nuovo ordine), scoprendo ben presto, nonché sorprendentemente, le difficoltà di doverlo dire alla mia famiglia. Giusto per darvi un metro di paragone, è stato più difficile rivelare loro che mi piacciano le donne.

“Non senti che qualcosa adesso manca nella tua vita?”, “che diavolo stai dicendo, sei seria!?”, “tu? Davvero?!”.

Queste sono solo alcune delle frasi che i miei amici e familiari hanno esclamato 6 anni fa, quando ho fatto coming out rivelando di essere lesbica. Devo però aggiungere un dato importante: a quasi tutte queste esclamazioni sono seguiti ben più incoraggianti “che bello, ora sei libera di essere te stessa,” e “sei davvero coraggiosa.” Simili rettifiche non sono arrivate quando ho rivelato le mie preferenze alimentari. Improvvisamente a tutti importava cosa mettessi nello stomaco, e i miei colleghi e amici passavano sotto costante disamina ogni mio pasto, chiedendomi con fare inquisitore se io fossi sicura che il piatto davanti a me potesse considerarsi come vegano al 100%. La parte più interessante di tutto ciò è che prima, quando trangugiavo svariati kebab a settimana, a nessuno importava se io facessi incetta o meno di tutti i nutrienti e le proteine necessarie al mantenimento di una vita sana.

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L'unico piatto vegano in questa vecchia foto è costituito dall'aglio grigliato.

Il sesso e il cibo fanno parte di una delle zone più intime delle nostre vite. La sessualità, tuttavia, gioca anche un ruolo importante nella società, toccando anche le vite degli altri. I miei genitori, ad esempio, ancora si chiedono, preoccupati, se avranno mai dei nipoti.
La mia scelta di mangiare carne o meno, però, non intacca l’ambiente familiare e relazionale circostante. È semplicemente una mia scelta personale. L’unica implicazione legata all’ambiente (inteso qui come natura), è che ne allunga la vita.

Non importa quanto alcune persone siano aperte mentalmente, moderne o erudite (o si definiscano tali), le reazioni al mio essere vegana saranno quasi sempre più dure rispetto a quelle dei miei coming out da donna lesbica. Che poi perché le mie scelte alimentari riescano a infastidire così tanto la gente davvero non lo capisco.

Ho cercato di analizzare i motivi dietro a questo astio, e anche perché molte persone siano sempre in procinto d’attaccarmi. Quando rivelo di non mangiare né carne né prodotti derivati, non sto implicitamente asserendo di essere migliore di qualcun altro. Tuttavia, è così che questa mia scelta viene interpretata. Sarà quindi che le ragioni si celino dietro ai sensi di colpa o alla sensazione di sentirsi sotto attacco? O forse è più semplicemente questione di ristrettezze di vedute? Non ve lo saprei proprio dire.

Ho pensato potesse anche essere dovuto al fatto che il veganesimo, un po’ come l’omosessualità, siano bollate come “anormali” da alcuni. Stando a queste persone dalle vedute ristrette, noi esseri umani abbiamo sempre consumato carne e latticini, quindi i nostri corpi ne hanno bisogno. La frequenza di un gesto però non ne convalida i benefici. Basti pensare che un sacco di cose sono cambiate dall’Età della Pietra a oggi. All’epoca cacciavamo mammut con arco e frecce, mentre oggi mangiamo fino a 3 pasti a base di carne animale o derivati al giorno. E parliamo di animali allevati con il solo intento di essere poi macellati. Non è bizzarro? Ma è così che va. C’è sempre tempo per incappare in conversazioni bizzarre.

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Gigia Mettler-Saladin, psicologa alimentare, ha una spiegazione. Secondo lei alcuni individui sono così fissati con i vegani e così intenti a denunciarne le abitudini alimentari, perché “oggi si tende a fare del moralismo sul cibo. La gente tende a definire la propria identità anche attraverso le scelte culinarie. Ci si chiede ‘ hi sono io? Chi vorrei essere? Come vorrei presentarmi agli occhi degli altro?’. Mangiare è un’azione sociale che tutti sappiamo come svolgere. Uscire un po’ dalle righe con la dieta vegana provoca insicurezza. Scegliere qualcosa di diverso dalla norma mette in discussione la norma stessa. Chi si trova davanti una persona vegana si chiede quindi se questa non voglia più far parte della norma, se non abbia più intenzione di essere ‘uno di noi’.”

Rimane il fatto che il mio sgusciare fuori dagli standard eteronormati causi meno fastidio del mio essere vegana, perché in quanto lesbica non mi ergo a portatrice di una moralità superiore. Il mio orientamento sessuale non minaccia le coscienze degli altri esseri umani che mi circondano. A farlo sono le statistiche: nell’ultimo mese ho risparmiato la vita di 30 animali, preservato 124917 litri d’acqua e 84 metri quadrati di foreste, nonché 275 chilogrammi di CO2 e 543 chili di grano.

Gli hamburger fanno male all'ambiente? Beh, non l'ho pensata sempre così.

La mia vicinanza al veganesimo è dovuta non solo alle preoccupazioni verso lo stato in cui riversa l’ambiente, ma anche al desiderio di ridurre il mio patto ambientale. Gli amici vegani mi hanno sicuramente aiutata nella transizione mentale, e l’hanno fatto in svariati modi, ma di certo non dicendomi quanto fossi fantastica, migliore e nel giusto assoluto. Ci sono riusciti mostrandomi quanto certi accorgimenti alimentari potessero risultare utili all’ambiente. Lo sappiamo (quasi) tutti ormai, il cambiamento climatico è reale ed è in corso proprio ora. È facile non pensarci però, così, quando arrivano i primi morsi della fame, corriamo a divorarci un hamburger. Se ci soffermiamo un attimo a pensare a come quell’hamburger sia arrivato sul nostro piatto, scopriremmo che per la sua produzione è stata impiegata una quantità d’acqua tale che solo una doccia lasciata aperta per due mesi di fila raggiungerebbe. Il mio secondo coming out è stato più problematico del primo, ma non per questo mi pento della mia decisione. Quel primo mese da vegana mi ha fatto bene e, per questo, continuerò per la mia strada libera da prodotti di origine animale. Non mi sento stanca, ho perso peso, la mia pelle è migliorata, ho sperimentato varie ricette e ho scoperto ristoranti nuovi. Ho più energia di quanta ne avessi prima.
Sarebbe bello se tutti iniziassimo a capire che il nostro valore individuale non può essere misurato in base a quello che decidiamo di mangiare o per il nostro orientamento sessuale. Valiamo per quello che siamo, e tanto basta.

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Quest'articolo è originariamente apparso su MUNCHIES Svizzera.