lavorare meno per salvare il pianeta
Illustrazione di Annie Xing Zhao.
lavoro

Il piano che vuole salvare il pianeta facendoci lavorare di meno

La teoria della decrescita vorrebbe farci produrre e consumare un po' meno, per renderci la vita più tranquilla e ridurre le emissioni di CO2.

Nel 1972, il MIT ha pubblicato The Limits to Growth (Rapporto sui limiti dello sviluppo), un rapporto che prediceva cosa sarebbe successo all'umanità se l'economia e popolazione avessero continuato a crescere. Quello che la simulazione aveva rilevato era piuttosto semplice: su un pianeta dalle risorse finite, una crescita esponenziale infinita non è possibile. Alla fine, le risorse non rinnovabili, come il petrolio, si sarebbero esaurite.

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Storicamente, abbiamo considerato la crescita una cosa positiva, sinonimo di sicurezza del posto di lavoro e prosperità. Ma problemi come il riscaldamento del pianeta a causa alle emissioni di CO2, le condizioni meteorologiche estreme e la perdita di biodiversità e agricoltura che ne derivano non possono essere ignorati, né può essere ignorato il loro legame con la suddetta crescita.

È così che alcuni attivisti, ricercatori e politici hanno iniziato a mettere in discussione il dogma della crescita come cosa buona. Questo scetticismo ha dato origine al movimento di decrescita, che afferma che la crescita dell'economia è inestricabilmente legata a un aumento delle emissioni.

Il Green New Deal, reso celebre da Alexandria Ocasio-Cortez, cerca di ridurre le emissioni a favore dell'espansione dell'industria delle energie rinnovabili. Ma il movimento di decrescita ritiene che sia necessario andare oltre, e progetta uno sconvolgimento sociale che separi una volta per tutte l'idea di progresso da quella di crescita economica. Questa nuova contabilità del successo economico si concentrerebbe invece sull'accesso ai servizi pubblici, una settimana lavorativa più breve e un aumento del tempo libero. Il loro approccio, dicono, non solo combatterà il cambiamento climatico, ma ci libererà anche da una cultura del lavoro così rigida.

Il movimento di decrescita di oggi trova le sue radici in Francia: nei primi anni Duemila, il professore di antropologia economica dell'Università di Parigi-Sud Serge Latouche ha iniziato a scrivere di décroissance su Le Monde Diplomatique. Pur rendendo omaggio al rapporto The Limits to Growth, la décroissance ne ha ampliato il concetto. La domanda non era più se ci fosse un limite alla crescita, ma qualcosa di molto più grande: come possiamo auto-imporci un limite di crescita quando è su essa che si basa la nostra intera struttura economica e politica?

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Oggi decrescita è una parola chiave nei circoli di sinistra e accademici di tutto il mondo; i suoi sostenitori sono economisti, ambientalisti, socialisti democratici e attivisti, giovani e vecchi. Vedono un mondo post-crescita come un modo per cambiare radicalmente come misuriamo successo e benessere, affrontando così le crescenti disuguaglianze finanziarie e sociali e contemporaneamente salvando il pianeta.

La prima conferenza internazionale sulla decrescita si è tenuta a Parigi nel 2008, e da allora la platea di interessati al tema ha continuato ad allargarsi. Anche il numero di articoli accademici e di libri sulla decrescita è aumentato e, nel 2018, 238 accademici hanno firmato una lettera pubblicata sul Guardian chiedendo di prendere sul serio un futuro post-crescita.

Ma dal momento che la nostra economia si è basata sulla crescita per così tanto tempo, non basta semplicemente tirare il freno d’emergenza, ha detto Giorgos Kallis, scienziato ambientale, ecologista politico presso l'Università Autonoma di Barcellona e autore del libro Degrowth. Per rallentare l'economia e non creare scompiglio, secondo Kallis, dobbiamo riconfigurare le nostre idee sull'intero sistema economico.

Questo è il modo in cui i sostenitori della decrescita si immaginano il processo: dopo una riduzione del consumo di materiali e di energia, che restringerà l'economia, dovrebbe esserci anche una ridistribuzione della ricchezza esistente e una transizione da una società materialista a una in cui i valori si basino su stili di vita più semplici e lavoro e attività non retribuite. Decrescere, in definitiva, significherebbe avere meno cose: non più così tante persone a lavorare e produrre beni materiali, quindi non più così tante marche al supermercato, meno fast fashion e meno beni a basso costo e usa e getta. Le famiglie avrebbero forse una macchina invece di tre, prenderesti il treno invece dell’aereo per le vacanze, e il tempo libero non sarebbe pieno di passeggiate per lo shopping, ma attività senza costo con i propri cari.

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In pratica, ciò richiederebbe anche un aumento dei servizi pubblici gratuiti, poiché la gente non dovrà fare tanti soldi solo se non dovrà spendere in eccesso per cure mediche, alloggio, istruzione e trasporti. Alcuni sostenitori della decrescita richiedono anche un reddito universale per compensare una settimana lavorativa più corta.

Oggi le persone possono provare a vivere uno stile di vita tipo decrescita acquistando meno cose, ma alla fine è difficile impegnarsi senza quei servizi pubblici integrati nel modello. In questo momento, il nostro lavoro, il divertimento e la qualità della vita in generale sono dettati dai termini di consumo. Lavorare di meno, fare meno soldi e ridurre l'uso di beni materiali avrebbe un impatto negativo sulla qualità della vita delle persone, a meno che la società non entri in gioco per soddisfare quei bisogni.

Poiché ci sono così pochi esempi di decrescita del mondo reale, Kallis ha usato un'utopia fittizia per spiegare il concetto in un articolo del 2015. Ha fatto riferimento al pianeta Anarres, dal libro I reietti dell'altro pianeta di Ursula K. Le Guin—una società che ha risorse modeste, ma attraverso la sua struttura egualitaria è un posto giusto e significativo in cui farsi una vita, rispetto al più capitalista pianeta vicino, Urras. “È come ci immaginiamo la bella vita,” ha detto Kallis. "Una vita più semplice, non una vita in cui continuiamo a produrre sempre di più, correndo sempre più veloci e con sempre più prodotti tra cui scegliere.”

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I critici della decrescita sostengono che questa è più un'ideologia che una soluzione pratica—che restringere l'intera economia non porterebbe a zero i livelli di emissioni, e che data la disparità di distribuzione del reddito che esiste già, contrarre l'economia potrebbe privare chi ne ha più bisogno di cose essenziali come energia e cibo.

Robert Pollin, professore di economia presso l'Università del Massachusetts, Amherst, ha affermato che, pur condividendo molti dei principi del movimento di decrescita, è fondamentalmente in disaccordo sul fatto che un tale sistema potrebbe funzionare, almeno nei tempi in cui ne abbiamo bisogno. Pollin ha affermato che una restrizione dell'economia del 10 percento ridurrebbe le emissioni di circa il 10 percento. Economicamente, è un dato di gran lunga peggiore della contrazione della Grande Recessione—in altre parole, alti potenziali rischi sociali per una riduzione di CO2 del 10 percento. “Abbiamo davvero bisogno di declassare l'industria dei combustibili fossili a zero, ma di espandere in maniera massiccia i sistemi di energia pulita, gli investimenti nelle energie rinnovabili e l'efficienza energetica.”

Questo è essenzialmente il Green New Deal: una spinta per aumentare le energie rinnovabili eliminando i combustibili fossili, includendo politiche per una transizione giusta per le persone che lavorano in quel settore. Per Pollin, anche questo sarebbe un miglioramento radicale. Un piano per arrivare a zero emissioni in 30 anni significherebbe arrestare una delle industrie più potenti del mondo. Pensa che sia un progetto già abbastanza ambizioso senza cercare di implementare altri grandi cambiamenti sociali.

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“Se prendiamo sul serio la scienza del clima, abbiamo solo pochi decenni per compiere enormi progressi,” ha detto Pollin. “E che mi piaccia o no, non rovesceremo il capitalismo in questo periodo di tempo.” Al di fuori dell'accesso a una quantità maggiori di beni più economici, le persone capiscono intrinsecamente che i benefici della crescita non sono equamente distribuiti.

Nel 1965 negli USA gli amministratori delegati guadagnavano 20 volte quello che prendevano i normali lavoratori, ma dal 2013, prendono 296 volte tanto. Dal 1973 al 2013, i salari orari sono aumentati solo del 9 percento, ma la produttività è aumentata del 74 percento. "Ciò significa che i lavoratori hanno prodotto molto di più di quello che ricevono nelle loro buste paga e attraverso i benefit dai loro datori di lavoro,” ha scritto l'Economic Policy Institute.

Anche nei periodi di crescita generale, i millennial sono stati soprannominati la "generazione burnout." Molti faticano a trovare o tenersi il lavoro, non trovano affitti che possano permettersi e ricevono stipendi inadeguati a coprire tutte le loro spese o più in generale il costo della vita. In tutto questo, la decrescita offre uno spiraglio su un mondo in cui il frastuono della mercificazione si attenua, il valore di una persona non si basa su quello monetario e non ci si deve distruggere di lavoro per soddisfare delle necessità di base.

Questo non significa che la decrescita sia la strategia più efficace per ridurre le emissioni entro un certo (breve) limite di tempo, ma il movimento stesso solleva importanti domande sul modo in cui misuriamo il nostro successo in quanto società.

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Forse, la lezione della decrescita ha più a che fare con la nostra maniera di vivere che non con la politica. Secondo Jason Hickel, antropologo alla London School of Economics, abbiamo a lungo associato la crescita alla capacità di risolvere problemi sociali come la povertà e garantire lavoro per tutti, ma non sta funzionando.

"Perché, quando si tratta del nostro sistema economico, siamo convinti si tratti dell'unica via possibile? È ridicolo. Dobbiamo liberarci di questa sottomissione e riconoscere che ce ne serve uno migliore."

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Questo articolo è apparso originariamente su VICE US